Di Michele Brambilla
«Oggi», XV domenica del Tempo ordinario, «il Vangelo presenta la celebre parabola del “buon samaritano” (cfr Lc 10,25-37)», figura che Papa Francesco decide di mettere a fuoco alla recita dell’Angelus del 14 luglio.
«Interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna», spiega il Pontefice, «Gesù lo invita a trovare la risposta nelle Scritture e dice: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27)». Ma «c’erano […] diverse interpretazioni su chi si dovesse intendere come “prossimo”», pertanto la domanda del fariseo «E chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29) è del tutto legittima.
Cristo decide dunque di rispondere con la parabola dell’uomo che, mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico, incappò nei briganti e venne soccorso da un samaritano. Commenta il Papa: «sappiamo che i giudei trattavano con disprezzo i samaritani, considerandoli estranei al popolo eletto. Non è dunque un caso che Gesù scelga proprio un samaritano come personaggio positivo della parabola. In questo modo vuole superare il pregiudizio, mostrando che anche uno straniero, anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso».
Una parabola, quindi, che fu pronunciata da Gesù con l’intento di smuovere l’interlocutore dalle proprie certezze di ebreo osservante e che acquista un significato ancora più paradossale se si considera che «per quella stessa strada, prima del samaritano, erano già passati un sacerdote e un levita, cioè persone dedite al culto di Dio. Però, vedendo il poveraccio a terra, erano andati oltre senza fermarsi, probabilmente per non contaminarsi col suo sangue». La contaminazione “da sangue sparso” impediva infatti di presentare i sacrifici nel Tempio, dal momento che gli Ebrei ritenevano il sangue umano metonimia della persona stessa e, come tale, competenza esclusiva di Dio, l’Unico che può dare e togliere la vita. Il sacerdote e il levita secondo Gesù avevano commesso, però, un grave errore di valutazione: non si erano accorti che in quel momento difendere la sacralità della vita significava impedire al ferito di morire per le ferite.
Francesco invita allora a pensare a tutti coloro che fanno del bene pur non essendo credenti: «Gesù sceglie come modello uno che non era un uomo di fede. E questo uomo, amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze – il Dio che non conosceva! –, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità», il che dovrebbe far interrogare ognuno sulla qualità della propria fede, da misurare sulla capacità di ascolto e di compassione del fratello bisognoso. «Non ci lasciamo trascinare dall’insensibilità egoistica», ammonisce quindi il santo Padre. «La capacità di compassione è diventata la pietra di paragone del cristiano, anzi dell’insegnamento di Gesù. Gesù stesso è la compassione del Padre verso di noi». L’itinerario da Gerusalemme a Gerico è infatti un simbolo dell’allontanamento dell’uomo dalla grazia di Dio, ma il Signore non lo abbandona mai e, inaspettatamente rispetto ai calcoli, alle previsioni e alle aspettative umani, riesce a raggiungerlo anche nel luogo della perdizione.
Lunedì, 15 luglio 2019