Nato nel 1023, educato bambino da una sorella monaca, si fece a dieci anni oblato del monastero benedettino nell’abbazia di Lobbes, in Francia. Compì gli studi sotto la guida di un ottimo insegnante e fu a sua volta professore in diversi monasteri. In quella prima metà dell’XI secolo le scuole monastiche erano ancora le grandi depositarie e trasmettitrici della cultura. La consacrazione sacerdotale, avvenuta nel 1053, a trent’anni, sembra aver costituito una svolta decisiva nel suo cammino di santità spingendolo sempre più verso la preghiera e la contemplazione. Dopo un fallito tentativo di raggiungere in pellegrinaggio la Terrasanta ed una visita a Roma, ritornato in Francia fu eletto all’unanimità, nonostante le sue resistenze, abate dell’abbazia di St. Hubert (1055). Incontrò, come lo stesso patriarca dell’ordine, san Benedetto, molte difficoltà tra i suoi stessi monaci, diversi dei quali lo accusarono di trascurare la guida pratica del monastero per darsi alla contemplazione e alla preghiera. Ma, con paterna pazienza, superò ogni difficoltà ed estese, anzi, l’influenza dell’abbazia; St. Hubert fu, per il trentennio in cui lo ebbe come abate, un centro di fervore spirituale e di irraggiamento della cultura. Fedelissimo al papato, allora impegnato nella dura lotta per la libertà dalle ingerenze temporali, si recò molte volte a Roma. Morì nel 1087, dopo aver intrepidamente difeso l’abbazia contro signori laici ed ecclesiastici. Le sue reliquie furono disperse nel XVI secolo dai calvinisti che si accanivano contro il culto e il ricordo dei santi, ostili ad ogni mediazione tra gli uomini e Dio. Ma di mediazione noi abbiamo bisogno. Ed in particolare gli intellettuali, che tanto stentano – stentiamo – ad unire alla cultura il fervore religioso e lo spirito di contemplazione.
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Mercoledì, 24 luglio 2019