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Ricetta semplice per sconfiggere l’evasione fiscale

13 Marzo 2018 - Autore: Maurizio Milano

di Maurizio Milano

“Pagare tutti per pagare meno” oppure “pagare meno per pagare tutti”? Non è la stessa cosa.

La prima ipotesi lascia intendere che le tasse sono sì elevate, ma per sola colpa degli evasori fiscali, senza i quali tutto filerebbe liscio; la seconda sottintende che pagare le tasse è sì un dovere del cittadino, ma che lo Stato ha il dovere ancora più importante di contenere le spese in modo da mantenere l’imposizione fiscale a livelli non oppressivi. Chi ha ragione?

In Italia, stante l’ammontare esorbitante della spesa pubblica ‒ circa 839 miliardi di euro nel 2017, pari al 49% del Prodotto interno lordo (Pil) ‒ ci sono pochi dubbi sulla correttezza della seconda ipotesi. Esiste una justa causa impositionis: lo Stato non ha il diritto morale di pretendere tasse ingiuste, cioè talmente elevate da compromettere quel bene comune che è il fine ultimo dell’organizzazione politica, la sua “ragione sociale”. L’imposta non può essere considerata una semplice “manifestazione della sovranità finanziaria dello Stato”, il cui potere di riscuotere coercitivamente diventerebbe ragione unica e sufficiente della liceità del prelievo: ius quia iussum, senz’alcun legame con esigenze di giustizia. D’altronde è un vizio antico: già Jean-Baptiste Colbert (1619-1683), ministro delle Finanze di Luigi XIV (1638-1715) re di Francia, scriveva: «L’arte della tassazione consiste nello spennare l’oca al fine di ottenerne la quantità massima di piume con il minimo di starnazzo possibile». Men che meno l’imposta dovrebbe servire per “colpire” chi ha di più, dando sfogo ai peggiori istinti d’invidia sociale.

L’uomo e la famiglia non appartengono allo Stato: come osserva san Tommaso d’Aquino (1225-1274) nella Summa Theologiae (cfr. I-II, q. 21, a. 4, ad 3), l’uomo è essenzialmente ordinato alla comunità politica, ma non lo è né «secundum se totum» né «secundum omnia sua», come invece è ordinato a Dio.

Anzitutto, quindi, il governo riveda il perimetro del proprio interventismo, tagli le spese non necessarie, gli sprechi e le regalìe alle varie lobby specializzate nella ridistribuzione del gettito fiscale. Così facendo, scenderà automaticamente la pressione fiscale “implicita” (misurata cioè dal peso della spesa pubblica sul Pil) e ci saranno spazi di manovra per abbassare anche quella ufficiale ed esplicita, pari in Italia al 42,9% del Pil. A quel punto, il governo che avrà dimostrato di prendersi cura del bene comune con la solerzia e lo spirito di sacrificio del padre di famiglia godrà anche dell’autorità morale necessaria a pretendere che il contribuente faccia il proprio dovere fino in fondo. E a propria volta il contribuente, a fronte d’imposte e di tasse ragionevoli, sarà anche meno incentivato a evaderle. È quanto è avvenuto, per esempio, con l’introduzione della cedolare secca sugli affitti che ha convinto spontaneamente molti proprietari d’immobili a dare in locazione le abitazioni in modo trasparente: se diminuiscono g’incentivi a evadere, e se contestualmente aumenta il rischio di essere colti in flagrante, la “convenienza economica” dell’evasione scema e l’onestà diviene ‒ anche solo meccanicamente ‒ un’opzione praticabile.

Realisticamente, lo Stato non può pretendere di funzionare basandosi sull’eroismo dei propri cittadini, ma deve amministrare creando un sistema di “sanzioni e ricompense” prossimo alla persona che renda anche “conveniente” per tutti comportarsi bene (cfr. Gustave Thibon [1903-2001], Ritorno al Reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, prefazione di Gabriel Marcel [1889-1973], trad. it. a cura e con considerazioni introduttive di Marco Respinti, Effedieffe, Milano 1998, pp. 285-295).

Perseguitare fiscalmente chi produce, per poi magare elargire “redditi di cittadinanza”, con il denaro del contribuente, al fine di acquisire o consolidare il proprio peso politico, vìola le più elementari esigenze di giustizia, che è la prima delle virtù sociali, pre-condizione per la stessa pace e concordia del Paese. Se opus iustitiae pax, quale sarà l’opus iniquitatis? Ogni riferimento al programma economico dei pentastellati è, ovviamente, puramente voluto.

Martedì 13 marzo 2018, San Rodrigo di Cordova

 

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