di Michele Brambilla
Il mistero della Pentecoste, ovvero la discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli Apostoli riuniti nel cenacolo, porta a compimento i 50 giorni della solennità pasquale e inaugura i tempi della missione. Papa Francesco lo ricorda con queste parole, pronunciate all’inizio dell’omelia della Messa officiata sul sagrato di San Pietro l’8 giugno: «anche stasera, vigilia dell’ultimo giorno del tempo di Pasqua, festa di Pentecoste, Gesù è in mezzo a noi e proclama ad alta voce: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7,37-38)», che nel brano evangelico citato «è» proprio «“il fiume d’acqua viva” dello Spirito Santo che scaturisce dal grembo di Gesù, dal suo fianco trafitto dalla lancia (cfr Gv 19,36), e che lava e feconda la Chiesa, mistica sposa rappresentata da Maria, nuova Eva, ai piedi della croce».
Gesù alimenta quindi la Chiesa con la grazia dello Spirito e la modella a immagine della maternità di Maria. I romani lo hanno già sperimentato nella loro storia: «Questo pensiero alla maternità della Chiesa mi fa ricordare che 75 anni fa, l’11 giugno del 1944, il Papa Pio XII compì uno speciale atto di ringraziamento e di supplica alla Vergine, per la protezione della città di Roma. Lo fece nella chiesa di Sant’Ignazio, dove era stata portata la venerata immagine della Madonna del Divino Amore»: davanti alla veneratissima icona, il popolo di Roma riconobbe ancora una volta di dovere tutto alla Provvidenza divina e allo sguardo di quella Madre che chiama da sempre «salus populi romani».
Tuttavia, ammette amaramente Francesco, «lo sappiamo: c’è anche oggi, come in ogni tempo, chi cerca di costruire “una città e una torre che arrivi fino al cielo” (cfr Gen 11,4). Sono i progetti umani, anche i nostri progetti, fatti al servizio di un “io” sempre più grande, verso un cielo dove non c’è più spazio per Dio». I progetti solo umani, troppo umani, per dirla con il filosofo nichilista tedesco Friedrich Nietzsche (1854-1900), sono destinati inesorabilmente a fallire perché non hanno dentro il soffio vitale dello Spirito Santo.
È anche sulla base di questo pensiero che il Pontefice, nella Messa del giorno, celebrata il 9 giugno mattina sempre in San Pietro, formula un nuovo appello all’unità della Chiesa: «Armonia dentro l’uomo. Dentro, nel cuore i discepoli avevano bisogno di essere cambiati. La loro storia ci dice che persino vedere il Risorto non basta, se non Lo si accoglie nel cuore. Non serve sapere che il Risorto è vivo se non si vive da Risorti».
Vivere da risorti significa anzitutto riconoscere tutti assieme l’ispirazione divina della Chiesa, che permane nonostante il peccato e le infedeltà degli uomini: «Abbiamo bisogno dello Spirito di unità, che ci rigeneri come Chiesa, come Popolo di Dio, e come umanità intera. Che ci rigeneri. Sempre c’è la tentazione di costruire “nidi”: di raccogliersi attorno al proprio gruppo, alle proprie preferenze, il simile col simile, allergici a ogni contaminazione. E dal nido alla setta il passo è breve, anche dentro la Chiesa».
Senza lo Spirito si rimane prigionieri della “società dell’aggettivo” e si può rompere facilmente la comunione con i fratelli: «Allora le cose cambiano: con lo Spirito la Chiesa è il Popolo santo di Dio, la missione il contagio della gioia, non il proselitismo, gli altri fratelli e sorelle amati dallo stesso Padre. Ma senza lo Spirito la Chiesa è un’organizzazione, la missione propaganda, la comunione uno sforzo».
Lunedì, 10 giugno 2019