di Marco Invernizzi
Il
giornalista che lo intervista fa il suo mestiere e cerca sempre di
mettere in contrapposizione dialettica il pontificato che lo vide
protagonista, quello di san Giovanni Paolo II (1978-2005), e
l’attuale, ma il card. Camillo Ruini non cade nel trappolone, e si
smarca. I poveri non sono una invenzione di Papa Francesco, che pure
li ha messi al centro del proprio pontificato, ma una costante
attenzione della Chiesa, dai Vangeli a oggi, e san Giovanni Paolo II
ha costantemente insegnato l’«amore preferenziale per i poveri».
Intervistato sul Corriere
della Sera
da Aldo Cazzullo,
il cardinale afferma questa e molte altre verità al di fuori dello
schema del “politicamente corretto”.
Ruini ha cercato di
applicare alla Chiesa italiana il magistero di Papa Wojtyla, in
quanto capo dei vescovi italiani e vicario del Papa per un lungo
periodo, dal 1991 al 2008. In particolare ha costantemente cercato di
rendere attuale l’insegnamento presente nel discorso
che il Pontefice rivolse alla Chiesa italiana a Loreto, nel 1985,
per chiedere ai cattolici italiani di intervenire nella storia,
soprattutto attraverso un’azione culturale che porti a un
cambiamento della società, dunque cessando di delegare a partiti
politici quella presenza pubblica a cui il mondo cattolico non può
rinunciare. Nacque così una stagione in cui i cattolici presero atto
di essere diventati una minoranza nel Paese e cercarono, invece di
farsi contare costituendo un nuovo partito dopo la fine della
Democrazia Cristiana, di influenzare gli schieramenti politici
venutisi a creare in seguito al mutamento del sistema elettorale, nel
frattempo divenuto prevalentemente maggioritario.
Ruini ricorda come questo metodo, espresso particolarmente nel “progetto culturale” presentato alla Chiesa italiana nel convegno ecclesiale di Palermo del 1995 (metodo che peraltro il cardinale non vuole certo mitizzare) diede frutti buoni: in particolare, l’Italia si è risparmiata allora una deriva antropologica a livello legislativo (legge sull’omofobia, eutanasia, fecondazione assistita) che invece si è verificata negli anni successivi, mentre in quel periodo cercò di invertire la rotta con la legge 40 del 2004, una legge sulla procreazione medicalmente assistita certamente non cattolica ma che poneva limiti legislativi oggettivi alla fecondazione assistita.
Tuttavia le parole di Ruini sono ancora più importanti per la visione umana che lasciano trasparire, prima che per i giudizi politici, peraltro molto equilibrati, come quando invita a non condannare ideologicamente Matteo Salvini e l’esibizione pubblica del Rosario, che invece potrebbe essere letta come un tentativo, magari discutibile ma efficace, di superare il “politicamente corretto” e «affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico».
Quello che colpisce in modo particolare nelle sue parole è la dimensione soprannaturale che emerge, non per sottovalutare l’importanza della politica, ma per chiarire la diversa importanza che intercorre tra la fede, il giudizio culturale e l’impegno politico. E nell’intervista appare evidente il legame che intercorre fra la volontà di superare «le tentazioni contro la fede nella salvezza futura» soprattutto attraverso la preghiera e la necessità di esprimere un giudizio chiaro («il principale motivo per cui non sappiamo più chi siamo è che non crediamo più di essere fatti a immagine di Dio» e di conseguenza «non abbiamo più la nostra identità»). Soltanto dopo diventa importante l’impegno politico.
C’è una frase che fa molto riflettere al termine dell’intervista: «Fino a Kant, l’immortalità dell’anima era l’idea prevalente tra i filosofi; il vero scandalo del cristianesimo è la resurrezione dei morti». A qualcuno potrebbe apparire fuori contesto, ma cercare di ricomporre questa frattura antropologica, non solo nel modo di pensare dei filosofi ma nel costume quotidiano della popolazione, richiama a un lavoro, quasi a un apostolato culturale, che è essenziale e che precede qualsiasi azione politica. Quest’ultima è necessaria, ma viene sempre dopo.
Domenica, 3 novembre 2019