di Michele Brambilla
Proprio nel cuore dell’ottobre “mese missionario”, durante il quale si medita la capacità degli uomini di trasformarsi in pietre vive dell’edificio-Chiesa, «sempre più gloriosa di figli generati ogni giorno a Te, o Padre, per virtù dello Spirito Santo» (Messale Ambrosiano, prefazio della solennità della Dedicazione del Duomo di Milano), Papa Francesco procede alla canonizzazione di 35 di quelle pietre, la cui biografia costringe il fedele europeo medio a dover rivedere molte delle proprie convinzioni storiografiche.
Spiccano infatti, tra gli stendardi srotolati sulla facciata di San Pietro, quelli dedicati ad Andrea de Soveral e Ambrogio Francesco Ferro, sacerdoti diocesani, e Matteo Moreira e 27 compagni, protomartiri del Brasile nel 1645, e a Cristoforo, Antonio e Giovanni, adolescenti, protomartiri del Messico nel 1527 e 1529. I primi furono massacrati durante un’incursione neerlandese calvinista nel territorio brasiliano, i secondi vennero uccisi dai compatrioti rimasti pagani. Diedero tutti la vita per la fede cattolica negli stessi anni che i sussidiari scolastici italiani indicano come insanguinati esclusivamente dai conquistador iberici e dall’Inquisizione.
Gli storici non ideologizzati hanno già da tempo demolito la leggenda nera anti-spagnola e anticattolica, tuttavia è solo in queste occasioni particolari che l’occidentale cresciuto a pane e mainstream può scoprire finalmente verità a lui accuratamente nascoste: anche i protestanti hanno ucciso e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo ha rappresentato per i popoli indigeni la liberazione da culti incentrati sui sacrifici umani. Provvidenziali, quindi, queste canonizzazioni nelle stesse settimane in cui troppi cattolici celebrano come evento “salutare” il 500° anniversario della Riforma luterana e gli statunitensi liberal boicottano il Columbus Day persino con atti vandalici.
I martiri non hanno avuto una vita serena. Il Papa invita a non preoccuparsi eccessivamente della lunghezza della vita e dei suoi eventuali comfort, poiché i parametri di un’esistenza felice secondo il Signore sono ben altri. «[…] se si smarrisce l’amore, la vita cristiana diventa sterile, diventa un corpo senz’anima, una morale impossibile, un insieme di princìpi e leggi da far quadrare senza un perché. Invece il Dio della vita attende una risposta di vita, il Signore dell’amore aspetta una risposta d’amore. […] I santi canonizzati oggi, i tanti Martiri soprattutto, indicano la via dell’amore. Essi non hanno detto “sì” all’amore a parole e per un po’, ma con la vita e fino alla fine. Il loro abito quotidiano è stato l’amore di Gesù, quell’amore folle che ci ha amati fino alla fine, che ha lasciato il suo perdono e la sua veste a chi lo crocifiggeva».
Il vero pericolo è «[…] una vita cristiana di routine, dove ci si accontenta della “normalità”, senza slancio, senza entusiasmo, e con la memoria corta». La pagina di Vangelo riservata alla XXVIII domenica del Tempo ordinario e commentata dal Papa è Mt 22,1-14, dove Gesù sprona a presentarsi a Lui «[…] con l’abito nuziale». I santi sono proprio un esempio nel cammino verso il conseguimento di quell’abito che solo ci permetterà, in Paradiso, di sedere al banchetto dell’Agnello. Anche i cattolici ambrosiani non faticano a correlare le parole di Francesco al Vangelo del giorno, poiché il brano offerto dalla succitata solennità della Dedicazione descrive la cacciata dei mercanti dal Tempio (cfr. Mt 21,10-17): dobbiamo espellere dalla nostra vita tutto ciò che attenta al nostro essere tempio vivente dello Spirito Santo.
Chi si adagia nelle comodità e nei piaceri «[…] invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude». Seguire coerentemente il Signore è quindi il vero e unico elisir di lunga vita. Di vita eterna.