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«Sì alla famiglia». Il popolo della famiglia, un esempio di «buona politica» Torino, 1° dicembre 2013

6 Marzo 2014 - Autore: Alleanza Cattolica

Cristianità n. 371 (2014)

 

Domenica 1° dicembre 2013 il Centro Incontri della Regione Piemonte a Torino è stato pacificamente preso d’assalto da un vasto popolo venuto a testimoniare il proprio sì alla famiglia. Era proprio questo —Sì alla famiglia — il titolo di un convegno organizzato da sedici associazioni cattoliche torinesi, riunite in un comitato coordinato dal dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, che ha presentato un manifesto — il cui testo è disponibile sul sito <www.siallafamiglia.it> — a una sala gremita in ogni ordine di posti, mentre altri hanno dovuto seguire l’evento tramite la televisione a circuito chiuso. Alla fine, dal Centro Incontri sono passate nel pomeriggio circa cinquecento persone: per chi sa quanto sia difficile riunire pubblici nelle grandi città italiane, tanto più in una domenica già prenatalizia, sono numeri che hanno un significato.

Oltre alle due relazioni del penalista Mauro Ronco, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, e del magistrato Alfredo Mantovano, già sottosegretario agli Interni — entrambi di Alleanza Cattolica —, la giornata ha presentato testimonianze e interventi di politici — i deputati Alessandro Pagano e Gian Luigi Gigli e il senatore Lucio Malan — e dirigenti nazionali di associazioni cattoliche, fra cui le Sentinelle in piedi — che riuniscono persone e non associazioni, a differenza di Sì alla famiglia —, interessate a manifestare silenziosamente contro leggi inaccettabili in questo campo.

Il punto di partenza è stato chiaro: in quanto cattoliche, ispirate dal Magistero della Chiesa, le associazioni promotrici affermano che le persone omosessuali devono essere accolte con «rispetto, compassione e delicatezza, A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358). In questa direzione vanno anche le parole di Papa Francesco, che hanno fatto il giro del mondo: se una persona omosessuale «cerca il Signoree ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?» (Conferenza stampa sul volo papale di ritorno dal viaggio in Brasile, del 28-7-2013). Il richiamo al rispetto e al non giudicare le persone in quanto persone — è stato ribadito al convegno — dev’essere preso sul serio. Nello stesso tempo il Papa richiama costantemente, anche nella stessa intervista del 28 luglio, il Catechismo della Chiesa Cattolica che secondo il Documento preparatorio del Sinodo del 2014 contiene la«comprensione aggiornata della dottrina della fede» su questi temi. Il Catechismo, mentre ribadisce l’invito a non giudicare le persone, giudica invece gli atti omosessuali, affermando che sono«intrinsecamente disordinati» e «in nessun caso possono essere approvati» (n. 2357), né — quindi — possono fondare riconoscimenti giuridici. Dire sì o no a una proposta di legge implica sempre un giudizio. Chi siamo noi per giudicare le persone omosessuali in quanto persone? Ma, nello stesso tempo, chi siamo noi per non dare un giudizio morale sui comportamenti e per non giudicare le proposte di legge, sottraendoci a quello che è un dovere di cristiani e di cittadini?

Il convegno ha applicato questi princìpi, in particolare, alle proposte di legge contro l’omofobia. Se per omofobia s’intendono le minacce, le violenze, gl’insulti nei confronti delle persone omosessuali, è chiaro che questi comportamenti non possono essere approvati e devono essere puniti dalla legge. Diverso, però, è il discorso se per «omofobia» s’intende la semplice espressione di opinioni critiche sugli atti omosessuali. Certamente insultare le persone omosessuali con questo o quell’epiteto ingiurioso non è libertà di opinione. Ma, per esempio, alcuni considerano «discriminazione» anche l’opposizione di principio al matrimonio e alle adozioni omosessuali, e tribunali statunitensi e britannici hanno considerato discriminatorie le affermazioni secondo cui gli atti omosessuali sono «disordinati» dal punto di vista morale, un’espressione che come si è visto si trova anche nel catechismo cattolico.

I cattolici, oggi, vorrebbero esser certi che citare il Catechismo — non solo in chiesa, ma anche a scuola o su un giornale, non solo da parte di ministri di culto, per cui s’ipotizzano «eccezioni», ma di chiunque — non porterà in prigione. Vorrebbero poter continuare a sostenere che il matrimonio è solo quello fra un uomo e una donna, che le unioni civili non sono l’alternativa ma l’apripista e il battistrada al futuro matrimonio omosessuale. E che — per quanto coppie di omosessuali possano essere soggettivamente convinte di poter allevare un bambino — i bambini, per apprendere la bellezza e il ruolo della differenza sessuale fra uomo e donna fin dalla prima infanzia, hanno bisogno di un papà e di una mamma, non di due mamme senza papà o di due papà senza mamma. E vorrebbero anche poter criticare l’educazione di genere che il ministero dell’Istruzione sempre più — come il convegno ha documentato — affida nelle scuole ad attivisti della militanza omosessuale, anche qui senza venire accusati del reato di omofobia. Se esprimere opinioni non «politicamente corrette» diventa un reato, la libertà religiosa e la stessa libertà di opinione sono in pericolo.

Gli echi della manifestazione di Torino — «lanciata» anche da Radio Vaticana con un’intervista del giornalista Alessandro Gisotti al coordinatore dottor Introvigne, trasmessa lo stesso 1º dicembre 2013, e inserita dall’arcidiocesi di Torino fra gli appuntamenti diocesani — hanno spinto numerose associazioni, alcune già attive sul punto, a costituire comitati Sì alla famiglia in numerose città italiane e anche all’estero. Di tutte dà notizia il sito <www.siallafamiglia.it>. Si tratta di un movimento di popolo che cresce e che la politica ha sempre più difficoltà a ignorare. Perché la «buona politica» oggi parte dai temi concreti, molto più che dalle etichette e dalle persone.

 

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