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“Salvare un “sogno” che rischia di diventare un incubo”

4 Aprile 2019 - Autore: Marco Invernizzi

Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 04/04/2019. Foto da attivamentelodi.it

E’ singolare che una delle ricostruzioni più complete della storia politica dell’Unione Europea, scritta dal professor Giuseppe Mammarella e dal giornalista Paolo Cacace non presenti nell’indice dei nomi neppure una volta quello di Giovanni Paolo II e non dedichi neppure un cenno al dibattito, avvenuto all’inizio del 2000, circa l’assenza di ogni riferimento al cristianesimo nella storia d’Europa nel Preambolo della Costituzione europea, che poi non vedrà mai la luce. Dobbiamo forse pensare che avessero ragione gli studiosi Joseph Weiler e Giovanni Reale, il primo ebreo e il secondo non solito a polemiche sull’attualità, a ritenere nei rispettivi saggi che quanto avvenne in quella circostanza fosse riconducibile a una vera e propria “cristianofobia”, a un deficit di cristianesimo. Il riferimento al Papa polacco non è casuale, ma vuole ricordare il suo ampio e articolato magistero europeistico, raccolto in mille pagine da Mario Spezzi Bottiani (Profezia per l’Europa, Piemme 1999) in un testo che non contempla l’ultima sua importante fatica per l’Europa, l’Esortazione apostolica Ecclesia in Europa. Certo, la storia dell’Unione europea non è riconducibile soltanto a quell’episodio, né i cristiani devono indugiare in un eccesso di vittimismo, perché il vero problema del cristianesimo europeo è la mancanza di cristiani, su cui bisogna riflettere. Tuttavia, quell’episodio è indicativo e contribuisce a spiegare, sebbene solo in parte, il perché dell’impasse in cui si trova oggi il processo di unificazione europea.

Nato dopo la seconda guerra mondiale, da tre statisti cattolici, il progetto europeo aveva come primo obiettivo quello di superare l’odio che aveva contrapposto soprattutto le due più grandi nazioni europee, la Francia e la Germania, e provocato le due guerre mondiali. Per fare questo venne scelto di partire dal basso, dall’istituzione di un organismo sovranazionale che avrebbe messo in comune produzione e distribuzione del carbone e dell’acciaio: così il 9 maggio 1950 nasceva la CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Il progetto si avviò lentamente, prima bloccato dalle priorità della Guerra fredda, che fra l’altro divideva anche i Paesi europei, ma neppure dopo il 1989 riuscirà a superare le difficoltà. Il problema centrale era la mancanza di un “comune sentire” nei popoli che avrebbero dovuto federarsi in un progetto politico comune. Dieci anni dopo la caduta del Muro di Berlino era partito l’euro, il 1° gennaio 1999, ma il trattato costituzionale che avrebbe dovuto sancire l’unità politica dei Paesi aderenti al progetto comune, firmato solennemente a Roma nel 2004, veniva bocciato da due referendum popolari in Francia e in Olanda, nel 2005. Era il segnale di una crisì profonda, da cui l’Europa non si sarebbe ripresa. Se a questi episodi si aggiunge che nelle elezioni europee, le prime dopo l’euro, nel 2009, partecipa al voto poco più del 40% degli europei, si ha una esatta dimensione del problema. L’Europa non appassiona gli europei, che vi vedono al massimo un interesse economico legato all’euro.

Ma questo interesse diminuisce fino a svanire dopo la crisi economica del 2008 che investe il mondo, Europa compresa. In quest’ultimo decennio l’ideale europeo continua a indietreggiare, incalzato da partiti che vengono definiti euroscettici per ragioni polemiche e pigrizia intellettuale, ma che in realtà contestano non tanto l’Europa, ma l’Unione Europea. E allora le radici greco-giudaico-cristiane, che in sintesi possiamo indicare attraverso le tre grandi capitali senza le quali non ci sarebbe nessuna Europa, Atene, Gerusalemme e Roma, potrebbero diventare importanti per salvare un “sogno” che rischia di diventare un incubo.

Marco Invernizzi

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