Visita al monastero di S. Giorgio Maggiore a Venezia, dove un figlio dell’ora et labora benedettino ricordò alla Rivoluzione la perenne vitalità della Chiesa
di Michele Brambilla
Il 23 aprile si festeggerà come sempre san Giorgio martire, uno dei “santi combattenti” per eccellenza, e uno dei monumenti più insigni di Venezia è il monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore, luogo insigne per i tesori artistici che custodisce e per un evento storico poco ricordato dai nostri testi scolastici.
Anzitutto l’arte: il primo insediamento monastico risale, forse, all’VIII secolo, ma l’attuale chiesa abbaziale è uno dei massimi capolavori di Andrea Palladio (1508-80), che la edificò a partire dal 1566, imprimendovi le forme di un Rinascimento maturo che iniziava a tesaurizzare le indicazioni liturgiche del concilio di Trento (1545-64). L’interno, infatti, è estremamente essenziale, con una grande navata centrale ornata solo dalle pure linee architettoniche, che si riflettono anche nelle semplici cappelle laterali, tuttavia non si rinuncia alla pittura didattica: il monastero conserva, infatti, diverse tele di grandi pittori, quali S. Giorgio che uccide il drago (1516) di Vittore Carpaccio (1465-1526), l’Ultima Cena e la Raccolta della manna (entrambe del 1594) di Jacopo Robusti detto il “Tintoretto” (1518-94) e la Madonna in trono e Santi (1708) di Sebastiano Ricci (1659-1734). L’organizzazione dell’area presbiterale è perfettamente tridentina: poiché i decreti del concilio preservavano la riservatezza dei monaci, ma imponevano al contempo di non nascondere più l’altare maggiore ai fedeli, Palladio ideò un divisorio molto aperto, scandito solo da due colonne corinzie, che sorreggono a loro volta l’organo a canne. L’altare con il tabernacolo non è posto all’interno del divisorio, come accadeva fino ad allora, ma davanti ad esso.
Palladio intervenne anche sul refettorio dei benedettini, inserito in un contesto architettonico che ha subito interventi di ampliamento fino al 1646. Il campanile del monastero è stato completato solo nel 1791, giusto in tempo per assistere all’arrivo delle baionette rivoluzionarie di Napoleone Bonaparte (1769-1821), che fecero man bassa dei diritti e dei beni ecclesiastici. Per Venezia la pena fu breve: Napoleone cedette subito il Veneto all’Austria (1797), pertanto i furori anticattolici della Rivoluzione giacobina dovettero attendere il 1805 per manifestarsi nuovamente, sotto le insegne paludate dell’auto-proclamatosi Impero francese.
Nel frattempo, l’isola di S. Giorgio divenne teatro dell’unico conclave svoltosi al di fuori di Roma dopo il concilio di Costanza (1415-17). Si tratta del conclave del 1799-1800, convocato dopo la morte in esilio di Pio VI (1775-99), ribattezzato sbrigativamente dai rivoluzionari francesi «Pio VI e ultimo». Il Direttorio di Parigi, il generale Bonaparte e i clubs giacobini italiani dimenticavano, però, che Cristo ha promesso alla Chiesa la Sua perenne assistenza (Mt 16,18; 28,20).
I cardinali dispersi riuscirono a radunarsi proprio nell’antico monastero di Venezia e, all’ombra dell’alto campanile, si alzò ancora una volta la fumata bianca che annuncia l’elezione di un nuovo Successore di Pietro, il servo di Dio Pio VII (1800-23), corrispondente al benedettino Barnaba Chiaramonti. Il figlio spirituale di san Benedetto da Norcia (480-547) riuscì, così, a sconfiggere un nuovo drago e a confermare la tenacia della civiltà europea nata seguendo la regola dell’ora et labora.
Sabato, 17 aprile 2021