
Donna, monaca, scrittrice, drammaturga. Rara avis della letteratura mediolatina del X secolo.
di Leonardo Gallotta
Rosvita scrive otto Leggende sacre, sei Drammi in prosa rimata e due Poemetti storici. Nella sua produzione drammatica “la Grazia divina interviene sempre a salvare ogni essere umano, a patto che abbia il vivo desiderio di volgersi al bene”.
Rosvita è nome italianizzato, ma nella tradizione è riportato in forme varie: Hrotsvith o Hrotswith ed anche Roswitha. Nata in Sassonia da nobile famiglia, le date di nascita e di morte sono approssimative, anche perché ricavate da inferenze interne alle sue opere. La nascita sarebbe comunque da porsi all’incirca nel 935 e la morte poco dopo il 973. Il nome, poi, deriverebbe dall’antico tedesco hruod–svind, tradotto da lei stessa in latino con il termine clamor validus, in italiano voce squillante o altisonante. La sua esistenza è legata al monastero benedettino di Gandersheim dove entrò ancor giovane e dove rimase fino alla morte.
Va subito detto che la sua posizione all’interno del monastero era particolare: non semplice monaca, ma canonichessa (1). Si deve sapere infatti che le fanciulle dell’aristocrazia non destinate al matrimonio, in convento pronunciavano i voti monacali di castità e di obbedienza, ma non indossavano il velo ed erano quindi dette virgines non velatae; potevano gestire i propri beni, avere servitù propria, frequentare la Corte e coltivare conoscenze di rango elevato e di elevata cultura. In termine latino corretto, Rosvita era una Ancilla Dei canonica. Proprio per questa sua posizione con la conseguente possibilità di contatto con maestri di cultura al seguito di Ottone di Sassonia (912 – 973 d.C.), ella conosce i maggiori poeti pagani in lingua latina, nonché gli scrittori cristiani Agostino, Boezio, Alcuino e Prudenzio.
La prima badessa che si occupò della sua educazione fu Rikkarda che la istruì nelle arti del Quadrivio, cioè Musica, Astronomia, Matematica, Geometria. Successivamente fu invece Gerberga, la badessa di Gandersheim nipote di Ottone, che la introdusse nelle arti del Trivio, vale a dire Grammatica, Dialettica, Retorica. Si tenga presente che il monastero di Gandersheim, per concessione di Ottone, aveva un diritto di signoria autonomo, con il permesso di battere moneta ed istituire tribunali propri: insomma un piccolo principato guidato da donne.
Il Corpus delle opere rosvitiane si compone di tre libri: nel primo si hanno otto Leggende sacre (2); nel secondo sei Drammi in prosa rimata (3) e nel terzo due Poemetti storici in esametri leonini (4). Un enigma è rappresentato dalla esiguità della tradizione manoscritta: dopo il successo delle sue opere, limitato tuttavia nello spazio e nel tempo, non se ne seppe più nulla fino al 1500, quando lo studioso rinascimentale Conrad Celtis (latinizzato in Conradus Celtes) scoprì un codice con tutte le opere di Rosvita nel Convento di Sant’Emmerano, il Codex Monacensis lat. 14485. Esistono anche altri codici manoscritti che contengono tuttavia solo frammenti o parti dell’Opera omnia. In questa sede ci soffermiamo solo sulla produzione drammatica di Rosvita, risalente agli anni tra il 962 e il 965. Prima, tuttavia, occorre far riferimento alla rinascita culturale voluta da Ottone I di Sassonia e caldeggiata soprattutto da suo fratello, l’Arcivescovo Brunone, considerato da Rosvita l’uomo più colto del suo tempo. Alla Corte imperiale si riunirono, oltre a Brunone, due tra i più grandi eruditi dell’epoca, Raterio da Verona e Liutprando da Cremona. Da Raterio Rosvita apprese la tecnica della prosa rimata.
Veniamo ai drammi che sarebbe forse più corretto chiamare dialoghi drammatici (5). Che fossero stati scritti per una rappresentazione teatrale è da escludere senza ombra di dubbio. Forse essi venivano recitati a più voci nel monastero davanti a un pubblico formato da sole monache o, al massimo, da qualche importante invitato.
Un annoso problema relativo alla produzione drammatica di Rosvita è quello dei suoi rapporti col commediografo latino Terenzio. Nella prefazione alle sue opere è la stessa Rosvita che dichiara di tenere presente Terenzio per quel che riguarda lo stile, la forma espressiva, ma non i contenuti che erano lascivi e licenziosi (6). E in effetti i dialoghi ci appaiono ben diversi, soprattutto perché sono cristiani. Un aspetto ricorrente è quello della crudeltà morale e fisica derivante dalla ossessiva sensualità degli uomini nei confronti della donna, la quale, tuttavia, riesce sempre, nei drammi, a trionfare sul suo oppressore, non certo nell’immediato piano materiale, ma su quello della dimensione eterna. Nel caso del Gallicano e del Callimaco, sono Costanza e Drusiana a portare i loro innamorati verso la conversione e la santità. Se poi qualcuno immaginasse racconti “purgati” da aspetti scabrosi, si sbaglierebbe. Nei suoi drammi troviamo bordelli, lupanari e addirittura il racconto di una necrofilia mancata da parte di Callimaco nell’omonimo dramma e poi la sfrenata sensualità di Dulcizio, nonché la violenza fisica a danno delle giovani vergini e martiri.
Le vicende, pur nella crudezza di alcune descrizioni, vogliono mostrare che la Grazia divina interviene sempre a salvare ogni essere umano, a patto che abbia il vivo desiderio di volgersi al bene. È così per Gallicano, Callimaco, Maria e Taide, incamminatisi per la via stretta verso la patria celeste.
“Se questo è il messaggio del teatro di Rosvita – così Anna Maria Sciacca – il buon Terenzio le ha dato lo stimolo iniziale e qualche indicazione stilistica e lessicale, ma la canonichessa ha poi percorso la sua strada, che è quella di una convinta adesione alla dottrina della salvezza cristiana”.
Sabato, 8 marzo 2025
NOTE
1. Canonichessa è detta Rosvita, perché doveva adempiere al canonico ufficio di preghiera (le Ore canoniche) sette volte al giorno, pur con i privilegi connessi al suo stato di monaca non velata.
2. Ecco i nomi di queste otto Leggende sacre, dette anche Poemetti sacri: Maria, Ascensione, Gongolfo, Pelagio, Teofilo, Basilio, Dionigi, Agnese. Tutte queste opere sono in versi e basate sugli Acta martyrum, ma anche su una letteratura apocrifa che circolava in quel tempo, nonostante la condanna di tali scritti da parte di papa Innocenzo I.
3. Si tratta di sei drammi, o meglio dialoghi drammatici, in prosa rimata. Eccone i nomi: Gallicano, Dulcizio, Callimaco, Abramo, Pafnuzio, Sapienza. Si deve tener presente che la prosa rimata è la specie più frequente nel Medioevo di prosa ritmica e la sua caratteristica è l’omeoteleuto (identiche terminazioni) tra parti correlate fra loro.
4. Si tratta di due poemetti dal titolo Gesta Othonis e Primordia Cenobii Gandershemensis. Il primo tratta delle imprese di Ottone I, mentre il secondo illustra le origini del monastero di Gandersheim. Quanto all’esametro leonino, il nome è di dubbia origine. Solitamente lo si lega a Leone da San Vittore, canonico di Parigi o a Magister Leoninus musicista della scuola di Nôtre Dame, entrambi tuttavia vissuti nel XII secolo, di cui poco si sa. Tale esametro è caratterizzato dalle rime tra i due emistichi separati dalla cesura pentemimera. Esso è comunque già attestato nel VII secolo.
5. A dire il vero Rosvita li definisce commedie, in evidente riferimento a Terenzio.
6. Ecco, in traduzione, la precisa affermazione di Rosvita: “Io, voce altisonante di Gandersheim, non ho disdegnato di imitare Terenzio, visto che altri lo onorano con la lettura, affinchè con lo stesso tipo di intonazione stilistica, con cui si recitavano i vergognosi atti di donne lascive, sia celebrata la lodevole purezza delle caste vergini, secondo le possibilità del mio ingegno”. A proposito di Terenzio, occorre dire che nel teatro comico romano piuttosto rozzo e volgare (si pensi al linguaggio osceno e sguaiato di Plauto) le sei commedie di Terenzio (sei come i drammi sacri di Rosvita) suggeriscono un ideale di filantropìa, ossia di rispetto e di buona disposizione verso il prossimo. È forse un caso che la frase che sintetizza l’humanitas classica sia proprio di Terenzio? Eccola: Homo sum, humani nil a me alienum puto. Sono uomo, nulla di ciò che è umano è estraneo a me.