di Stefano Chiappalone
Calligrafia significa, letteralmente, “bella scrittura”. Non so come funzioni adesso, ma ai “miei tempi” (non lontanissimi) gl’insegnanti badavano non solo a ciò che era scritto, ma anche a come era scritto. Serbo profonda gratitudine a maestri e maestre che mi facevano disegnare delle “a” ben arrotondate, per quanto all’epoca auspicassi la fine del noioso esercizio, desideroso di poter scrivere anch’io quei segni da ricetta medica che identificavo con la scrittura degli adulti.
Diventato grande passai, come tutti, dalla calligrafia alla grafia: niente più “bella scrittura”, in assenza d’insegnanti che controllassero l’ordine del quaderno. Con il senno di poi – che per definizione arriva sempre tardi –, mi accorsi invece che una bella scrittura, oltre a essere esteticamente piacevole, è anche un segno di attenzione verso il prossimo. In occasione di un evento speciale, dal compleanno alle nozze, il dono è sempre accompagnato da un biglietto ed è qui che spesso parte la caccia a chi sappia scrivere meglio: “Fallo tu che hai una bella scrittura”, vale a dire non solo più comprensibile, ma anche più gradevole alla vista. A dimostrare che le persone a cui teniamo non meritano le zampe di gallina con cui siamo soliti buttar giù appunti o liste della spesa.
Dimmi come scrivi e ti dirò chi sei. Il filologo e scrittore inglese John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) è noto soprattutto come creatore di linguaggi, meno come creatore di caratteri alfabetici che, attraverso la grafia, rivelano l’indole di ciascun popolo, dalle eleganti scritture elfiche a quelle tondeggianti degli Hobbit. Il nostro modo di scrivere è influenzato dalla minuscola carolina (risalente all’epoca carolingia) e ancor più dalla notarile e dalla corsiva tardomedioevali – temute da ogni studente di paleografia –, tuttavia restiamo incantati di fronte alla gotica o all’onciale, che paiono più disegnate che scritte.
Per tornare a tempi più recenti, non è raro ritrovare in qualche soffitta vecchie lettere che ancora ci stupiscono perché i loro autori – nonni e nonne – avevano magari poca istruzione ma molta attenzione. Scrivevano molto meno di noi, ma scrivevano meglio, per un semplice motivo: scrivere non era una delle mille cose fagocitate dal multitasking quotidiano, ma un’azione meditata e curata in vista di un destinatario ben preciso. Da una lettera dal fronte che il soldato inviava ai genitori o all’amata, da una cartolina o da una dedica posta su di un libro, talora su un santino, emerge una delicatezza nei rapporti umani difficile da riscontrare nella mole di messaggini frettolosamente digitati sullo smartphone o di “stati” lanciati nell’oceano dei social network. E se nel crollo del mondo antico la civiltà rinacque intorno agli scriptoria dei monasteri, nell’attuale barbarie di ritorno anche una lettera meditata e poi stesa con cura e gentilezza costituisce un piccolo segnale di rinascita.