È bello ciò che è bello o è bello ciò che piace? Di solito ci si trincera dietro il de gustibus non disputandum est, lasciando a ciascuno le sue preferenze soggettive. Ma l’oggettività si impone di fronte al contrasto tra soavi fragranze e cattivi odori.
di Stefano Chiappalone
È bello ciò che è bello o è bello ciò che piace? E piace perché è bello o lo diventa automaticamente per il fatto di piacere? Qualcuno si ergerà a proclamare l’inderogabile oggettività del bello appoggiandosi all’autorità tomista del «pulchritudo splendor veritatis». Qualcun altro, forse senza tutti i torti ma neanche tutte le ragioni, obietterà che «de gustibus non disputandum est», magari un po’ offeso, e la disputa andrà avanti all’infinito.
Lasciamoli, dunque, disputare e addentriamoci in una sfera dell’estetica poco considerata: il profumo. L’esperienza del bello, infatti, si avvale di tutti i sensi, compreso l’olfatto, tant’è che in un celebre componimento di Cielo d’Alcamo (sec. XIII) l’innamorato paragona l’amata a una «rosa fresca aulentissima», ovvero profumatissima. L’aroma che si sprigiona dalla cucina di un ristorante ci indica già la qualità del cibo che ci attende e generalmente ciò che è gradevole al naso lo sarà anche alla vista e al palato. Il profumo della lavanda o delle arance o delle spezie, la fragranza di una rosa o quello che si diffonde da una pasticceria all’ora di colazione hanno un effetto simile a quello di un’opera d’arte: elevano l’animo o, quantomeno, tirano su di morale. Peraltro, l’olfatto, così come il gusto e il tatto, va sperimentato direttamente, a differenza di immagini e suoni, come osserva Jonah Lynch ne Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook (Lindau, Torino 20132): forse un privilegio, più che un limite, nonché uno dei mille motivi per non accontentarsi della pur utilissima realtà virtuale.
Nel Cantico dei Cantici vi è un tripudio di «nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo, con ogni specie di alberi d’incenso, mirra e àloe, con tutti gli aromi migliori» (Ct 4,14). Il profumo parla di bellezza e di pulizia: una persona maleodorante risulta di conseguenza poco attraente. La loro stessa varietà si dispiega nelle varie dimensioni, da quella erotica a quella liturgica a quella funeraria. Sin dall’antichità ci si serve di aromi per ornare i vivi e onorare i morti (la mirra). In quest’ultimo caso vi è un curioso paradosso tra l’unguento destinato alle spoglie mortali e il fetore della putrefazione, così come si contrasta la decomposizione dei cibi mediante le spezie. Vale a dire che non ci si limita a coprire (invano) un cattivo odore con uno buono, ma a contrastarne la causa stessa con qualcosa di vitale. Il contrasto olfattivo diviene così un simbolo del tentativo di sconfiggere la morte.
E allora torniamo ai nostri litiganti di cui sopra. Non verranno a capo della loro disputa, finché non troveranno l’unione tra ciò che è bello e ciò che (oggettivamente) piace. Finché una folata di vento, carica di odori buoni o cattivi, non ricorderà loro che possono avere sensibilità diverse su questo o quel dettaglio, ma entrambi saranno attratti da una «rosa fresca aulentissima» e soffriranno invece una oggettiva ripugnanza per i miasmi di una cloaca. Così, lungi dal risolvere l’annosa questione in poche righe, un aspetto apparentemente marginale ci ricorda che de gustibus disputandum est (eccome!) e anche de odoribus…
Sabato, 25 giugno 2022