Don Pietro Cantoni, Cristianità n. 144-145 (1987)
In un magistrale approfondimento della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, del Concilio Ecumenico Vaticano II, i termini per superare definitivamente il collasso della mariologia — che ha caratterizzato il postconcilio — e per penetrare nel mistero di Cristo, della Chiesa e della storia attraverso la Madre del Signore, rinnovando spiritualità e devozione alla scuola di san Luigi Maria Grignion de Montfort, nella prospettiva del Millennio della conversione della Rus’ al cristianesimo.
Nel settantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima
«Redemptoris Mater»
«Coltivata a lungo nel cuore» il 25 marzo 1987 è stata resa pubblica la sesta enciclica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II Redemptoris Mater, con la quale la trilogia costituita dalle precedenti Dives in misericordia, dedicata a Dio Padre, Redemptor hominis, dedicata a Dio Figlio, e Dominum et vivificantem, dedicata a Dio Spirito Santo, diventa una tetralogia (1).
L’autorevole atto di magistero accompagna e interpreta l’indizione di un Anno Mariano, decorrente dalla Pentecoste del 1987 — che cade il 7 giugno — all’Assunzione del 1988, inteso a «far risaltare la speciale presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della sua Chiesa» e insieme a «promuovere una nuova ed approfondita lettura anche di ciò che il Concilio ha detto sulla Beata Vergine Maria» (n. 48).
Come è noto, in occasione del Concilio Ecumenico Vaticano II si svolse un acceso dibattito — con i Padri divisi in due «partiti» numericamente pressoché equivalenti — a proposito della disposizione dello schema mariano nel contesto dei documenti conciliari. Il dilemma se si dovesse dedicare alla Madonna un documento a sé oppure se se ne dovesse trattare in quello sulla Chiesa, fu all’origine dello schieramento, interpretato come contrapposizione fra massimalisti, cioè sostenitori dell’opportunità di un testo a sé stante, e minimalisti, favorevoli all’inserimento nel documento sulla Chiesa. E «di fatto la vittoria della mariologia ecclesiocentrica condusse immediatamente al collasso della mariologia in genere» (2), cioè l’accostamento della Beata Vergine Maria alla Chiesa fu per lo più frainteso in senso grossolanamente riduzionistico.
Benché i tempi più bui della crisi della mariologia — almeno nei suoi aspetti più spettacolari — si possano considerare superati, si impone anche a questo proposito un’attenta rilettura del testo conciliare per recuperare, attraverso l’indispensabile lettera, lo spirito autentico, esorcizzando nello stesso tempo quel deleterio «anti-spirito» del Concilio che ha imperversato nel postconcilio (3). E l’enciclica Redemptoris Mater introduce appunto sulla via di una corretta lettura dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, svolta alla luce di tutta quanta la Tradizione.
Anzitutto bisogna notare che il testo si presta con molta difficoltà a una sintesi e non solo, e non tanto, per la sua straordinaria «densità» o per lo stile caratteristico del Santo Padre Giovanni Paolo II — che ritorna continuamente sul già detto per approfondirlo —, quanto per la sua stessa natura: si tratta, infatti, più di un’enciclica «da fare» che «da leggere», di una meditazione, di una traccia che invita a percorrere un cammino accompagnati — meglio, «preceduti» (n. 6) — dalla Beata Vergine attraverso il mistero di Cristo, della Chiesa e di tutta la vita cristiana, sia individuale che sociale. Si tratta, ancora, di un cammino che dischiude vaste prospettive di «teologia della storia», di un cammino che, appunto, si presta più a essere fatto che non a essere descritto.
Questa constatazione contiene già in sé importantissimi orientamenti, in quanto indica nella dimensione contemplativa — che ha un legame ovvio con Colei che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) — e nella preghiera la strada maestra di ogni autentica «riforma» nella Chiesa (4); quindi, posta la particolare attenzione dell’enciclica sul problema ecumenico, si sottolinea come, oltre il pur necessario dialogo teologico, la via che ultimamente conduce i «fratelli disuniti» (n.29) a ritrovare l’unità nella vera Chiesa è costituita dalla preghiera, e dalla preghiera con Maria, in Maria, a Maria.
Ovviamente, osservare che si tratta di una meditazione non significa assolutamente sminuirne la ricchezza teologica. Anzi, abituati a contrapporre pietà e teologia — in questo incoraggiati, per così dire, da una certa teologia — dall’enciclica si viene introdotti sulla via maestra di una «pietà teologica».
La «peregrinazione della fede» di Maria
Il documento ha una struttura doppiamente ternaria, cioè consta di tre parti suddivise a loro volta in tre sezioni, e sia i titoli che la suddivisione in sezioni — pur adeguati a rendere il rispettivo contenuto — non compaiono nel testo ufficiale latino.
Dopo l’Introduzione (nn. 1-6), la prima parte tratta di Maria nel mistero di Cristo e si articola in 1. Piena di grazia (nn. 7-11), 2. Beata colei che ha creduto (nn. 12-19) e 3. Ecco la tua madre (nn. 20-24). All’elezione eterna da parte di Dio — Piena di grazia — Maria risponde con una fede perfetta — Beata colei che ha creduto —; per questa fede si associa intimamente a tutta l’azione redentrice di Gesù, fino al Calvario, e si proietta oltre in una maternità universale — Ecco la tua madre.
La seconda parte — La Madre di Dio al centro della Chiesa in cammino — espone la speciale relazione che lega Maria e la Chiesa: Maria è presente nella Chiesa come colei che è «beata perché ha creduto» (n. 25) e questo rapporto viene colto come da tre punti di vista diversi. Nella prima sezione — La Chiesa, Popolo di Dio radicato in tutte le nazioni della terra (nn. 25-28) — Maria è colei che «precede» nella fede il popolo di Dio, in modo tale che questa sua fede segna l’inizio della Nuova Alleanza come quella di Abramo segnò l’inizio dell’Antica (nn. 27 e 14), ed è come partecipata da «tutti coloro che, di generazione in generazione», accettano «la testimonianza apostolica della Chiesa» ed è ricercata come «sostegno per la propria fede» (n. 27). Nella seconda sezione — Il cammino della Chiesa e l’unità di tutti i cristiani (nn. 29-34) — Maria è vista in relazione all’ecumenismo. «I cristiani sanno che la loro unità sarà veramente ritrovata solo se sarà fondata sull’unità della loro fede» (n. 30); e a questo proposito il Santo Padre sembra proporre quasi un paradosso, in quanto sostiene che, pur costituendo il dogma mariano una delle «non lievi discordanze di dottrina» (n.30) che ostacolano questa unità nella vera fede, il cammino dell’ecumenismo deve passare attraverso Maria. La terza sezione è quindi dedicata al Magnificat: Il «Magnificat» della Chiesa in cammino (nn. 35-37). La fede prodigiosa ed esemplare di Maria nell’intervento salvifico di Dio, che fino al momento della Visitazione era rimasta nascosta, si sprigiona con il Magnificat e si fa solenne professione di fede (n. 36). Questa «professione […] di fede» rimane la fondamentale professione di fede della Chiesa: il male e le potenze del male non trionfano, la vittoria dell’onnipotente è già un fatto! «Nel Magnificat essa vede vinto alla radice il peccato posto all’inizio della storia terrena dell’uomo e della donna, il peccato dell’incredulità e della “poca fede” in Dio» (n. 37).
La terza parte è tutta dedicata a un punto di straordinaria importanza teologica ed ecumenica: la mediazione di Maria. Per il Papa, come per tutta la Tradizione, essa è anzitutto Mediazione materna, si fonda sul dono dell’Altissimo per cui Maria è «piena di grazia» (Lc 1,38). Perciò la prima sezione si intitola Maria, Serva del Signore (nn. 38-41). Tale mediazione si attua poi come «materna sollecitudine» (n. 22) nei confronti della Chiesa e di ogni cristiano, di cui tratta la seconda sezione Maria nella vita della Chiesa e di ogni cristiano (nn. 42-47); essa deve attuarsi oggi in modo particolarissimo alle soglie del terzo millennio cristiano, come si dice nella terza sezione su Il senso dell’Anno Mariano (nn. 48-50).
La straordinaria densità del testo sconsiglia una sua lettura analitica — soprattutto in sede di presentazione — e spinge piuttosto a segnalare alcuni aspetti particolarmente significativi.
Maria e la sacra Scrittura
Anzitutto, oltre alla ricchezza di riferimenti biblici, importa il modo in cui sono letti, il metodo esegetico con cui sono affrontati. Poiché è invalso l’uso di parlare di «silenzio della sacra Scrittura» a proposito di Maria, è necessario correggere questa espressione. Infatti la Scrittura tace se non la si legge come deve essere letta, cioè come un testo che — al di là della frammentazione letteraria — ha una profonda e meravigliosa unità di ispirazione, che a essa viene dall’avere Dio come autore principale. Questa unità di ispirazione è talmente intrinseca al testo biblico che il non tenerne conto equivale a condannarsi a non dare più ragione non soltanto del suo spirito, ma anche della sua lettera. Il metodo del Santo Padre Giovanni Paolo II è quello dell’analogia biblica — che comporta unità profonda di Antico e di Nuovo Testamento — e dell’analogia della fede, che implica l’armonia dei misteri della fede colta nella Scrittura, nei Padri e in tutta la grande tradizione della Chiesa. Sulla base di questa lettura appaiono allora relazioni prima insospettate e si dischiudono sensi profondi non accomodatizi, ma assolutamente oggettivi. Così, per esempio, la «donna» di Gen 3,15 — «Io porrò inimicizia fra te e la donna» — ricompare sulla bocca di Gesù in momenti fra i più significativi del suo ministero: a Cana di Galilea, quando dà inizio ai suoi «segni» — «Che ho da fare con te o donna?» (Gv 2,4) — e ai piedi della croce — «Donna, ecco il tuo figlio!» (Gv 19,26) —, per accompagnare, nell’Apocalisse, la conclusione di tutto il dramma della storia umana: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole» (12,1). La presenza di Maria, che sembra quasi marginale a uno sguardo superficiale, si rivela allora — nella solida architettura messa in luce dai passi paralleli dell’Antico e del Nuovo Testamento — come la chiave di volta, subordinata a Cristo ma inseparabile da lui, di tutta la storia della salvezza.
Teologia della storia
Altro aspetto rilevante del documento magisteriale è appunto la profonda visione della storia. Anche se solamente abbozzata, vi si può scorgere un’imponente «teologia della storia». La storia si rivela come un dramma, non un lineare procedere verso un immancabile lieto fine, come neppure un inarrestabile e fatale moto di caduta: il «progresso» è essenzialmente un cammino che si snoda fra la possibilità e la realtà del «cadere» e quella del «risorgere» (n. 52). Al centro della storia — afferma il Santo Padre nella Conclusione — sta la «“grande svolta”, che è determinata per l’uomo dal mistero dell’incarnazione. E una svolta che appartiene a tutta la sua storia, da quell’inizio che ci è rivelato nei primi capitoli della Genesi fino al termine ultimo, nella prospettiva della fine del mondo di cui Gesù non ci ha rivelato “né il giorno né l’ora” (Mt 25,13). È una svolta incessante e continua tra il cadere e il risollevarsi, tra l’uomo del peccato e l’uomo della grazia e della giustizia. La liturgia, specie nell’Avvento, si colloca al punto nevralgico di questa svolta e ne tocca l’incessante “oggi e ora”, mentre esclama: “Soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere”!
«Queste parole si riferiscono ad ogni uomo, alle comunità, alle nazioni e ai popoli, alle generazioni e alle epoche della storia umana, alla nostra epoca, a questi anni del Millennio che volge al termine: “Soccorri, sì soccorri il tuo popolo che cade”!» (n. 52).
La storia è dunque un dramma, un’alternativa incessante fra il «cadere» e il «risorgere». Al centro di questo dramma vi è la «grande svolta» dell’Incarnazione. Al centro di questa «grande svolta» vi è Maria, la «donna» della Genesi, del Calvario e dell’Apocalisse: ella è «collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza» (n. 11).
Mediazione materna
Altro punto degno di rilievo è lo sviluppo della dottrina sulla mediazione. Il Papa sottolinea, con il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si tratta di una mediazione che «nasce dal beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia; non impedisce minimamente l’immediato contatto dei credenti con Cristo, anzi lo facilita» (5).
Sempre con evidente preoccupazione ecumenica e con analoga preoccupazione di situarsi al di qua di tutte le possibili dispute teologiche, il Papa segnala il «carattere di intercessione» della mediazione di Maria (n. 21). Le dispute soggiacenti — per limitarsi al campo cattolico — sono fondamentalmente tre: quella relativa alla natura della cooperazione di Maria alla redenzione operata da Cristo, se prossima e immediata oppure se remota e mediata; quella relativa all’influsso di Maria nella vita di grazia dei cristiani, se con un’intercessione di indole morale oppure anche con un influsso di ordine «fisico»; infine, quella relativa all’uso del termine «corredentrice», problema — almeno di per sé — squisitamente di opportunità. Il Santo Padre — come d’altronde il Concilio Ecumenico Vaticano II (6) intende situarsi al di qua di queste dispute, appoggiandosi sul nucleo più accertato della dottrina, al fine di dare nuovo slancio non tanto alla teologia quanto alla spiritualità e, quindi, alla devozione mariana. Tuttavia, l’insistenza sulla «presenza» di Maria — termine frequentissimo nel documento —, presenza nel mistero di Cristo, nella Chiesa, nell’esistenza cristiana individuale e sociale — che pone l’accento più sull’esse di Maria che sul suo operare —, così come l’insistenza sul carattere materno della sua mediazione, sembrano tendere a suggerire un modo più profondo di intervento della Madonna che non sia quello di una intercessione intesa nel suo senso più stretto.
Luigi Maria Grignion de Montfort
Le fonti di ispirazione del Sommo Pontefice per questa enciclica sono evidenti: in primo luogo la sacra Scrittura, quindi la Tradizione — particolarmente quella patristica —, poi il Magistero precedente, soprattutto il capitolo VIII della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. Vi è però anche una fonte quasi nascosta, un’ispirazione che affiora qua e là, in un punto soltanto in modo esplicito, ed è costituita dal Trattato della vera devozione alla santa Vergine di san Luigi Maria Grignion de Montfort (n. 48), con il quale è agevole istituire alcuni paralleli, destinati forse — dopo un esame più approfondito — ad aumentare. Comunque — oltre le consonanze testuali più o meno numerose — è degno di tutta l’attenzione il punto del documento pontificio relativo alla pratica dell’affidamento a Maria. Con le solenni parole di Gesù — nota il Sommo Pontefice — «Donna, ecco il tuo figlio!» ed «Ecco la tua madre!» (Gv 19,26-27), «ai piedi della Croce ha inizio quello speciale affidamento dell’uomo alla Madre di Cristo, che nella storia della Chiesa fu poi praticato ed espresso in diversi modi» (n. 45); e uno di questi modi è appunto la pratica della schiavitù mariana diffusa da san Luigi Maria, pratica che il Papa raccomanda autorevolmente: «[…] mi è caro ricordare, tra i tanti testimoni e maestri di tale spiritualità [mariana], la figura di san Luigi Maria Grignion de Montfort […], il quale proponeva ai cristiani la consacrazione a Cristo per le mani di Maria, come mezzo efficace per vivere fedelmente gli impegni battesimali. Rilevo con piacere come anche ai nostri giorni non manchino nuove manifestazioni di questa spiritualità e devozione» (n. 48) (7).
L’Anno Mariano
L’enciclica si conclude con l’indizione dell’Anno Mariano. In questo atto balza all’occhio una coincidenza evidentemente ricercata, cioè quella del «Millennio del battesimo di san Vladimiro, Gran Principe di Kiev (a. 988), che diede inizio al cristianesimo nei territori della Rus’ di allora e, in seguito, in altri territori dell’Europa orientale» (n. 50), che può essere considerato come il battesimo dei popoli della Russia. Immediato è il collegamento al messaggio di Fatima e alla richiesta avanzata dalla Madonna — e trasmessa da suor Lucia — relativa alla consacrazione della Russia e del mondo al Cuore Immacolato di Maria, richiesta non ancora realizzata in tutte le modalità pretese nella richiesta stessa (8). Perciò, le attese dei devoti di Fatima — in un momento della storia «collocato in un certo qual modo nel punto nevralgico che sta tra il “cadere” e il “risorgere”» (9) — si riaccendono di nuova speranza: infatti — fra altri aspetti segnalati — il documento pontificio pare situarsi nella prospettiva della realizzazione dell’entusiasmante promessa: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà».
Pietro Cantoni
Note:
(1) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Redemptoris Mater, del 25-3-1987, in L’Osservatore Romano, 26-3-1987. I riferimenti al documento contenuti nel testo rimandano alla suddivisione in paragrafi. La notazione «affettiva» è dello stesso Sommo Pontefice nel discorso all’udienza generale del 25-3-1987, ibidem.
(2) CARD. JOSEPH RATZINGER, Appendice a Maria, die Mutter des Herrn [Maria, la Madre del Signore], pastorale dei vescovi tedeschi, del 30-4-1979, in Theologisches, n.179, marzo1985, col. 6291.
(3) IDEM, Rapporto sulla fede, intervista a cura di Vittorio Messori, Edizioni Paoline, Torino 1985, p. 33.
(4) A conferma del fatto che si tratta di un orientamento generale del Magistero, noto come nella tradizionale lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo — documento che ha fatto immediato seguito all’enciclica — si dice che la preghiera è la «pietra angolare» da porre «alla base della […] esistenza sacerdotale» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1987, del 13-4-1987, n. 10, in L’Osservatore Romano, 15-4-1987).
(5) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 60. Il termine italiano «facilita» — che compare nelle traduzioni correnti — esprime in modo inesatto l’originale latino «fovet». Infatti, fovere significa in senso primario «riscaldare» e in senso secondario — quello inteso nel passo — «assecondare, appoggiare, sostenere, favorire». Di fatto, in tale passo si traduce «fovet» come se fosse «favet», voce del verbo favere, che significa appunto «facilitare». Rendono adeguatamente il testo latino sia la corrente traduzione tedesca — «wird […] gefördert» — che quella spagnola, «fomenta». Non si tratta — credo — di una sottigliezza, ma di sottolineare come l’influsso della Vergine Maria non sia qualcosa di estrinseco, ma si situi nell’ordine di una reale partecipazione all’opera della nostra rigenerazione in grazia, quella reale partecipazione d’altronde richiesta dal suo essere «madre nell’ordine della grazia» (ibid., n. 61).
(6) Cfr. ibid., n. 54. Sulla particolare questione dell’intercessione occorre ricordare che la Commissione Dottrinale, rispondendo alle proposte di emendazione del testo, precisò che quanto veniva detto appunto relativamente all’intercessione, doveva essere inteso «assertive» e non «exclusive». Anche l’espressione «multiplici intercessione» (ibid., n. 6 2 ) fu appositamente utilizzata per lasciare spazio a interpretazioni più ampie, nel senso della causalità strumentale (cfr. Constitutionis Dogmaticae Lumen Gentium Synopsis Historica, Istituto per le Scienze Religiose, Bologna 1975, p. 562).
(7) Il Papa propone un’esegesi più approfondita di quella suggerita dalla traduzione corrente: «E da quel momento il discepolo la prese con sé» (Gv 19,27), osservando che, «affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie “fra le sue cose proprie” […] la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano» (n. 45). Questa interpretazione è dimostrata con ineccepibile metodo di esegesi letteraria da IGNACE DE LA POTTERIE S.J., La parole de Jésus «Voici ta Mère» et l’accueil du Disciple (Jn 19,27b), in Marianum, anno XXXVI, fascicolo I, n. 110, 1974, pp. 1-39; e IDEM, «Et à partir de cette heure, le Disciple l’accueillit dans son intimité» (Jn 19,27b), ibid., annoXLII, fascicoli I-II, n. 124, 1980, pp. 84-125. Questa interpretazione è d’altronde l’interpretazione tradizionale, quella di san Luigi Maria Grignion de Montfort (cfr. Trattato della vera devozione alla Beata Vergine Maria, nn. 179 e 216) e del Magistero: «[…] la scienza esegetica moderna non ha fatto altro che raggiungere il Magistero su un terreno da esso esplorato da lunga data» (JEAN-MARIE SALGADO O.M.I., Mise à jour d’un bilan. La Maternité Spirituelle de la Sainte Vierge Marie dans l’Écriture Sainte, in Divus Thomas, vol. 87, fascicolo IV, Piacenza ottobre-dicembre 1984, p. 309).
(8) Cfr. ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO, Le apparizioni e il messaggio di Fatima secondo i manoscritti di suor Lucia, 4a ed. it., Cristianità, Piacenza 1982, pp. 57-64; circa l’insufficienza di quanto a tutt’oggi fatto dall’autorità ecclesiastica, cfr. RENÉ LAURENTIN, Al mondo, pensando al popolo russo, in Avvenire, 26-3-1987.
(9) CARD. J. RATZINGER, Presentazione alla stampa dell’enciclica «Redemptoris Mater», del 25-3-1987, in L’Osservatore Romano, 26-3-1987.