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«Se lei sta a casa carriera a rischio»

14 Marzo 2021 - Autore: Alleanza Cattolica

Di Luciano Moia da Avvenire del 13/03/2021

La carriera delle donne è ancora oggi messa a dura prova dalla famiglia e dai figli. Gli uomini ‘rischiano’ meno. Così Francesco Belletti, sociologo, da oltre 20 anni direttore del Cisf, spiega i dati emersi dall’ultimo rapporto su giovani famiglia.

Perché tante giovani donne lavoratrici mettono in secondo piano matrimonio e figli?

In questa ricerca il progetto famiglia dei giovani si scontra con quello che potremmo definire un realismo privo di illusioni, ben rappresentato dalla posizione delle donne maggiori di 35 anni, soprattutto se attive nel mondo del lavoro. Queste giovani donne infatti sono quelle che meno di tutti desiderano sposarsi, e che meno di tutti desiderano avere un figlio. Eppure lavorano, quindi il problema economico dovrebbe essere meno rilevante…Però credo che questo dato segnali una sorta di ‘arrendersi’ davanti al sentire comune e alla realtà concreta: una donna di 35 anni che lavora sa che sposarsi – e ancor più mettere al mondo un figlio – diventerebbe un fattore di svantaggio molto pericoloso, nella competizione lavorativa. E così si rinvia, molto più dei maschi della stessa età, e molto più delle donne tra i 25 e i 30 anni.

Come mai tra i giovani uomini che lavorano c’è la tendenza opposta?

Probabilmente questa maggiore apertura dei maschi più giovani a matrimonio e genitorialità dipende sia da una percezione di ‘minor rischio’ rispetto alla propria carriera, sia ad una maggiore distanza nel tempo di questi due importanti passi. In altre parole, questi giovani maschi percepiscono che per nessuno di loro sposarsi o avere figli sarà di impedimento per la carriera; nessuno di loro si sentirà dire, in un colloquio di lavoro: ‘Non avrai mica intenzione di mettere al mondo un figlio, nei prossimi mesi/ anni?’, cosa che invece troppe donne si sentono ancora dire. Inoltre la distanza nel tempo rende molto più possibile il ‘progetto sognato’, mentre per le donne verso i 35 anni la scelta del matrimonio e di un figlio è già un ‘qui e ora’, spesso in drammatica competizione con progetti di autorealizzazione personale, di sviluppo di carriera, di mobilità professionale. E così, per queste donne si tratta di decidere oggi l’alternativa secca: matrimonio o carriera, figli o lavoro. Insomma, i vecchi stereotipi che vedono le donne più desiderose di famiglia rispetto ai loro coetanei vengono qui radicalmente rovesciati, a causa dell’impatto con la realtà: perché, come ci ricorda Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, ‘la realtà è più forte dell’idea’.

Eppure, si dice anche nella ricerca, vivere una relazione matrimoniale e avere figli favorisce più elevati livelli di benessere. Come mai non riusciamo a testimoniare la bellezza del far famiglia?

Bella domanda, in effetti la società e le opportunità offerte a questi giovani sono state costruite dalle generazioni più adulte, e quindi il tema è squisitamente intergenerazionale. È vero, i giovani saranno più capaci di scommettere sulla famiglia se i loro genitori e la società nel suo complesso testimonieranno e racconteranno che fare famiglia è bello, che vivere in coppia è più bello che vivere da soli, che avere un figlio è un compito, un impegno, anche un costo economico, ma anche un’esperienza di una bellezza imprevedibile, ‘che non ha prezzo’.

C’è qualche elemento per continuare a sperare nel futuro della famiglia?

Tra i tanti dati dell’indagine ce n’è uno in particolare che mi ha colpito positivamente, che interpreta proprio il ‘prima e dopo la pandemia’. Dai dati emerge infatti che per questi giovani vivere esperienze dolorose non ha generato chiusura e dolore sterile o rabbioso, ma ha comportato lo sviluppo di un orientamento più prosociale, suscitando più fiducia negli altri e il desiderio di contribuire al bene della comunità. Sembrerebbe proprio che il dispiacere e il dolore si siano trasformati in forza propulsiva per uno slancio verso l’altro e verso il futuro. Non sono sicuro che in questa pandemia molti adulti siano stati così capaci di questa trasformazione positiva del dolore in solidarietà.

Foto da lafedequotidiana.it

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