Ci sono monumenti antichi che suscitano ammirazione nonostante la rovina, in un eloquente contrasto con quel che resta degli edifici contemporanei. Persino i ruderi parlano della civiltà che li ha innalzati.
di Stefano Chiappalone
Cos’è il celeberrimo Colosseo, se non un enorme e maestoso frammento di quello che fu l’anfiteatro Flavio? Se il Cupolone è ancora integro e “operativo”, l’altro simbolo della Città Eterna altro non è che un eterno rudere, cui tuttavia è legata la stessa stabilità dell’Urbe e dell’Orbe: «Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma; cum cadet Colyseus cadet et Roma; cum cadet Roma cadet et mundus» («Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo»), recita una profezia attribuita a San Beda il Venerabile (673-735) – attribuita e forse erroneamente, ma per una volta rinunciamo al rigore filologico poiché la frase, come si suol dire, «se non è vera, è bene inventata.
Su un altro magnifico rudere non mi dilungo, avendone i miei venticinque lettori fin sopra la testa per quanto mi è caro: ed è l’abbazia di San Galgano, dedicata all’omonimo santo di Chiusdino (Siena), poco più in basso della rotonda che ne custodisce la spada infissa nella roccia, di cui altrove ho parlato.
Ma con sorpresa ne vado scoprendo analoghi esempi: c’è una “San Galgano” abruzzese a Bussi sul Tirino (Pescara), cioè la chiesa di Santa Maria di Cartignano, edificata nel secolo XI e che tuttora, pur scoperchiata (o proprio per questo), impone una doverosa sosta a chi vi si reca sul posto attratto dalla fama (e dalla fame) dei gamberi di fiume.
Poi ancora in Scozia, l’abbazia gotica (e già cistercense) di Melrose, più volte vittima di guerra, nel Trecento e poi nel Cinquecento, ma ancora in grado di raccontare storie a chi si avventura tra le sue ogive e ne interroga i volti celesti o mostruosi che dimorano tra le sue pietre.
Più recente e più remota è la chiesa di Cagsawa, nelle isole Filippine, costruita dai francescani all’incirca mentre le “sorelle” europee cadevano in rovina. Ricostruita dopo un attacco dei pirati olandesi, cedette infine nel 1814 all’eruzione del vulcano Mayon.
Tornando al Bel Paese, esso è disseminato di “aree archeologiche”, le quali, a pensarci bene, altro non sono che raccolte più o meno ampie di frammenti, vestigia, pezzi, colonne amputate e architravi monche, splendide spoglie mortali di architetture non più in vita.
In disuso da secoli, nessuno mai ne auspicherebbe la rimozione, come avverrebbe invece per un qualsiasi edificio di anni recenti che andasse incontro alla medesima decadenza. Passiamo davanti a una vecchia scuola dai muri sporchi o una fabbrica fallita dai vetri rotti, e quei resti ci ispirano al massimo insicurezza e spavento. Niente ammirazione: non c’è nulla di vetusto, né di maestoso tra le macerie della postmodernità. Ogni epoca ha i ruderi che si merita e che meglio la rappresentano.
Sabato, 23 luglio 2022