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“Scelta giusta, sugli irregolari a rischio serve una stretta”

8 Gennaio 2017 - Autore: Alfredo Mantovano

L’ex sottosegretario Mantovano: è la soluzione su cui lavorammo nel 2008, allora Toscana contraria

Magistrato, Alfredo Mantovano è stato sottosegretario all’Interno per dieci anni in due governi Berlusconi. In quel periodo, ha seguito da vicino il problema dell’immigrazione

 

Giudice Mantovano, cosa pensa della riforma dei Cie annunciata dal governo Gentiloni?
“Credo che la strada prevista dal ministro Minniti sia senza dubbio responsabile e attui quanto già fissato da oltre 20 anni dalla legge, in armonia con le disposizioni europee”.

Un Cie per ogni regione: era già l’orientamento del ministro Maroni, quando lei era sottosegretario?
“Proprio così. Iniziammo, tra il 2008 e il 2011, un lavoro sui centri di individuazione ed espulsione. In parte riuscimmo a realizzarlo, in alcune regioni fu impossibile”.

Ne ricorda qualcuna?
“La Toscana. Allora come oggi, si dichiarò sempre indisponibile ad ospitare un Cie. Riuscimmo comunque ad arrivare ad un numero di posti di raccolta, che rese possibile arrivare alle espulsioni. Oggi, secondo quanto è stato pubblicato dai media, non si riesce a superare i 400 espulsi”.

Perché ritiene che i Cie siano necessari, nel nostro sistema di gestione dell’immigrazione?
“Perché i Cie rispondono innanzitutto ad un obiettivo di sicurezza. I numeri dei migranti sono in crescita e, al netto dei richiedenti asilo, si arriva ad un’alta percentuale di irregolari da individuare”.

Quali obiettivi di sicurezza si raggiungono nei Cie?
“Si evita che la dispersione di irregolari ne renda impossibile l’identificazione e, allo stesso modo, si dispone delle necessarie settimane di tempo per prendere contatto con il loro Paese d’origine, per rendere possibile il rimpatrio”.

Cosa accadrebbe senza questi luoghi di identificazione iniziali?
“L’immigrato non identificato potrebbe dileguarsi con facilità, rendendo impossibile l’identificazione. È necessario, invece, un luogo sicuro e sorvegliato di sicurezza. Naturalmente, un luogo dove vengano assicurati i diritti degli ospitati. In tutta l’Europa il sistema è questo. Chi lo critica, a mio parere, dovrebbe andare fino in fondo e dirla tutta”.

In che senso?
“Chi dice di non volere i Cie deve spiegare allora che è accettabile una migrazione piena di gente irregolare, che non venga identificata, che sia libera di arrivare e circolare come vuole nell’assoluto anonimato. Se è questa la posizione, ed è legittimo che qualcuno possa pensarla così, poi non ci si può lamentare che possano esserci anche casi come quello dell’attentatore di Berlino che era sbarcato in Italia”.

Insomma, il ministro Minniti, a suo parere, sta andando nella direzione che risponde a criteri di sicurezza e umanità insieme?
“Credo di sì, perché era la direzione presa quando ero sottosegretario. Sia ben chiaro che io non sono per l’espulsione a prescindere. Per questo, è necessaria l’identificazione di chi arriva, capire se il richiedente asilo ha diritto di ottenerlo, poter avere il tempo di prendere contatto con i Paesi d’origine e provenienza del migrante individuato”.

L’identificazione e la verifica dei requisiti giuridici per il richiedente asilo come atti anche di prevenzione nella sicurezza?
“Sicuramente. Non si può negarlo. Altrimenti, poi, è inutile lamentarsi se si devono affrontare problemi di sicurezza provocati da qualcuno dei migranti irregolari.”

Da “Il Mattino” del 7 gennaio 2017. Foto da La Valigia Blu

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