A non perdonarsi è spesso lo stesso peccatore, che non deve dimenticare che Dio è Padre. Se ne deve ricordare anche la comunità internazionale di fronte alla guerra in Ucraina
di Michele Brambilla
Introducendo l’Angelus del 27 marzo, Papa Francesco spiega che «il Vangelo della Liturgia di questa domenica narra la cosiddetta parabola del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-32). Essa ci porta al cuore di Dio, che sempre perdona con compassione e tenerezza, sempre». Ancora una volta il Pontefice ripete che «Dio perdona sempre, siamo noi a stancarci di chiedere perdono ma Lui perdona sempre. Ci dice che Dio è Padre, che non solo riaccoglie, ma gioisce e fa festa per il suo figlio, tornato a casa dopo aver dilapidato tutti gli averi. Siamo noi quel figlio, e commuove pensare a quanto il Padre sempre ci ami e ci attenda».
Il fratello maggiore del “figliol prodigo” della parabola, però, non esulta e può mettere in crisi anche noi. «Infatti, dentro di noi c’è anche questo figlio maggiore e, almeno in parte, siamo tentati di dargli ragione: aveva sempre fatto il suo dovere, non era andato via di casa, perciò si indigna nel vedere il Padre riabbracciare il fratello che si era comportato male», evidenzia il Papa. Si tratta, però, di una rabbia ben poco “santa” e «può essere anche il nostro problema, il nostro problema tra noi e con Dio: perdere di vista che è Padre e vivere una religione distante, fatta di divieti e doveri. E la conseguenza di questa distanza è la rigidità verso il prossimo, che non si vede più come fratello. Nella parabola, infatti, il figlio maggiore non dice al Padre mio fratello, no, dice tuo figlio, come per dire: non è mio fratello».
Il Signore, invece, non fa distinzioni: nella sua Pasqua ha dato la vita per tutti. Il Papa si permette una suggestiva citazione letteraria: «“Quando sono diventato padre, ho capito Dio” (H. de Balzac, Il padre Goriot, Milano 2004, 112)». Una sensazione percepibile anche quando si esercita la paternità spirituale, perché si prende a cuore la crescita umana e spirituale di un individuo come di un intero popolo. Bisogna quindi avere misericordia del nostro prossimo, ricordandoci sempre di come ci guarda il Padre celeste, che «non rimane fermo sugli sbagli, non punta il dito sul male, ma gioisce per il bene, perché il bene dell’altro è anche il mio».
Per l’Ucraina proseguono, invece, giorni ben poco misericordiosi: «è passato più di un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, dall’inizio di questa guerra crudele e insensata che, come ogni guerra, rappresenta una sconfitta per tutti, per tutti noi», dice Francesco descrivendo i genitori che seppelliscono i figli, prematuramente recisi dalla violenza umana. Il Papa ribadisce la totale insensatezza della guerra, che devasta il presente e l’avvenire dei popoli.
«La guerra non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani», esorta il Santo Padre, «perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia», come farebbe un conflitto nucleare, più volte paventato nei giorni scorsi da entrambe le parti in “gioco”. Allora «preghiamo ancora, senza stancarci, la Regina della pace, alla quale abbiamo consacrato l’umanità, in particolare la Russia e l’Ucraina, con una partecipazione grande e intensa, per la quale ringrazio tutti voi».
Lunedì, 28 marzo 2022