Barocco e interpretazione tipologica ne “Il Trionfo di Debora e Barak” di Francesco Solimena
di Michele Brambilla
Nel rito ambrosiano il Tempo dopo la Pentecoste, che corrisponde alle settimane che intercorrono tra la solennità di Pentecoste e il 29 agosto, festa del Martirio di san Giovanni Battista, viene dedicato alla lettura tipologica dell’Antico Testamento: si ripercorre la storia di Israele per ritrovarvi le prefigurazioni di Cristo (i tipi) e l’azione costante dello Spirito Santo, che ora illumina la Chiesa Cattolica e la assiste nella sua missione evangelizzatrice. Si ripercorrono quindi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, I e II Samuele, I e II Cronache, I e II Re, e i profeti fino a giungere, con I e II Maccabei, alle soglie della venuta di Cristo. La Genesi è già stata letta integralmente durante la Quaresima assieme a Giobbe, Tobia e Giona, ma viene ripresa nelle prime domeniche dopo la Pentecoste per ricordare i Patriarchi.
Come si è detto, l’Antico Testamento è sempre letto alla luce del Nuovo Testamento. La raffigurazione di episodi del primo fu abbondante nelle vetrate e nelle sculture medioevali, mentre a seguito della Riforma protestante (1517) e del Concilio di Trento (1545-1546), nei Paesi cattolici furono compiute scelte pastorali che privilegiavano gli episodi più intelligibili da parte del popolo illetterato e le prefigurazioni dei Sacramenti. Appare pertanto una vera e propria rarità il Trionfo di Debora e Barak del pittore napoletano Francesco Solimena (1657-1747), poiché va a scegliere un episodio poco noto del libro dei Giudici (Gdc 4, 1-23).
La vicenda è presto detta: Israele, appena insediato nella Terra promessa, viene minacciato dai popoli pagani circostanti, che si alleano per attaccare il popolo eletto. Barak, che apparteneva alla tribù di Neftali ed era il comandante delle truppe ebree, chiese l’aiuto soprannaturale della profetessa Debora e la condusse con sé nell’accampamento, collocato sulla cima del Monte Tabor, dove un giorno avverrà la Trasfigurazione del Signore (Lc 9, 28-36). Nonostante l’inferiorità numerica, gli Ebrei trionfarono miracolosamente dei loro nemici e Debora innalzò un lungo cantico di ringraziamento al Signore (Gdc 5, 1-31).
Solimena decide di raffigurare proprio l’intonazione del cantico. Debora è raffigurata su un trono sopraelevato e impreziosito di drappi. Con la sinistra accarezza un libro (la Legge mosaica), mentre con la destra indica Barak trionfante, il quale, rivestito di una preziosa armatura seicentesca (l’abbigliamento degli altri soldati presenti sulla scena imita, invece, la divisa degli antichi soldati romani), giunge dal campo di battaglia a recare alla profetessa la lieta notizia della vittoria di Israele. Il generale è incoronato vincitore dagli angeli, che porgono dall’alto corone di alloro.
La composizione, con i suoi scorci, i giochi di luce, i pepli delle ancelle di Debora e le loriche dei soldati di Barak, la solennità dei gesti e la concitazione dei cavalli in primo piano, rispetta appieno i canoni della pittura barocca e del classicismo settecentesco, ma anche le analogie della teologia biblica: ogni vittoria militare del popolo ebraico è prefigurazione della vittoria pasquale di Gesù sul peccato e sulla morte, così come Debora, donna forte e ispirata, anticipa caratteristiche che saranno della Madonna. La nuvola di angeli nasconde la cima del Tabor, esattamente come la nube che proprio in quel luogo avvolgerà san Pietro, san Giacomo e san Giovanni durante la Trasfigurazione di Cristo (Lc 9, 34).
Sabato, 1 agosto 2020