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Quando Wojtyła scrisse su Dante

28 Aprile 2021 - Autore: Daniele Fazio

La Divina Commedia appare come una cattedrale letteraria capace di comunicare agli uomini di ogni tempo il senso autentico dell’umanesimo cristiano.


di Daniele Fazio

L’Arcivescovo di Cracovia assiste, nel 1964, ad una rappresentazione della Divina Commedia, promossa da Mieczysław Kotlarczyk (1908-1978). Il regista è il fondatore del Teatro Rapsodico, o della Parola viva, che caratterizzò l’esperienza artistica del giovane Karol Wojtyła (1920-2005). Kotlarczyk risulta anche essere il suo mentore artistico.

Sono passati molti anni dall’impegno come attore da parte di Karol, ma non per questo egli ha derubricato la sua passione per il settore, continuando anche l’attività di drammaturgo e poeta così come fece anche durante gli anni del pontificato fino alla pubblicazione dell’ultima opera letteraria Trittico romano (2003).

Dopo la prima rappresentazione della Divina Commedia di Mieczysław Kotlarczyk, egli ha l’occasione di inviare al regista alcune riflessioni in merito. Ed è proprio in queste che emerge la comprensione dell’opera più conosciuta di Dante Alighieri (1265-1321). Il testo è breve ma molto denso e può essere rintracciato nel volume: Karol Wojtyła, Tutte le opere letterarie, pres. di Giovanni Reale, ed. Bompiani, Milano 2011, pp. 991-2.

Wojtyła fa subito notare come obiettivamente la Divina Commedia sia «una visione della realtà contemporanea a Dante, dunque concreta e storica, attraverso la realtà escatologica (inferno, purgatorio, paradiso) che gli è stata data come oggetto di fede» ma ancora di più fa emergere che «è un certo modo di vedere la realtà umana attraverso quella Divina». Affascina, quindi, la similitudine che offre per far comprendere meglio ciò che vuol comunicare. Per Wojtyła, infatti, il principio che anima l’opera di Dante «è come se fosse lo stesso principio da cui sono nate le somme e le cattedrali del Medioevo, solo che esso è trasportato sul terreno dell’arte poetica. La poesia del resto è magnifica e per un uomo del XX secolo suona come moderna».

Emerge, dunque, la grande ammirazione verso Dante non solo quale artista, ma come uomo di fede che riesce, con la bellezza della poesia, ad erigere un monumento letterario imperituro, capace di colpire anche gli uomini moderni a partire dall’oggettività della proposta di un incontro fondamentale tra l’umano e il divino.

Su questa scia, però, è altresì interessante quanto ancora Wojtyła sottolinea in relazione alla rappresentazione che ne fece Kotlarczyk. Tale sceneggiatura sposta l’accento su caratteri più interiori che sono altresì presenti, ma che allo stesso tempo, forse, restano più ai margini nella letteratura critica. Il viaggio di Dante, infatti, secondo quanto rappresentato dal drammaturgo polacco, riguarda prepotentemente la sua esperienza e la Divina Commedia è letta come un poema personale di Dante, come «la storia delle sue creative ricerche, ma soprattutto la storia del suo amore. Se ancora l’Inferno rientra nei contorni della visione “obiettivistica” già il Purgatorio – sì, esso è più di tutti – ci introduce nella storia personale del poeta».

Wojtyła riconosce che se i caratteri oggettivi dell’opera di Dante da un lato vengono ridimensionati dall’altro la Divina Commedia del Teatro Rapsodico «si è interiorizzata e perciò è diventata anche più vicina […] La storia dell’anima di Dante, che attraversa l’inferno, il purgatorio e il paradiso, ma lo attraversa sulla terra come persona che crede e ama – costituisce un insieme comprensibile per lo spettatore contemporaneo».

Vi è allora bisogno – fa intendere Wojtyła – di non escludere o porre in dialettica le due dimensioni, perché la verità oggettiva non può che essere interiorizzata dall’uomo, in quanto risponde proprio alle esigenze del suo essere personale. Verità e persona vanno sempre di pari passo. Così come crediamo esser stato nello sforzo esistenziale dello stesso Dante, che resta testimone di autentico umanesimo cristiano.

Mercoledì, 28 aprile 2021

 

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