Di Michele Brambilla
Domenica 9 febbraio, V del Tempo ordinario, Papa Francesco si affaccia su piazza San Pietro per l’Angelus. «Nel Vangelo di oggi (cfr Mt 5,13-16)», dice, «Gesù dice ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra […]. Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13-14)». È chiaramente una metafora: «Egli utilizza un linguaggio simbolico per indicare a quanti intendono seguirlo alcuni criteri per vivere la presenza e la testimonianza nel mondo».
La prima immagine che si stampa nella mente del fedele è quella del sale: «Il sale è l’elemento che dà sapore e che conserva e preserva gli alimenti dalla corruzione». Il Papa sottolinea soprattutto questa seconda funzione: «il discepolo è dunque chiamato a tenere lontani dalla società i pericoli, i germi corrosivi che inquinano la vita delle persone. Si tratta di resistere al degrado morale, al peccato, testimoniando i valori dell’onestà e della fraternità, senza cedere alle lusinghe mondane dell’arrivismo, del potere, della ricchezza».
È quindi un preciso dovere dei cattolici contrastare ogni sfida lanciata pubblicamente contro la legge divina o la morale naturale, ma il primo passo è sempre la conversione personale: «È “sale” il discepolo che, nonostante i fallimenti quotidiani – perché tutti noi ne abbiamo –, si rialza dalla polvere dei propri sbagli, ricominciando con coraggio e pazienza, ogni giorno, a cercare il dialogo e l’incontro con gli altri. È “sale” il discepolo che non ricerca il consenso e il plauso, ma si sforza di essere una presenza umile, costruttiva, nella fedeltà agli insegnamenti di Gesù».
«La seconda immagine», afferma ancora Francesco, «[…] è quella della luce […]. La luce disperde l’oscurità e consente di vedere. Gesù è la luce che ha fugato le tenebre, ma esse permangono ancora nel mondo e nelle singole persone. È compito del cristiano disperderle facendo risplendere la luce di Cristo e annunciando il suo Vangelo». Come spiega il Pontefice, «si tratta di una irradiazione che può derivare anche dalle nostre parole, ma deve scaturire soprattutto dalle nostre “opere buone” (Mt 5,16)», secondo una terminologia cara al Concilio di Trento (1545-63). Cristo ordina di «fare luce. Ma non è la mia luce, è la luce di Gesù: noi siamo strumenti perché la luce di Gesù arrivi a tutti».
Ne esce un quadro militante della vita del cattolico. «Gesù», prosegue il Santo Padre, «ci invita a non avere paura di vivere nel mondo, anche se in esso a volte si riscontrano condizioni di conflitto e di peccato. Di fronte alla violenza, all’ingiustizia, all’oppressione, il cristiano non può chiudersi in sé stesso o nascondersi nella sicurezza del proprio recinto; anche la Chiesa non può chiudersi in sé stessa». Il Papa rimanda ad una specifica richiesta formulata da Gesù al Padre nel corso dell’Ultima Cena. «Gesù, nell’Ultima Cena, chiese al Padre di non togliere i discepoli dal mondo, di lasciarli, lì, nel mondo, ma di custodirli dallo spirito del mondo»: non sono la stessa cosa. «La Chiesa si spende con generosità e tenerezza per i piccoli e i poveri: questo non è lo spirito del mondo, questo è la sua luce, è il sale. La Chiesa ascolta il grido degli ultimi e degli esclusi, perché è consapevole di essere una comunità pellegrina chiamata a prolungare nella storia la presenza salvifica di Gesù Cristo».
Lunedì, 10 febbraio 2020