Da Avvenire del 25/11/2021
Il successo frutto dei talenti donatigli da Dio e del duro lavoro, la gratitudine e la carità per restituire al prossimo meno fortunato quanto ricevuto. Ennio Doris non era solo un uomo generoso, come ieri hanno ricordato in tanti, era soprattutto un sincero credente. «Oltre che un grande imprenditore – ha dichiarato ieri il cardinale Camillo Ruini – è stato un autentico testimone della fede e della carità cristiana».
In un pomeriggio alla fine della scorsa estate parlammo a lungo in un’intervista (pubblicata da Avvenire il 5 settembre 2021) che doveva focalizzarsi sul suo sostegno personale al ‘Senso del pane’, il laboratorio del carcere milanese di Opera aperto dalla ‘Fondazione Casa delle arti e dello Spirito’ guidata da Arnoldo Mosca Mondadori, dove i detenuti producono particole per le messe. E che invece si trasformò in una lunga conversazione, nonostante le condizioni di salute, nella quale parlò della sua vita. Legatissimo, si sa, alla famiglia («per me è tutto, mia moglie mi è stata donata da Dio»), Doris disse di aver ricevuto la prima, grande lezione di amore e di fede dai genitori prima e poi dai sacerdoti che aveva conosciuto nella sua infanzia, povera ma felice, che definiva un paradiso. «Ho passato la vita con la mano di Dio posata sul capo – disse –. Ho avuto tanto, quello che ho costruito l’ho fatto non per merito mio, ma perché il Padreterno mi ha fatto nascere in una famiglia che mi ha amato e poi mi ha donato talenti da mettere a frutto. Da credente, aiutare chi non ha più nulla a risollevarsi con il lavoro è il mio modo di ringraziare e restituire». Con grande umiltà affermava che il talento ricevuto dal Cielo era «il senso del numero». Ma a lui quel pomeriggio non interessava parlare di banca e business, piuttosto dell’importanza della carità. Alla domanda su cosa l’avesse spinto a finanziare il laboratorio di ostie in carcere rispose che lo gratificava la possibilità di ridare dignità agli ultimi, «fare in modo che con il lavoro anche chi ha sbagliato nella vita possa ripartire, scoprire e far fruttare il proprio talento. Se poi il lavoro è stampare quello che durante la Messa diventerà il Corpo di Cristo, mi sembra il massimo. Aiutiamo in Italia e in tutto il mondo persone che non avrei mai potuto conoscere. Arnoldo Mosca Mondadori mi ringrazia sempre per l’aiuto, ma sono io a ringraziarlo per avermi dato la possibilità di incontrare e aiutare chi ha bisogno, nel quale rivedo il volto di Cristo». Apprezzava il volontariato, quello organizzato e quello spontaneo, che in quel momento per lui era simboleggiato dall’immagine del diplomatico italiano a Kabul che salva un bambino. «Purtroppo ci raccontano sempre dell’albero che cade e ci dimentichiamo della foresta che cresce». Nel corso dell’intervista indossò i panni del banchiere solo una volta, per affermare che economia e finanza devono avere valori etici e andare oltre il profitto immediato: «Ha ragione il Papa, economia e finanza devono essere al servizio dell’uomo». Infine si congedò con una frase che oggi suona come un testamento spirituale. «Credo che quando andremo nell’Aldilà, come mi hanno insegnato, ci verrà chiesto per prima cosa come abbiamo messo a frutto i talenti e poi chi abbiamo aiutato. Per me ciascuno deve essere messo in condizione di farli fruttare. Così si ha il centuplo quaggiù, si crea un mondo migliore e si aiuta la gente».