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“Quarant’anni dopo, il concepito resta il grande dimenticato”

20 Febbraio 2021 - Autore: Marco Invernizzi

Di Marco Invernizzi da Tempi del Febbraio 2021

17/18 maggio 1981. Un referendum, indetto dalle forze pro-life per abrogare la legge 194 che aveva introdotto la legalizzazione dell’aborto nel
1978, conferma la legge: soltanto il 32 per cento dei votanti votano sì all’abrogazione. Il triennio 1978-1981 era stato drammatico. Rapimento e omicidio di Aldo Moro e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse e, sempre nel 1978, dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone. Nello stesso anno morirono san Paolo VI e il suo successore, Giovanni Paolo I, cui succedette Giovanni Paolo II, il primo Papa venuto dall’Est. Erano trascorsi dieci anni dal 1968, un altro anno destinato a passare alla storia per la rivoluzione antropologica e culturale che prenderà appunto il suo nome. Da qui erano partiti due filoni rivoluzionari, uno basato sul terrorismo che tentava l’“assalto al cuore dello Stato”, l’altro che aveva di mira la
trasformazione radicale della persona, una sorta di “assalto all’umano” attraverso la ribellione contro la natura, che sfocerà nell’ideologia gender passando attraverso la «cultura della morte», per usare l’espressione di Giovanni Paolo II. Sono passati 40 anni. L’aborto è diventato un “diritto” intoccabile, ma soprattutto è diventato “normale” per i più. Ma normale non è. Chi c’è passato sa quanto questa ferita continui a sanguinare e possa essere rimarginata soltanto dalla fede e dall’accettazione di sé, anche dei propri grandi sbagli. I giovani di allora sono diventati adulti e anziani
portandosi appresso questa ferita epocale che continua a dividere.

La domanda rimane

In occasione della battaglia referendaria è nato un movimento pro-life che ha nel tempo acquisito consapevolezza della gravità del tema e si è attivato soprattutto con i Centri di aiuto alla vita, che hanno salvato in questi 40 anni decine di migliaia di bambini. Una minoranza per la vita spesso contestata da frange estreme, che alzano sempre i toni dello scontro culturale quasi come se fossimo ancora nel clima preelettorale del 1981, dimenticandosi che o il mondo pro-life riuscirà a fare breccia nella maggioranza abortista degli italiani (erano il 68 per cento dei votanti 40 anni fa, immaginiamo ora), oppure rimarrà recluso nel suo recinto di minoranza ininfluente. Contemporaneamente questa minoranza pro-life non è riuscita a incidere politicamente, patendo anche le conseguenze indirette della sottomissione culturale da parte dell’episcopato nei confronti della cultura dominante. Ancora oggi si confonde la fermezza nella difesa della vita con toni “sbracati” e immagini sensazionalistiche. Ma la domanda rimane: si può essere difensori e sostenitori del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale senza assumere atteggiamenti squilibrati che allontanano le persone? Molti ancora non hanno compreso la portata culturale di quanto è avvenuto in questi 40 anni. Per la Legge 194, l’aborto era l’estrema soluzione per la salute della madre, oggi è diventato per i più un diritto intoccabile. C’è stato un lungo lavorio culturale sul corpo sociale e l’assuefazione a una legge dello Stato, complice anche la timidezza di chi avrebbe dovuto mantenere viva la questione, in primis l’episcopato italiano, che fra l’altro ha così favorito l’emergere di schegge impazzite pro-life.

Parti non applicate

Questo è il problema. Si tratta di fare capire a uomini e donne che subiscono da decenni il lavaggio del cervello che, al di là della salute e degli interessi della donna, c’è un altro soggetto sempre dimenticato, debole e incapace di difendersi: il concepito. È lui che va messo al centro della riflessione e solo dopo avere operato questa trasformazione culturale sarà possibile mostrare l’iniquità di una legge che ne autorizza l’eliminazione. Perché la 194 è una legge iniqua, per come è nata e per come viene continuamente interpretata, anche se contiene degli articoli, a cominciare dal primo, che ipocritamente affermano di volere tutelare la maternità. Una legge iniqua che però contiene alcune parti mai applicate, che invece sarebbe bene che gli amministratori facessero di tutto per attivare, proprio per salvare la vita di qualche bambino altrimenti condannato a morire.

Foto da articolo

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Info Marco Invernizzi

Marco Invernizzi nasce a Milano nel 1952. Nel 1977 si laurea in filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore con una tesi su Il periodico "Fede e Ragione" nell'ambito della storia del Movimento Cattolico italiano dal 1919 al 1929, relatore il professor Luigi Prosdocimi. Dopo gli studi universitari continua ad approfondire, in modo non puramente intellettualistico - dal 1972 milita in Alleanza Cattolica, della quale è stato responsabile per la Lombardia e per il Veneto fino al 2016 -, le vicende del movimento cattolico in Italia. Ha pubblicato, fra l'altro, Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell'Opera dei Congressi all'inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), Mimep-Docete, 1995; L'Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Cristianità, 1993; I cattolici contro l’unità d’Italia? L’Opera dei Congressi (1874-1904), Piemme 2002; Il beato Contardo Ferrini. Il rigore della ricerca, il coraggio della fede (1859-1902), 2 ed. aggiornata e ampliata, Alberti, 2010; Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, Sugarco 2012; San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero, Sugarco, 2014; La famiglia in Italia dal divorzio al gender (con G. Cerrelli), Sugarco, 2017. Scrive regolarmente su Cristianità e su Tempi. Dal 1989 conduce a Radio Maria la trasmissione settimanale La voce del Magistero. Dal 28 maggio 2016 è Reggente nazionale di Alleanza Cattolica.
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