Da Avvenire del 24/04/2018. Foto da freeanimals
Mentre si attende che il governo pachistano metta la parola «fine» ai dubbi sulla sorte di Sana Cheema, la 25enne con passaporto italiano e residente a Brescia che secondo alcune fonti sarebbe stata uccisa dal padre e dal fratello in nome dell’onore familiare per il rifiuto ad accettare un matrimonio combinato nel Paese di origine della famiglia, la 24enne Asima ha concluso l’altra notte una lotta disperata con le ustioni che le avevano devastato l’80 per cento del corpo. La giovane è infatti deceduta nell’ospedale Mayo di Lahore, dove era stataricoverata l’11 aprile.In questo caso una condanna senza appello ha colpito la ragazza di fede cristiana, dopo che si era rifiutata di convertirsi all’islam per sposare un musulmano che, all’ennesimo diniego, l’ha incontrata con un sotterfugio, le ha gettato addosso dell’acido e poi l’ha cosparsa di cherosene e le ha dato fuoco. L’omicida, Rizwan Juggar, 30 anni, era noto a Asima perché amico del fratello e proprio frequentandone la casa siera innamorato della ragazza, descritta come una giovane vivace che si guadagnava da vivere come estetista e parrucchiera, assai apprezzata per la sua creatività nell’area di Sialkot, grande centro della provincia del Punjab. Rizwan ha confessato l’omicidio dopo una breve caccia all’uomo ed è stato arrestato domenica, ma il suo caso conferma la violenza crescente nel Paese, l’islamismo chiamato a giustificare tribalismo e sopraffazione in una società che va perdendo sempre più le proprie radici ideali.
Poco importa che anche questo caso sia stato affidato al giudizio rapido di un tribunale anti-terrorismo, come ormai da prassi dalla fine del 2014, anche sull’onda di una concreta minaccia terrorista e del controllo sempre più serrato dei militari sulla vita pubblica. Il vero nodo resta la discriminazione, accentuata da una «legge antiblasfemia» che incentiva delazione e accuse pretestuose con la scusa di proteggere la fede islamica maggioritaria. Non a caso il numero di non-musulmani arrestati e portati in giudizio è proporzionalmente assai più elevato della loro consistenza numerica nel Paese.
«Stava cercando di costringere la ragazza a sposarlo, ma lei ha rifiutato la sua proposta perché non voleva convertirsi all’islam», ha detto il padre di Asima, Jaqoob Masih. L’omicida rischia ora la pena capitale davanti agli stessi giudici che il 17 febbraio hanno condannato all’impiccagione il 24enne Imran Ali, riconosciuto colpevole di avere stuprato e ucciso, sempre nella stessa provincia dl Punjab, la piccola Zeinab. Un caso che ha sollevato come mai prima d’ora rabbia e richiesta di giustizia, ma che rischia di restare isolato davanti a una opinione pubblica che organizzazioni e a mass media faticano a coinvolgere a causa di repressione e forte censura.
Stefano Vecchia