di Marco Invernizzi
Si sta dibattendo molto, spesso a sproposito, di razzismo, come se fosse il problema fondamentale dell’Italia e forse dell’Europa e soprattutto come se in l’Italia ci fosse un’emergenza a cui fare fronte. Qualcosa del genere avvenne con il neo-fascismo a partire dagli Anni Sessanta, con i risultati tragici che abbiamo potuto sperimentare.
Raramente però qualcuno spiega che cosa sia il razzismo, quando sia nato e perché, distinguendolo da fenomeni, magari deplorevoli, ma che nulla hanno a che fare con questa ideologia della modernità.
Infatti il razzismo nasce nel mondo moderno, quando si frantuma l’unità che il cristianesimo aveva costruito nei secoli, contribuendo a dare vita a un senso comune e a un sistema politico, la Cristianità, che aveva permesso a popoli diversi per religione, cultura e civiltà di stare insieme, di convivere, magari con difficoltà ma senza odiarsi e scannarsi come invece avverrà quando questa unità verrà meno, dopo la Riforma e le rivoluzioni nazionaliste e liberali dell’Ottocento e dopo la lunga guerra civile europea dal 1914 al 1989. Sarà infatti in questo periodo che, in seguito all’implosione della Cristianità, comincerà a manifestarsi quell’ideologia che prenderà il nome di razzismo, per quindi diventare il razzismo che conosciamo, cioè l’idea della superiorità di una razza sulle altre, idea che con il nazionalsocialismo e poi il regime di Hitler cercherà di conquistare l’Europa.
Il razzismo è una delle ideologie più odiose tra quelle che si sono manifestate nella modernità perché usa le differenze fra i popoli per imporre il dominio di un gruppo umano sugli altri, incitando prima all’indifferenza e poi all’odio, per quindi passare alla guerra culturale e/o militare. Essa può svilupparsi in Europa perché finiscono il senso comune cristiano e il diritto naturale, che avevano portato nella cultura l’idea della centralità della persona, una delle grandi novità insegnate da Cristo e penetrate lentamente nelle popolazioni che lungo i secoli hanno accolto il Vangelo.
Ma parlare di razzismo oggi appare come qualcosa di strumentale. La paura che nasce di fronte alla immigrazione incontrollata, al pericolo del terrorismo, all’aumento della criminalità non ha nulla a che vedere con il razzismo. Si tratta semplicemente della paura di non potere vivere nella tranquillità dell’ordine, come sant’Agostino chiamava la pace interna delle nazioni. Una paura incomprensibile per chi vive lontano dalle periferie delle città dove questa insicurezza è maggiormente visibile e vota per i partiti progressisti, che parlano di multiculturalismo e mettono in guardia contro le identità.
Già, l’identità. Sembra proprio essere questo il nemico di chi scende in piazza contro un razzismo che non c’è: bisogna eliminare l’identità della famiglia rifiutando la differenza padre/madre così come bisogna eliminare le identità nazionali in nome di un globalismo astratto e senza radici. Ma come la differenza sessuale è necessaria per costruire una famiglia, così le differenze fra gli uomini sono necessarie per una comunità e quelle fra i popoli per un ordine internazionale: ognuno porta il suo specifico per il bene di tutti.
Non dovrebbe essere difficile cogliere questo aspetto di contrasto delle identità nelle manifestazioni antirazziste come quella di Milano di sabato 2 marzo. Quel modo di pensare, diffuso dai media più importanti e dagli intellettuali più famosi, si sposa con l’ideologia gender e con il multiculturalismo.
Naturalmente le identità sono state usate e possono esserlo ancora per motivi ignobili. Il razzismo e il nazionalismo sono espressioni del pensiero moderno anticristiano così come il socialcomunismo e il relativismo. Ma che la nostra epoca sia caratterizzata da un’aggressione contro la famiglia e le identità dei popoli è sotto gli occhi di tutti oltre che attestato dai tanti interventi in questo senso del Magistero pontificio. Ecco perché stupisce come alcuni importanti rappresentanti del mondo cattolico non riescano a vedere questi “segni del nostro tempo” e addirittura si compiacciano delle manifestazioni antirazziste di questi ultimi giorni.
Nel frattempo la gente più semplice e più umile cerca di resistere, continuando a credere che famiglia, patria, identità non siano brutte parole ma esprimano il meglio dell’umano. Ed è veramente singolare che vengano accusati di odiare. Chi ha molti capelli bianchi ricorderà negli Anni Sessanta quanto odio e quanta violenza vennero riversate nelle scuole e nelle strade contro il pericolo fascista, che non c’era. Oggi rischiamo di ripetere lo stesso tragico errore.
Matedì, 04 marzo 2019
*foto ANSA