di Gian Carlo Blangiardo, Presidente ISTAT, da Avvenire del 15/12/2020
Caro direttore,
non c’è dubbio che le statistiche sulla mortalità siano quelle che oggigiorno offrono i numeri più impressionanti, basti pensare che i recenti dati Istat ci mettono di fronte a 40mila morti in più per i primi nove mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, 28 mila dei quali (7 su 10) riconducibili a soggetti con almeno 80 anni. Eppure questo non è l’unico drammatico effetto che Covid-19 sembra destinato a produrre sul fronte della demografia italiana.
Conviene ricordare come nei primi otto mesi del 2020 le statistiche ufficiali abbiano registrato 268mila nascite, quasi il 3% in meno rispetto al 2019, a fronte di 476mila morti. E come tutto questo lasci intendere che il record negativo raggiunto con il saldo naturale dello scorso anno – i 214mila morti in più rispetto al totale dei nati che trovano un analogo riscontro solo nel 1917 e 1918 (e non è difficile capirne le cause) – verrà ulteriormente peggiorato nel bilancio del 2020. Non solo perché il dato simbolico di 700mila decessi annui è un confine che verrà certamente superato, segnando un ritorno al livello di 76 anni fa (era il 1944), ma anche perché sul piano delle nascite la tendenza sempre più regressiva che abbiamo già colto negli scorsi mesi, in corrispondenza di eventi che riflettono concepimenti avvenuti in epoca pre-Covid, troverà una verosimile accentuazione nel conteggio degli esiti delle gravidanze avviate da marzo in poi.
Un primo riscontro lo avremo già dal numero di nati di dicembre, ossia nove mesi dopo l’improvvisa comparsa della pandemia, ma sembra quanto mai legittimo aspettarsi un seguito, forse persino più consistente, nei primi mesi del 2021. Sempre che le cose si sistemino in tempi brevi e che, come accadde nel maggio 1986 dopo l’improvvisa paura per la nube tossica di Cernobyl (che ridusse in modo significativo le nascite a febbraio 1987 e nei 2-3 mesi successivi), ci sia una fiduciosa azione di recupero nell’arco di qualche mese.
Augurandoci altresì che le inevitabili ferite lasciate dal virus sull’economia e sulle condizioni di vita delle famiglie – parliamo di livelli di occupazione, di reddito disponibile, ma anche di capacità di progettare il futuro – si possano cicatrizzare con una certa fretta. Tuttavia c’è un altro fenomeno demosociale che, seppur ancora sotto traccia, dimostra aver subito pesantemente i contraccolpi della pandemia: la dinamica della nuzialità. La formazione di nuove coppie attraverso il matrimonio, un istituto che nel nostro Paese rappresenta ancora tradizionalmente la naturale premessa ai progetti di genitorialità, è drammaticamente crollata nel corso del 2020. I primi dati attualmente disponibili, quand’anche provvisori e da prendere semplicemente come ordine di grandezza, lasciano intendere una riduzione della nuzialità attorno al 50-60%.
Al crollo dei matrimoni religiosi, scesi di oltre l’80% e ridotti a poche unità durante la prima ondata pandemica, si associa la pesante riduzione di quelli con rito civile, diminuiti anch’essi di circa il 40%. Inoltre, il fatto che la mancata formazione di nuove unione si sia ampiamente distribuita su tutto il territorio nazionale, e non abbia affiancato la diversa incidenza della pandemia nel corso della sua prima fase, fa riflettere su quanto intensamente il Paese abbia attraversato, da Nord a Sud e da Est a Ovest, un clima di profonda preoccupazione per gli eventi in atto.
Una preoccupazione che ha sottratto a molte giovani coppie la possibilità di vivere gioiosamente un evento che tipicamente segna la costruzione del loro futuro: l’avvio di una nuova famiglia e, spesso come corollario, l’apertura verso le scelte genitoriali. Sapranno i nostri giovani riprendere in mano il loro destino e reagire con convinzione e tenacia alle avversità in cui, loro e noi, ci siamo imbattuti? Vogliamo crederlo fermamente. L’auspicio è che anche in questo caso, così come ci si augura in generale per la natalità, si sia di fronte a comportamenti che, più che un atto di rinuncia, possano essere letti come paziente attesa; confidiamo che, passando dai tempi della pandemia a quelli del vaccino, i progetti dei giovani e delle famiglie italiane possano trovare un adeguato e tempestivo recupero, e siano dunque capaci di dare un po’ del necessario “ristoro” anche a questa nostra demografia da troppo tempo malata.
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