Anche l’arte contemporanea può proporre modelli capaci di coniugare tradizione culturale e dimensione religiosa
di Francesca Morselli
Progettare un edificio sacro è un’operazione complessa, non si tratta infatti di trovare forme rispondenti alla funzione e renderle armoniose, come altri edifici richiedono, bensì si tratta di conoscere e fare affiorare 2000 anni di storia, di simboli e di archetipi che la lunga storia della Chiesa racchiude nei suoi templi. Il compito a cui un architetto viene chiamato è perciò molto complesso e riguarda differenti sfere, sicuramente richiede un dialogo stretto e chiaro con il sacro e le sue esigenze.
Gli spazi sacri progettati e costruiti negli ultimi 100 anni in larga misura non rispecchiano queste esigenze. Spesso si traducono in spazi strettamente funzionali, che non esprimono alcuna sacralità, proprio come un qualsiasi stadio o spazio sportivo, con l’aggiunta di immagini sacre che normalmente non si relazionano con il contesto in cui sono inserite.
La chiesa di san Nicolò al Tempio Ossario di Udine rappresenta un esempio di architettura In felice controtendenza rispetto a troppi edifici religiosi inadeguati. La basilica, edificata tra il 1925 e il 1940 da un architetto locale, Provino Valle (Udine, 10 marzo 1887 – Udine, 12 agosto 1955) padre del più famoso architetto Gino Valle (Udine, 7 dicembre 1923 – Udine, 30 settembre 2003), venne costruita dopo la prima guerra mondiale per volontà di Monsignor Clemente Cassettini, dal 1913 parroco di San Niccolò, a Udine. Per sua volontà il nuovo edificio parrocchiale avrebbe dovuto avere anche la funzione di tempio votivo dedicato alla memoria dei caduti per la patria, in una zona d’Italia dove i combattimenti della prima guerra mondiale erano stati assai cruenti e le vittime rimaste sul posto erano sparse in vari cimiteri locali. Provino Valle riprese nel suo progetto lo stile romanico-basilicale del XII e XIII secolo, creando una facciata estremamente semplice “a capanna”, con un altissimo portone a romperne la compattezza e una grande cupola a richiamare lo slancio verticale. Tale verticalità venne poi sottolineata grazie allo spazio creato davanti alla chiesa (Piazzale XXVI luglio), da cui è possibile anche oggi ammirare la basilica nella sua interezza.
Ai lati del portone campeggiano, due per parte, quattro enormi statue scolpite in pietra piasentina, perfettamente adeguate alla monumentalità dell’architettura, raffiguranti “Il Marinaio”, “L’Alpino”, “Il Fante”, e “L’Aviatore”, proprio per ricordare lo sforzo dei quattro corpi armat impegnati nel conflitto. La maestosità dell’edificio, voluto soprattutto per sottolineare ed enfatizzare i valori nazionali e onorare l’enorme costo umano della guerra, è sottolineata dall’enorme cupola di 64 metri, rivestita in rame. Superato il portale, dove trovano spazio una “Pietà” in gesso e terracotta del 1960 di Luciano Del Zotto (1932-2010) e una vetrata di Arrigo Poz (1929- ) che raffigura San Nicolò, ci si trova all’interno, dove il progettista ha richiamato la struttura della basilica a tre navate suddivise da trenta grandi colonne poligonali, rivestite di marmo rosso di Verzegnis.
La navata centrale si prolunga nel vasto presbiterio , al centro della cupola, dove si trova l’altare maggiore in marmo rosso con l’imponente crocifisso bronzeo di Aurelio Mistruzzi (1880-1960).
Lungo il muro perimetrale, nei loculi inseriti nelle pareti delle cappelle ai lati della navata centrale, hanno trovato sepoltura le 25.000 salme di soldati caduti prevalentemente lungo il fronte del Friuli orientale e provenienti dai primitivi centri di raccolta derivati dal riordinamento dei cimiteri di guerra. Ogni loculo è chiuso da una lapide di travertino che porta inciso il nome del soldato caduto. La sacralità del luogo è sottolineata dalla grande volta che copre la navata centrale decorata a cassettoni così come la cupola e le navate laterali, un chiaro richiamo all’architettura rinascimentale. I toni scuri dell’interno sono illuminati dalle grandi finestre poste sul tamburo della cupola e dai mosaici colorati della contro-facciata e del transetto, opera di artisti locali.
Un’architettura dunque che riprende la nostra storia artistica, la rilegge e la riordina secondo le esigenze attuali, sottolinea (forse con troppa enfasi) il valore della patria, ma soprattutto fa del sacro il tema principale dell’edificio grazie ad uno studio attento della luce, dei dettagli e dei richiami all’antichità.
Un monumento da studiare, soprattutto per quanti pensano che non sia più possibile progettare edifici sacri capaci di coniugare un’autentica dimensione religiosa con la tradizione artistica europea.
Sabato, 31 ottobre 2020