Il “non partito”, dai vaffa in piazza al campo largo
di Luca Basilio Bucca
Quindici anni fa, nei giorni 8 e 9 settembre 2007, si teneva in varie piazze italiane il primo V-Day, denominazione che intendeva richiamare il D-Day dello sbarco in Normandia, con la “V” del logo graficamente simile a quella del film del 2005, tratto dall’omonimo romanzo a fumetti, V per vendetta, ma in questo caso semplicemente lettera iniziale della parolaccia che fu mantra dell’evento.
Anche la data prescelta dell’8 settembre non era casuale, ma faceva riferimento al proclama con il quale, in quello stesso giorno del 1943, il maresciallo Pietro Badoglio (1871 – 1956) annunciava l’entrata in vigore dell’armistizio con gli Alleati e la rottura dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo.
L’iniziativa fu promossa dal comico Beppe Grillo, che già dal 2005 aveva avviato un’intensa attività comunicativa, in collaborazione con l’imprenditore Gianroberto Casaleggio (1954 – 2016), soprattutto attraverso il suo blog e il coordinamento territoriale dei meetup Amici di Beppe Grillo. Lo scopo dichiarato era quello di promuovere la raccolta firme per la presentazione di una legge di iniziativa popolare, riguardante l’elezione e la permanenza in carica dei parlamentari, in particolare contro la presenza nel parlamento italiano di condannati in via definitiva. L’esperienza fu poi replicata l’anno successivo, il 25 aprile 2008, con l’intento di raccogliere le firme per richiedere tre referendum su editoria e informazione pubblica.
L’iter della legge di iniziativa popolare, come anche dei referendum, non giunse a compimento, ma ormai il duo Grillo-Casaleggio aveva tracciato un altro percorso, ben più ambizioso, che portò nel biennio 2007-2009 alla promozione di liste civiche per le elezioni amministrative e regionali e, il 9 settembre 2009, alla fondazione del Movimento 5 Stelle. Un movimento, proclamatosi “non partito”, espressione della fluidità e del relativismo che caratterizzano l’epoca post-ideologica e, per questo, presentatosi come “oltre” la destra e la sinistra, probabilmente mosso, almeno al vertice, stando alla futurologia attribuita a Casaleggio, da una visione esoterica, gnostica e tecnocratica, catalizzando la rabbia e il dissenso verso la classe politica – la “casta” – giudicata, francamente spesso non a torto, trasversalmente inadeguata al ruolo, dedita più al perseguimento dell’interesse personale o di gruppo che al bene comune.
Le parole d’ordine di facile presa in quei primi anni erano onestà, trasparenza, uno vale uno, ma si cercava di evitare di entrare nel merito delle questioni, tenendo insieme una base con visioni e pensieri tra i più disparati e, spesso, tra loro contrastanti, dandole l’illusione della democrazia diretta attraverso il voto online e il primato della rete, producendo in realtà non vera partecipazione, ma disintermediazione, peraltro in una cornice di regole non sempre chiare. Questa la genesi del movimento, che conseguì i primi risultati elettorali significativi nel 2013, posizionandosi comunque all’opposizione, e nel 2018 raccolse un numero di voti tale da condizionare la formazione di qualsiasi maggioranza, giungendo così al governo prima con la Lega (il cosiddetto “Conte I”), poi con i partiti di sinistra (“Conte II”) e, infine, con la coalizione di larghe intese guidata da Mario Draghi, di cui ha determinato la caduta.
Proprio l’esperienza di governo ha fatto emergere, più di quanto accaduto nel periodo precedente, tutte le contraddizioni di questa realtà, rendendo visibili attriti interni, incoerenze, abbandoni, espulsioni, malumori, per non parlare della rottura con Davide Casaleggio, figlio e successore di Gianroberto, tutte circostanze che ne hanno ridotto il peso rispetto all’esito delle ultime elezioni politiche e che, realisticamente, la porteranno ad ancora minore rilevanza dopo le prossime elezioni.
Quella che in origine poteva apparire una “anomalia di sistema” adesso – dopo quattro anni di governo, alleanze con i partiti fino al giorno prima attaccati e gestione del potere spesso discutibile – risulta una compagine che il sistema ha per molti versi assimilato e “normalizzato”, ma non può certo ancora archiviarsi come una parentesi del passato. Resta quindi utile e necessario capire cos’è il Movimento 5 Stelle oggi.
In questo ci aiuta il significato delle cinque stelle, che richiamano cinque tematiche specifiche – inizialmente acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo, poi, con la Carta dei principi e dei valori del 2021, beni comuni, ecologia integrale, giustizia sociale, innovazione tecnologica ed economia eco-sociale di mercato – di fatto declinate spesso in assonanza con una visione vicina a posizioni di sinistra, socialiste ed ecologiste.
Proprio dalla lettura della Carta dei principi e dei valori si riesce a desumere oggi più chiaramente, in quanto messo nero su bianco, l’orizzonte culturale pentastellato e, nonostante il linguaggio spesso evanescente, si comprende meglio il motivo per il quale – al netto della temporanea rottura conseguita alla fine del governo Draghi – lo sbocco naturale del movimento è stato da ultimo il cosiddetto “campo largo” di centrosinistra.
Intanto l’esito delle elezioni del prossimo 25 settembre permetterà di capire se la parabola del Movimento 5 Stelle è davvero giunta al termine e se gli elettori del passato, ormai disillusi, guarderanno ad altre realtà o a nessuna. Ciò che sicuramente non terminerà è la crisi della politica – e della società – che hanno permesso a questo movimento di affermarsi, e questo è il vero problema dell’ora presente.
Sabato, 20 agosto 2022