Rimanere nel nome del Signore, come prega Gesù nel Vangelo della V domenica di Pasqua, significa collaborare attivamente alla Sua missione
di Michele Brambilla
Papa Francesco introduce il Regina Coeli del 2 maggio focalizzando la metafora-chiave inserita nella pagina evangelica assegnata alla liturgia del giorno, in cui Gesù paragona il rapporto che esiste tra il Redentore e la Sua Chiesa alla vite, i cui tralci si seccano se si allontanano dall’origine.
Cristo ripete con insistenza l’esortazione «rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Il Papa fa una precisazione molto importante: «questo rimanere non è un rimanere passivo, un “addormentarsi” nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita. No, non è questo. Il rimanere in Lui, il rimanere in Gesù che Lui ci propone è un rimanere attivo, e anche reciproco. Perché? Perché i tralci senza la vite non possono fare nulla, hanno bisogno della linfa per crescere e per dare frutto; ma anche la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non spuntano sul tronco dell’albero». Il Corpo mistico di Cristo, ovvero la Chiesa, si dilata a seconda dell’impegno missionario dei suoi membri: «è un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dare frutto. Noi rimaniamo in Gesù e Gesù rimane in noi».
«Forse», riconosce il Santo Padre, «ci sembra audace dire questo, e allora domandiamoci: in che senso Gesù ha bisogno di noi? Egli ha bisogno della nostra testimonianza. Il frutto che, come tralci, dobbiamo dare è la testimonianza della nostra vita cristiana. Dopo che Gesù è salito al Padre», ribadisce il Pontefice, «è compito dei discepoli – è compito nostro – continuare ad annunciare il Vangelo, con la parola e con le opere». Come possiamo riuscirci? «Attaccati a Cristo, riceviamo i doni dello Spirito Santo, e così possiamo fare del bene al prossimo, fare del bene alla società, alla Chiesa. Dai frutti si riconosce l’albero», come nel caso del nuovo beato José Gregorio Hernández Cisneros (1864-1919), laico venezuelano che ha vissuto appieno la sua vocazione di medico.
Si rimane ancorati a Cristo attraverso i Sacramenti e la preghiera: «“Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (Gv 15,7). Anche questo è audace: la sicurezza che quello che noi chiediamo ci sarà dato. La fecondità della nostra vita dipende dalla preghiera. Possiamo chiedere di pensare come Lui, agire come Lui, vedere il mondo e le cose con gli occhi di Gesù. E così amare i nostri fratelli e sorelle, a cominciare dai più poveri e sofferenti, come ha fatto Lui, e amarli con il suo cuore e portare nel mondo frutti di bontà, frutti di carità, frutti di pace».
Frutti che il Papa chiede per il Myanmar (ex-Birmania), sull’orlo della guerra civile. Altro dono della Pasqua di Cristo è l’unità dei discepoli nelle opere di bene. Ecco, allora, il Pontefice elogiare l’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto e richiamare l’esempio del Movimento Politico per l’Unità, fondato dalla serva di Dio Chiara Lubich (1920-2008) giusto 25 anni fa. Sempre in vista della ricostruzione dell’unità dei credenti, Francesco invia i suoi auguri alle Chiese ortodosse, che il 2 maggio festeggiano la Pasqua seguendo il calendario giuliano.
«Siamo entrati», inoltre, «nel mese di maggio, in cui la pietà popolare esprime in tanti modi la devozione alla Vergine Maria. Quest’anno esso sarà caratterizzato da una “maratona” di preghiera attraverso importanti Santuari mariani per implorare la fine della pandemia». Il Papa chiede di dedicare un’Ave Maria della Corona anche alla situazione della Birmania.
Lunedì, 3 maggio 2021