Da ifamnews.it del 20/03/2020. Foto da articolo
L’articolo con cui “iFamNews” apre oggi riguarda la depenalizzazione dell’aborto in Nuova Zelanda, secondo modalità che di fatto liberalizzano completamente la soppressione di vite umani innocenti. E con tratti raccapriccianti. Quell’articolo lo abbiamo volutamente illustrato con una fotografia che riguarda sempre l’aborto, ma in un altro Paese, la Spagna. Il volto più raccapricciante della globalizzazione oggi è questo. La soppressione della vita in ogni sua forma e misura ovunque nel mondo. Siamo la civiltà della morte, ma non ci sarà mai nessuno storico o nessun sociologo che, nei tempi a venire, ci ricorderà così, perché nessuno avverte il problema (tanto meno in termini culturali, storici, sociologici).
Oggi è il coronavirus a tenere banco ovunque. Giustamente. L’informazione, ma anzitutto la nostra attenzione è tutta monopolizzata dal nuovo morbo orrendo. Comprensibile, fa paura, anzi terrore, e noi non pensiamo ad altro tutto il giorno. Ci raggiungono messaggi di amici sparsi per il mondo che s’informano della nostra salute, sentiamo di conoscenti e amici colpiti, ci stringiamo in preghiera per quell’amico sacerdote che, abbiamo appreso da Facebook, è stato appena intubato.
Ma al male della malattia nuova si aggiunge quell’altro male, non minore. C’è infatti un altro virus che si diffonde pervicacemente ovunque, una vera pandemia tanto più pericolosa quanto più nessuno la combatte. Il disprezzo dalla vita umana, colpita con l’aborto e con l’eutanasia.
Usiamo dire che il tale è stato colpito da un “brutto male”. Perché, forse che esistano dei “mali “belli”? Diciamo pure di essere come in guerra, contro il virus, ma soprattutto per la devastazione che il virus sta causando. Ma il male peggiore di tutte è la guerra alla vita, quella guerra totale mondiale che infuria da decenni, di cui però nessuno si accorge, anzi che nessuno nemmeno sta combattendo.
Siamo la civiltà che fa guerra a se stessa, nel tentativo di sterminarsi, ma non ci sarà mai nessuno storico o nessun sociologo che, nei tempi a venire, ci ricorderà così, perché nessuno avverte il problema (tanto meno in termini culturali, storici, sociologici).
Nell’era del coronavirus non ci accorgiamo di null’altro, come se non esistesse null’altro, come se il mondo stesse per finire, anzi fosse già finito.
Non ci accorgiamo che la vita viene disprezzata in modo sempre maggiore, sempre peggiore. Si, siamo arrivati alla fine. Se continueremo a comportarci, a pensare così significa che siamo davvero arrivati alla fine.
Non è la prima volta che su queste pagine virtuali coniugo coronavirus e aborto o eutanasia. Lo faccio convintamente perché credo che sia un punto fondamentale, e lo faccio perché ogni giorno in più che passa mi rendo conto di quanto sia surreale preoccuparsi della salute (giustissimo) e intanto massacrare i più indifesi e innocenti, di quanto sia mostruoso fare di tutto per vincere la malattia cinese solo per poter tornare a uccidere bambini nel grembo materno, malati “inutili e anziani “inservibili”.
Ho un sogno, folle come lo sono tutti i sogni. Vedere sventolare il Tricolore ai balconi per i bambini massacrati nell’utero materno, per i disabili, i malati e i vecchi che vogliamo mandare alla morte. Voglio vedere la gente fare chiasso e fermarsi nei flashmob per la vita calpestata, per quel virus immondo che sia chiama aborto e che sia chiama eutanasia.
Non succederà. Siamo davvero arrivati alla fine?
Marco Respinti