Di Roberto Colombo da Avvenire del 22/06/2019. Foto redazionale
Vi sono sentenze che, al di là del caso giudiziario, segnano una pietra miliare nel cammino della giurisprudenza verso una piena applicazione dei diritti fondamentali e inalienabili dell’uomo in tutte le stagioni e le circostanze della sua vita. Spesso ciò accade quando i giudici – in particolare quelli della Corte costituzionale o Suprema – richiamano l’attenzione su elementi di realtà e di ragione di una evidenza rocciosa, inoppugnabile non solo per i togati ma anche per il semplice cittadino. A patto, però, che i primi e il secondo non siano prigionieri di ‘pre-concetti’ che censurano fattori del reale e usano in modo strumentale l’argomentazione giuridica, svilendo così la categoria massima della sua ratio:la possibilità che la realtà, che precede la norma e ne istruisce l’applicazione, ecceda le distinzioni formali e sia essa stessa principio critico della loro interpretazione ‘autentica’ (intesa secondo l’etimo greco, che fa riferimento alla ‘realtà considerata in sé stessa’, la ‘cosa’ in sé).
A questo genere di sentenze appartiene quella della Cassazione, depositata giovedì con il numero 27539/2019. Una bella sentenza, limpida e coraggiosa, che apre uno squarcio di sereno nell’orizzonte della tutela della vita umana a tuttocampo, troppo spesso oscurato dalla nebbia delle distinzioni artificiose e cavillose e dalle dense nubi di pretesi ‘nuovi diritti’ individuali che coprono e respingono in un secondo piano etico, sociale e giuridico il diritto primo, originale e fondativo di ogni altro: quello alla vita. Il diritto di (continuare a) esistere, a partire da quando veniamo all’esistenza e finché la vita si spegne da sé in noi. Il caso esaminato dalla Suprema Corte è quello di un’ostetrica di Salerno, ricorrente contro la condanna in primo e in secondo grado per avere provocato colposamente la morte di un feto durante un travaglio di parto distocico. Al di là della conferma della sentenza di appello, le motivazioni della Cassazione assumono un rilievo generale per il riconoscimento e la tutela del nascituro, con particolare riferimento al delicato momento del passaggio dalla cavità uterina all’esterno del corpo della gestante, una condizione nella quale – in alcuni Stati – non è neppure escluso il ricorso al cosiddetto ‘aborto a nascita parziale’, ovvero quando il feto è già nel canale del parto.
I giudici muovono dalla considerazione che la legge italiana ha previsto «i reati di omicidio e di infanticidio- feticidio [che] tutelano lo stesso bene giuridico, e cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’articolo 578 del Codice penale – ‘cagiona la morte’ – identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto evidentemente ‘si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo’. Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché ‘la morte è l’opposto della vita’». Egli è davvero e in ogni circostanza ‘uno di noi’. Questa non è una scelta giuridica di natura positiva, socialmente contrattuale e, come tale, contestabile e mutabile sulla base di convincimenti individuali, collettivi o religiosi. È una evidenza elementare e universale, confortata dai dati delle scienze biomediche e dalla riflessione razionale, come ha ricordato anche papa Francesco nel discorso del 25 maggio al convegno vaticano ‘Yes to Life’: «No: è un problema pre-religioso. La fede non c’entra. Viene dopo, ma non c’entra: è un problema umano».
La sentenza della Cassazione ribadisce in modo «fermo il principio irrinunciabile secondo cui la tutela della vita non può soffrire lacune» nell’arco dell’esistenza umana, né prima, né durante o dopo la nascita. Inoltre, «sotto il profilo normativo, va osservato che tale disciplina appare priva di profili di incostituzionalità, innestandosi in un quadro normativo e giurisprudenziale italiano e internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all’embrione». È, questa, la strada da continuare a percorrere per una giustizia davvero degna dell’uomo: rafforzare la difesa e la promozione della vita di tutti in tutte le stagioni e le circostanze dell’esistenza,nessuna esclusa.