Di Michele Brambilla
Una delle cose che più colpiscono quando si entra nelle case delle persone appena decedute è la disposizione degli arredi. Solo il defunto ne conosceva l’esatto significato. Ora quegli oggetti sono in balia di chiunque altro: la morte pare inghiottire interi “mondi interiori”.
Papa Francesco richiama questa sensazione nel discorso letto in occasione della recita dell’Angelus del 4 agosto, XVIII domenica del Tempo ordinario, poiché «il Vangelo di oggi (cfr Lc 12, 13-21) si apre con la scena di un tale che si alza tra la folla e chiede a Gesù di dirimere una questione giuridica circa l’eredità di famiglia». Cristo risponde all’interlocutore raccontando la parabola dell’uomo ricco che muore la sera stessa in cui si bea del raccolto appena ammassato nei granai di proprietà. «Il racconto entra nel vivo», spiega il Pontefice, «quando emerge la contrapposizione tra quanto il ricco progetta per se stesso e quanto invece Dio gli prospetta», che è un improvviso redde rationem al Creatore di tutto.
«La conclusione della parabola, formulata dall’evangelista, è», secondo il Papa, «di singolare efficacia: “Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio” (Lc 12,21). È un ammonimento che rivela l’orizzonte verso cui tutti noi siamo chiamati a guardare. I beni materiali sono necessari – sono beni! -, ma sono un mezzo per vivere onestamente e nella condivisone con i più bisognosi. Gesù oggi ci invita a considerare che le ricchezze possono incatenare il cuore e distoglierlo dal vero tesoro che è nei cieli».
È il tesoro al quale deve mirare particolarmente la vita del sacerdote. «Centosessanta anni fa, come oggi, moriva il santo Curato d’Ars, modello di bontà e di carità per tutti i sacerdoti. In questa significativa ricorrenza, ho voluto inviare una Lettera ai sacerdoti di tutto il mondo, per incoraggiarli nella fedeltà alla missione alla quale il Signore li ha chiamati». Nella lettera Francesco si rivolge «a voi che, come il Curato d’Ars, lavorate in “trincea”, portate sulle vostre spalle il peso del giorno e del caldo (cfr Mt 20,12) e, esposti a innumerevoli situazioni, “ci mettete la faccia” quotidianamente e senza darvi troppa importanza, affinché il Popolo di Dio sia curato e accompagnato» e si dice convinto che, come categoria dei consacrati, «[…] nella misura in cui siamo fedeli alla volontà di Dio, i tempi della purificazione ecclesiale che stiamo vivendo ci renderanno più gioiosi e semplici e, in un futuro non troppo lontano, saranno molto fruttuosi».
La figura di san Giovanni Maria Vianney (1786-1859), che conquistò la parrocchia più povera e irreligiosa dell’arcidiocesi di Lione con il proprio cuore, perennemente fiducioso nella misericordia di Dio, suggerisce ai sacerdoti la via della perfetta semplicità evangelica. «Nei momenti di difficoltà, di fragilità, così come in quelli di debolezza e in cui emergono i nostri limiti», dice il Santo Padre, «quando la peggiore di tutte le tentazioni è quella di restare a rimuginare la desolazione spezzando lo sguardo, il giudizio e il cuore, in quei momenti è importante – persino oserei dire cruciale – non solo non perdere la memoria piena di gratitudine per il passaggio del Signore nella nostra vita, la memoria del suo sguardo misericordioso che ci ha invitato a metterci in gioco per Lui e per il suo Popolo, ma avere anche il coraggio di metterla in pratica e con il salmista riuscire a costruire il nostro proprio canto di lode perché “eterna è la sua misericordia” (cfr Sal 135)». Solo così si diventa strumenti della misericordia divina anche nei confronti dei fedeli laici «[…] senza rigorismi né lassismi».
Lunedì, 05 agosto 2019