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“Russiagate, Trump non è l’artefice ma la vittima”

19 Febbraio 2018 - Autore: Marco Respinti

Da La bianca Torre di Ecthelion del 19/02/2018. Foto da articolo

Tre troll-factory e tredici cittadini russi sono stati incriminati dall’FBI venerdì 16 febbraio nel quadro delle indagini sul cosiddetto “Russiagate”. Il procuratore speciale Robert Mueller (con qualche scheletrino nell’armadio) si avvicina sempre più al presidente Donald J. Trump? Niente affatto.

L’accusa mossa da Mueller ai russi incriminati è quella di avere interferito con le elezioni presidenziali statunitensi del 2016 attraverso campagne di denigrazione di alcuni candidati (acquisto di spazi pubblicitari, account falsi sui social network, e così via) e invece campagne di sostegno ad altri onde pilotare l’opinione pubblica e quindi manovrare l’elettorato. Il tutto avrebbe preso le mosse da lontano, iniziando addirittura nel 2014, e avrebbe configurato un piano ramificato chiamato “Project Lakhta”. Tra gli accusati, il nome più grosso è quello di , uomo di potere assai vicino a Vladimir Putin, che, attraverso alcune società (si occupa di catering), versava l’equivalente di 1,2 milioni di dollari al mese all’Internet Research Agency di San Pietroburgo, la principale delle tre troll-factory accusate d’interferenze. I candidati presi di mira sarebbero stati i Repubblicani Ted Cruz e Marco Rubio nonché la Democratica Hillary Clinton; quelli invece favoriti Trump e il socialista Bernie Sanders. Cosa c’entra Trump? Nulla. Per una serie di motivi

Primo. Se per scopi propri una potenza estera cerca di creare scompiglio negli Stati Uniti, e se riesce a farlo, finisce ovviamente che qualcuno ci guadagna e che qualcuno ci perde. Tra chi ci guadagna vi saranno ovviamente all’estero la potenza che ha gettato scompiglio, all’interno degli Stati Uniti la figura strumentalizzata per gettare scompiglio. In questo caso Trump. Ma lui non centra. È solo l’anello finale di una catena che non ha forgiato. Affinché Trump possa eventualmente essere ritenuto complice di questa strategia, se non persino il mandante, ci vuole di più, molto di più che la sola incriminazione di personale straniero che lo ha usato per influenzare a proprio vantaggio le elezioni statunitensi. Legami di Trump con gl’incriminati infatti non ce ne sono. Tra l’altro, se tutto questo è vero, oltre a Trump ci ha guadagnato (in immagine e in potere) anche Sanders. La differenza è che Sanders non ha vinto la Casa Bianca. La differenza è che la Casa Bianca Trump se l’è vinta da solo, con fatica e strettissimo margine.

Secondo, il vantaggio elettorale decisivo che la camarilla russa avrebbe prodotto per Trump è tutto da dimostrare. Quando lo si fosse dimostrato, bisognerebbe comprendere come mai i russi avrebbero brigato tanto per ottenere solo un risultato elettorale più che risicato nel novembre 2016: la minoranza dei voti popolari e la perdita di seggi Repubblicani sia alla Camera sia al Senato federali.

Terzo. L’azione dei russi non è stata mirata a far vincere Trump, ma solo a creare scompiglio. I candidati su cui, secondo l’accusa, i russi avrebbero puntato erano i due “fuori controllo” della scena, Trump a destra e a Sanders a sinistra. La volontà di creare scompiglio è evidente. Stati Uniti scompigliati significa Stati Uniti meno competitivi sullo scenario mondiale a tutto vantaggio delle altre potenze. La Russia, appunto. Non fosse così, non si capirebbe l’“aiuto” che avrebbero dato non solo a Trump ma anche al suo antagonista Sanders.

Quarto. Se i russi non avessero agito solo per questo motivo, perché mai avrebbero dovuto sacrificare i propri altarini con la gallina dalle uova d’oro alias Hillary Clinton con cui avevano già concluso affari ricchi di denaro e di potere con quell’“Uraniumgate” su cui però nessuno indaga più?

Quinto. Il fatto che Trump abbia vinto le elezioni non c’entra con i russi. Se, come dice Mueller, i russi hanno iniziato a destabilizzare l’opinione pubblica statunitense nel 2014, significa che il loro scopo non era affatto eleggere Trump, ma appunto solamente creare confusione per giovarsene. Nel 2014, infatti, Trump nemmeno si sognava di entrare in politica.

Sesto. Delle trame russe Trump non sapeva nulla. Chi lo dice? Il procuratore speciale Mueller nell’atto d’incrimanzione al punto 6, pagina 4: «Some Defendants, posing as U.S. persons and without revealing their Russian association, communicated with unwitting individuals associated with the Trump Campaign and with other political activists to seek to coordinate political activities». Alcuni degl’incriminati russi hanno avvicinato, sotto mentite spoglie e senza comunicare di essere cittadini russi, alcuni membri dello staff elettorale di Trump nel tentativo di cooordinare attività politiche assieme, ma hanno approcciato solo dei singoli, i quali erano pure ignari e inconsapevoli.

Non è possibile insomma accusare Trump del fatto che qualcuno abbia immaginato di sfruttare anche lui a proprio vantaggio dentro una strategia d’interferenza ben più ampia e antica nel momento in cui egli si è posto elettoralmente in vista. Il solo pensarlo è stupido. Lo dice il grande investigatore Mueller. Eppoi gli Stati Uniti (non bisogna essere degli antiamericani per partito preso per dirlo) hanno sempre interferito con le elezioni di tutto il mondo coltivando il proprio legittimo interesse nazionale. Se i Paesi pilotati erano d’accordo è un conto, ma se invece erano ignari è tutt’altra cosa. Forse che qualcuno abbia mai accusato gl’ignari Paesi pilotati di tradimento? Il solo pensarlo è stupido.

 Marco Respinti

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