Secondo la tradizione, abbastanza antica, egli sarebbe stato sottoposto a martirio nell’anfiteatro di Pozzuoli, «ad ursos», cioè sbranato dagli orsi, insieme al suo diacono Sosso, al lettore Desiderio e a Festo. Patrono principale di Napoli. Tutti i lettori certamente conoscono il fenomeno della liquefazione del sangue di san Gennaro, contenuto in ampolle esposte al pubblico (normalmente dal cardinale arcivescovo di Napoli) in certe date fisse e in alcune occasioni straordinarie: un miracolo di cui si ha notizia sicura almeno dal XIII secolo. Perché avviene questo prodigio? Lasciamo da parte il folklore, le curiosità, le ironie giornalistiche: andiamo alla sostanza. Un papa umanista del Rinascimento, Pio II [1458-1464], scrisse: «Se qualcuno desidera interrogarmi sul punto risponderò che quel sacro sangue del beato Gennaro, mostrato ora solidificato, ora liquefatto, fu sparso per il nome di Cristo mille e duecento anni fa». Sparso per il nome di Cristo: questo è, appunto, l’essenziale. Un ricordo del martirio di questi santi, e di tanti altri. Noi, se chiamati a simili prove, saremo capaci di affrontare la persecuzione? Noi, che già stentiamo ad affrontare le piccole, o meno piccole, prove della normale esistenza? E, ancora, ci ricordiamo abbastanza dei nostri fratelli che per la fede, anche ai nostri giorni, hanno subito o subiscono la persecuzione? Sappiamo che agli «spiriti forti» dispiace il miracolo della liquefazione del sangue. Ora, questa non è certamente la sede, anche per la mancanza di spazio, per affrontare una discussione; basti comunque dire che essi, con tutta la loro scienza, non hanno saputo proporci un’ipotesi plausibile, sul piano della fisica, del fenomeno. E diciamo allora (seguendo una scritta tracciata da mano ignota sul basamento di una statua e colta da una foto di [Luciano] De Crescenzo): «San Genna’, fottatenne!».
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, p. 39