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Ragioni per il Sì al «referendum» confermativo della riforma costituzionale approvata nella XIV Legislatura

7 Ottobre 2011 - Autore: Alleanza Cattolica

Comunicato di Alleanza Cattolica

1. Premessa. Domenica 25 e lunedì 26 giugno 2006 si svolge il referendum confermativo della riforma costituzionale approvata nel 2005 nel corso della XIV Legislatura. Tale riforma non interviene sul testo originario della Costituzione del 1948, bensì — per la parte della cosiddetta devolution — su quello della riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001 dal Centrosinistra. Quest’ultima riforma da tempo viene ripudiata perfino da chi l’ha proposta, sostenuta e approvata, e però resterebbe in vigore se prevalessero i No alla prossima tornata referendaria. È da ritenersi sbagliata perché ha moltiplicato le materie di competenza regionale concorrente, e in tal modo ha alimentato i conflitti fra Stato e Regioni, con una mole di ricorsi che hanno ingolfato il lavoro della Corte Costituzionale: circa 450 ricorsi per 380 sentenze. Ha inoltre assegnato alla competenza regionale concorrente materie d’interesse nazionale, o addirittura sopranazionale come le «grandi reti di trasporto e di navigazione», la «distribuzione nazionale dell’energia», la «ricerca scientifica», l’«ordinamento delle professioni»: quasi che possano esistere discipline differenti, regione per regione, per i notai, gli avvocati, i grandi porti o le ferrovie… il tutto senza alcun temperamento in ossequio all’interesse nazionale, assente da quel testo.

2. Erroneamente si fa coincidere la riforma del Centrodestra con la cosiddetta devolution. In realtà l’intera seconda parte della Costituzione viene interessata dalle modifiche del 2005, in un quadro d’insieme e organico, i cui punti salienti sono: a) la fine del bicameralismo perfetto, fonte di lungaggini per l’approvazione di un testo di legge: cambiare anche una sola parola in un testo laboriosamente approvato da una Camera finora ha costretto a un ritorno all’altra Camera, ritorno non sempre privo di rischi per l’approvazione definitiva; b) una chiara distinzione di materie di competenza legislativa fra l’uno e l’altro ramo del Parlamento; c) la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 518 alla Camera dei Deputati, da 315 a 252 al Senato; d) la riduzione dell’età per poter essere eletti deputati — da 25 a 21 anni —, senatori — da 40 a 25 anni — e Capo dello Stato: da 50 a 40 anni; e) poteri più incisivi in capo al Primo Ministro — la cui candidatura è espressamente indicata nella scheda elettorale —, nella direzione di una maggiore efficienza, incluso quello di nominare e revocare i ministri e di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere: un potere identico a quello che ha il Sindaco con i suoi Assessori; f) poteri di garanzia più estesi in capo al Presidente della Repubblica, cui è affidato il compito, fra l’altro, di nominare il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura e i presidenti delle Authority; g) norma antiribaltone, al fine di rispettare la volontà dell’elettore: viene garantito il mantenimento della stessa maggioranza uscita dalle urne, anche nell’ipotesi in cui dovesse cambiare il Primo Ministro, il che comunque deve avvenire in modo trasparente, con una mozione da discutere in Parlamento; h) una più chiara distinzione di competenze fra Stato, Regioni e autonomie locali, con l’indicazione più netta delle materie di competenza esclusiva rispettivamente dello Stato e delle Regioni, e con la delimitazione meno confusa delle materie di competenza concorrente; e i) l’identificazione del Senato federale come luogo istituzionale di raccordo fra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, essendo composto in larga parte di rappresentanti delle une e delle altre.

3. Per le materie di competenza regionale esclusiva vale comunque il principio dell’interesse nazionale. Per esempio, lo Stato fisserà gli standard inderogabili delle prestazioni sanitarie.

4. Secondo il costituzionalista professor Augusto Barbera, il cui Manuale è in uso nelle università italiane, già eletto in Parlamento nel Pci e poi nel Pds, su Il Sole 24 Ore del 17 ottobre 2004, «il testo della Casa delle Libertà, anche se spesso contorto e farraginoso, è attento alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo forte, adeguato alla realtà italiana. È paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato ad un ministro come Roberto Calderoli rimediare ai pericoli per l’unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo Quinto dell’Ulivo. Di cui, tra l’altro, nel centro sinistra si fa a gara per disconoscere la paternità».

5. A proposito del «rischio per la democrazia» spesso evocato dal Centrosinistra, che deriverebbe, in particolare, dai poteri del Primo Ministro, giova riportare il testo presentato dal sen. Cesare Salvi, dei Democratici di Sinistra, che presiedeva il Comitato competente, al plenum della Commissione bicamerale presieduta dall’on. Massimo D’Alema, nella seduta del 28 maggio 1997: «La candidatura alla carica di Primo Ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione del Parlamento, secondo le modalità stabilite dalla legge elettorale, che assicura altresì la pubblicazione del nome del candidato Primo Ministro sulla scheda elettorale» (art. 1 co. 2); «Il Primo Ministro, sentito il Consiglio dei Ministri, sotto sua esclusiva responsabilità, può chiedere lo scioglimento del Parlamento, che sarà decretato dal Presidente della Repubblica. Il decreto di scioglimento fissa la data delle elezioni» (art. 3 co. 1).

6. Se da esponenti del Centrosinistra si ammette di condividere più aspetti della riforma approvata dal Centrodestra, perché eliminarla in toto, lasciando il testo della riforma del 2001, oggi ripudiata anche dal Centrosinistra, e non lavorare invece, nei 5 anni che restano all’entrata in vigore del nuovo ordinamento, per rettificare parti che restino oscure? Il No equivarrebbe a cancellare tutto. L’esperienza fallimentare delle Bicamerali di Bozzi (1983), De Mita (1992) e D’Alema (1998) induce a non rinviare a nuovi lavori parlamentari e a salvare quello che di positivo esiste nella riforma del 2005.

Roma, 13 giugno 2006
Festa di sant’Antonio di Padova
 

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