di Michele Brambilla
Come narrano gli Atti degli Apostoli, e come spiega Papa Francesco nel corso dell’udienza generale del 4 dicembre, l’annuncio del Vangelo veleggia verso un’altra megalopoli dell’Antichità, Efeso, famosa nel secolo I per il grande tempio dedicato alla dea Artemide che la dominava. «Grazie a Paolo, circa dodici uomini» di Efeso «ricevono il battesimo nel nome di Gesù e fanno esperienza dell’effusione dello Spirito Santo che li rigenera (cfr At 19,1-7). Diversi poi sono i prodigi che avvengono per mezzo dell’Apostolo: i malati guariscono e gli ossessi vengono liberati (cfr At 19,11-12)». Ma soprattutto, sottolinea Francesco, «[…] rivela la debolezza delle arti magiche, che vengono abbandonate da un gran numero di persone che scelgono Cristo». Efeso, che si trovava nella Ionia, l’antica fascia costiera di lingua greca dell’Anatolia che nel secolo II a.C. aveva preso il nome di provincia romana d’Asia, era infatti una meta particolarmente ambita per coloro che praticavano la magia.
«La diffusione del Vangelo ad Efeso», inoltre, «danneggia il commercio degli argentieri – un altro problema –, che fabbricavano le statue della dea Artemide» da dare come ex voto ai visitatori del santuario. Consci che la predicazione evangelica avrebbe mandato in rovina entrambe le categorie, maghi e argentieri si misero d’accordo e inscenarono una protesta contro san Paolo nel teatro della città, al grido di «grande è l’Artemide degli Efesini» (cfr At 19,28). Avevano intuito che l’Apostolo era più pericoloso di un potenziale novello Erostrato, l’esibizionista che nel 356 a.C. aveva incendiato il tempio di Artemide per crearsi una fama sinistra. Erostrato non contestava alla radice il culto della dea, Paolo invece si.
La magia, ricorda il Papa, non ha nulla di cristiano: «Se scegli Cristo non puoi ricorrere al mago: la fede è abbandono fiducioso nelle mani di un Dio affidabile che si fa conoscere non attraverso pratiche occulte ma per rivelazione e con amore gratuito». Magia e idolatria sono sorelle, frutto del medesimo errore, che è strumentalizzare l’anelito naturale dell’uomo verso l’Infinito. «Su questo», dice il Pontefice, «io vi chiedo di pensare» con molta serietà.
Paolo è costretto a riparare a Mileto, dove ha modo di salutare anche i presbyteroi (anziani) di Efeso a cui ha affidato la nascente comunità cristiana: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20, 28).
Le condanne espresse dalla Chiesa vengono spesso additate come il fattore che allontana il gregge dai pastori. Secondo il Papa sono, invece, una necessità che manifesta proprio la vicinanza della Chiesa gerarchica al suo popolo: «agli episcopi è chiesta la massima prossimità con il gregge, riscattato dal sangue prezioso di Cristo, e la prontezza nel difenderlo dai “lupi” (At 20,29). I vescovi devono essere vicinissimi al popolo per custodirlo, per difenderlo», affinché esso sappia sempre riconoscere il suo vero Sovrano, servire il quale è regnare. «Cari fratelli e sorelle, chiediamo» allora «al Signore di rinnovare in noi l’amore per la Chiesa e per il deposito della fede che essa custodisce», garanzia della libertà autentica.
Giovedì, 5 dicembre novembre 2019