Cosimo Galasso, Cristianità n. 425 (2024)
Da decenni, ormai, sono felicemente impegnato a percorrere sentieri impervi all’interno di riserve e di parchi naturali — prevalentemente nel Salento, in Puglia —, così come in centri storici, in qualità di animatore ambientale e di guida turistica. Da questa «tribuna» privilegiata lato sensu ho modo di «annusare» non soltanto pollini e «profumi» naturali, ma anche autentiche avvisaglie di «avanguardie culturali» che, presentatesi inizialmente come fenomeno di nicchia, stanno allargando gradualmente la loro sfera d’influenza, raggiungendo strati sempre più ampi del corpo sociale. È il caso degli «ecosessuali», cioè di coloro che desiderano riconnettersi — anche fisicamente — con la Madre Terra che li ha generati (1).
Dopo alcuni casi sporadici verificatisi una decina di anni fa, soprattutto da cinque anni a questa parte ricevo sempre più spesso richieste di accompagnamento da parte di fruitori di riserve e di parchi naturali fautori di strane e sconvenienti «ri-connessioni» con singoli elementi costituenti i diversi habitat presenti in queste aree protette. Negli ultimi due anni il «partner» più ricercato è stato, senz’altro, il Quercus ilex, una specie di quercia termofila, costituente un bosco specifico, la lecceta. Dalle mie parti, in fatto di gusti «ecosex», ha spodestato il ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus). Il motivo è presto detto: intorno ai boschi di quercia sono fiorite, nei secoli, molte leggende, storie, fiabe, tanto che lo stesso Dante Alighieri (1265-1321) pare si riferisse proprio a una lecceta, parlando della sua celebre «selva oscura». Lo studioso Alfredo Cattabiani (1937-2003) ha raccontato che uno dei medici del cancelliere Otto von Bismarck (1815-1898) prescriveva, come terapia, al suo illustre paziente, esaurito dall’eccessiva tensione nervosa dovuta agli impegni di governo, di sdraiarsi mezz’ora al giorno sotto una quercia. Evidentemente, questi celebri precedenti hanno fatto scuola, innescando processi di emulazione nei nostri contemporanei, seppur nella variante ecosessuale.
Fino alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, contemplando la natura, almeno in Occidente, si era portati a vedere in essa un riflesso del Creatore; in questo senso, sono particolarmente efficaci le parole dello scrittore tedesco Ernst Jünger (1895-1998) — convertitosi al cattolicesimo al compimento del secolo d’età, cioè circa tre anni prima di morire —, che scrisse: «Quando tutto è silenzio le cose cominciano a parlare; pietre, animali, stelle e piante diventano fratelli e sorelle e comunicano ciò che è nascosto» (2).
Dopo l’esplosione della Rivoluzione culturale del Sessantotto, una sorta di misticismo pagano orientaleggiante ha ribaltato le cose: non più la natura come creato e come ponte verso Dio, ma una Natura — scritta rigorosamente con la maiuscola — vista come depositaria del divino, divina essa stessa, nella quale ogni albero, ogni fiore, ogni essere vivente è una teofania, cioè la manifestazione di un’energia divina, impersonale, permeante l’intero universo. Questa è la descrizione del pianeta, nella mia esperienza lavorativa, di chi poi mi chiede «incontri ravvicinati del terzo tipo» con gli elementi naturali. Cronologicamente, l’ultima richiesta mi è giunta da una professionista scandinava, lo scorso settembre, desiderosa di «conoscere», in senso biblico, la rarissima quercia da sughero (Quercus suber).
Vorrei soffermarmi sulle radici filosofiche degli ecosex, ricordando un significativo insegnamento del filosofo Marcello Pera: «Non si pensi che le filosofie siano lussi per iniziati che si consumano solo nelle università. Sono potenti strumenti di penetrazione e diffusione di idee-forza veicoli di opinioni influenti. Così è sempre stato» (3). Nel corso di questi ultimi anni, riflettendo sul variegato e complesso «universo verde» che va costituendosi, si è andata formando in me la convinzione che il «nonno» degli ecosessuali attuali sia il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (1775-1854), autore di quella che potremmo considerare una vera e propria «Bibbia verde», Idee per una filosofia della Natura: «Cosa lega la pietra a un uomo? […] Che cos’è dunque quel legame segreto che unisce il nostro spirito con la natura, o quell’organo nascosto mediante il quale la natura parla al nostro spirito o il nostro spirito alla natura? […] La natura deve essere lo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui dunque, nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere il problema di come sia possibile una natura fuori di noi» (4). L’uomo e il sasso, dunque, sarebbero legati fra loro, perché nella visione di Schelling non vi è alcuna distinzione fra natura organica e inorganica, anzi l’uomo stesso è Natura. Dicendo questo, Schelling mette le mani avanti, respingendo sia una visione teleologica, di stampo religioso, sia la visione meccanicistica della Natura, dedotta da una scienza di stampo cartesiano, secondo la quale i singoli fenomeni sono legati da una serie ininterrotta di rapporti causa-effetto, che però non spiegano, nell’insieme, né il fenomeno della vita, né la totalità della natura.
Che cosa lega, dunque, l’uomo a un sasso? Come detto, Schelling rifiuta una visione trascendente della Natura, il cui fine è imposto dall’esterno, da un Dio personale e Creatore: la Natura, in questo modo, secondo lui, verrebbe privata della sua autonomia. Secondo il filosofo tedesco l’unità fra organico e inorganico, semplificata nel legame tra uomo e sasso, è dovuta al fatto che essi non rappresentano altro che due momenti diversi della manifestazione dello Spirito, cioè di una forza intelligente, vitale, ma del tutto inconscia, impersonale, totalmente immanente alla Natura stessa. L’ovvia conseguenza di questo pensiero si palesa istantaneamente alla nostra intelligenza: se tutto nella Natura, organico e inorganico, è un «uno» indistinto, è annullata ogni densità ontologica tra le creature, e l’uomo è contemporaneamente stella, fiore, ginepro, mirto, lentisco, quercia, potendo, pertanto, ri-connettersi, secondo il proprio desiderio, con ogni elemento minerale, vegetale, animale. Tutto, dunque, è riassunto nella Natura dell’uomo, perché secondo Schelling la Natura nell’uomo prende coscienza di sé, rendendosi visibile a sé stessa: è un’unità vitale, senziente.
Diversamente da Schelling sia la filosofia classica, sia quella cristiana, soprattutto quella cattolica, hanno sempre argomentato e sostenuto la dottrina della gerarchia dell’essere. Il filosofo e padre stimmatino Cornelio Fabro (1911-1995), sulla scorta della filosofia greca e di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), insegnava che l’actus essendi, proprio di Dio, conferiva l’essere in atto ai vari enti creati, proporzionatamente alla loro essenza, vista come una sorta di diaframma fotografico, che in base all’apertura lascia passare una maggiore o minore quantità di luce verso la pellicola ieri, il sensore oggi. Pertanto, nell’universo creato esiste una enorme varietà di essenze, più o meno aperte a ricevere l’essere, dalle più piccole alle più grandi, le quali, potendo accogliere «quantità» differenti di essere, determinano una scala che va dal regno minerale agli angeli, passando per l’uomo, vertice del creato materiale. Certamente, tutti gli enti sono creati da Dio, ma non tutti sono amati da Lui allo stesso modo. Questo fatto è confermato sia dalla ragione, sia dalla fede: ricordiamo che Gesù nel Vangelo ha insegnato che noi essere umani valiamo «più di molti passeri» (Lc. 12,7).
Questa concezione gerarchica dell’essere ha iniziato a essere intaccata seriamente a partire dal 2002, quando venne pubblicata l’opera di Jean-Marie Schaeffer, La fin de l’exception humaine (5), cioè «la fine dell’eccezione umana», in cui l’autore, dando concretezza alle idee di Schelling, sosteneva che ormai erano maturi i tempi per prendere coscienza di una verità «emersa» dal flusso della storia: nei nostri giorni non si poteva più vedere nell’uomo una qualche superiorità rispetto alle altre specie viventi. La strada per un animalismo radicale, anti-specista ed ecosessualista era aperta: la «barriera di specie», insegnata dalla Genesi, era stata abbattuta dalla filosofia moderna. Progressivamente, malgrado gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa, le idee per la Natura di Schelling sono penetrate anche all’interno del pensiero cattolico.
L’esempio, forse, più eclatante di questa influenza sul cattolicesimo è recente. Lo scorso settembre, la rivista dei gesuiti statunitensi America Magazine ha pubblicato un articolo della teologa americana Elizabeth A. Johnson C.S.J., intitolato Che cosa significa credere in un Dio ecologico? (6). Secondo la teologa bisogna proseguire nel cammino di de-ellenizzazione della teologia cattolica, fenomeno iniziato agli albori della modernità in campo protestante e che noi, oggi, dobbiamo portare avanti fino alle estreme conseguenze. Posta questa premessa, il resto viene da sé. L’assunzione della filosofia greca all’interno del pensiero cristiano ha portato alla gerarchia dell’essere, con la conseguente classificazione piramidale delle creature: dal sasso all’uomo, nell’ordine naturale, e poi all’angelo nell’ordine soprannaturale. La Johnson vuole rifare tutto da capo. Sostiene che per secoli abbiamo equivocato sulla Rivelazione, non riuscendo a comprendere, come cattolici, che l’amore di Dio creatore è rivolto indistintamente, e in egual modo, a tutte le creature. Ovviamente la pensava diversamente Benedetto XVI (2005-2013), che nello splendido ed equivocato discorso di Regensburg, in Germania, a proposito del valore perenne del pensiero greco e, dunque, contro ogni de-ellenizzazione all’interno della teologia cattolica, scrisse: «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per sé stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. […] L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr. At 16,6-10) — questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco.
«[…] Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale — un dato che ci obbliga anche oggi» (7). La teologa americana ignora Benedetto XVI e, a più riprese, invoca l’autorità del magistero di Papa Francesco, convinta di trovarvi un sostegno della massima autorità ecclesiastica alle sue tesi eterodosse. Fra le tante citazioni che la Johnson prende da Francesco, ne scelgo una, tratta dall’enciclica Laudato si’, laddove, giustamente, parlando del legame fra l’essere umano e le altre creature, il Pontefice dice: «Implica pure l’amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» (8). Però la Johnson omette accuratamente di citare la conclusione dell’enciclica sul punto: «Perciò, in ordine ad un’adeguata relazione con il creato, non c’è bisogno di sminuire la dimensione sociale dell’essere umano e neppure la sua dimensione trascendente, la sua apertura al “Tu” divino. Infatti, non si può proporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell’immanenza» (9). Nella seconda parte della citazione, Papa Francesco mette in guardia da una visione della natura puramente romantica ed estetica: magari sarà solo una suggestione personale, ma mi piace pensare che il Pontefice stia mettendo in guardia da una visione parziale della natura, modellata proprio sulle idee di Schelling; secondo tali idee, mia figlia, vostro figlio, agli occhi di Dio e, dunque, anche nostri, valgono esattamente quanto una mosca.
Lo studioso Luciano Sole coglie nel segno, quando descrive con accuratezza il corretto rapporto fra l’uomo e gli altri enti del creato, secondo l’insegnamento della Chiesa: «Molto spesso emergono due atteggiamenti erronei: il primo quando l’uomo si considera alla stessa stregua delle altre creature, inferiori a lui e viene meno alla dignità a cui lo ha innalzato il Creatore; il secondo, all’opposto, lo spinge a considerarsi padrone assoluto, che fa e disfà a proprio uso e consumo, senza pensare che tutto è stato fatto da Dio con ordine e bellezza» (10).
Per meglio specificare il suo pensiero, la teologa Johnson ha coniato un neologismo: «gli esseri umani […] insieme a tutte le altre creature, formano una sola, amata comunità della creazione» (11). La sua tesi, dunque, è che tutte le creature avrebbero il medesimo grado di partecipazione all’essere, senza alcuna differenza di densità ontologica. Abbiamo, così, chiuso il cerchio alla domanda fatta in partenza da Schelling: «Cosa lega l’uomo a un sasso?». Ecco spiegata la nascita degli ecosessuali: l’essere umano e l’albero sono due diverse manifestazioni dell’unico Spirito, a sua volta un tutt’uno con la Natura, dunque sono fatti della medesima «pasta». Si è instaurato, in questo modo, una sorta di egualitarismo ontologico, prodromico a ogni altro tipo di egualitarismo, per cui non vi è alcuna distinzione fra un essere umano e una quercia da sughero: entrambi apparterrebbero alla medesima «comunità di creazione».
Note:
1) Cfr. il mio Ecosessuali: chi sono?, in Cristianità, anno L, n. 418, novembre-dicembre 2022, pp. 43-46.
2) Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, Milano 2013, p. 3.
3) Marcello Pera e Joseph Ratzinger (1927-2022), Senza radici. Europa. Relativismo. Cristianesimo. Islam, Mondadori, Milano 2004, p. 33.
4) Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, Introduzione a Idee per una filosofia della natura, in Luigi Pareyson (1918-1991), Schelling. Presentazione e antologia, Marietti 1820, Torino 1975, p. 143.
5) Cfr. Jean-Marie Schaeffer, La fin de l’exception humaine, Gallimard, Paris 2007.
6) Cfr. Elizabeth A. Johnson C.S.J., Che cosa significa credere in un Dio ecologico?, trad. it., in Aggiornamenti Sociali, anno LXXIII, n. 8-9 (74), agosto-settembre 2023, pp. 492-499.
7) Benedetto XVI, Discorso Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, 12-9-2006.
8) Francesco, Enciclica «Laudato si’» sulla cura della casa comune, del 24-5-2015, n. 220.
9) Ibid., n. 119.
10) David S. Koonce, L.C. (a cura di), Padre, Onnipotente, Creatore: la teologia della creazione tra Dio e il mondo, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2022, p. 69.
11) E. A. Johnson C.S.J., op. cit., p. 495.