Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 59 (1980)
In seguito a critiche progressiste al documento di Puebla
Spiraglio anticomunista nella Chiesa latino americana
La stampa ha dato notizia di una riunione a porte chiuse della conferenza episcopale brasiliana, nel corso della quale è stata respinta a grande maggioranza (236 voti contro 69) la proposta di un documento di sostegno al Santo Padre a proposito della condanna che ha colpito Hans Küng (Cfr. Il Giornale nuovo, 10-2-1980). Nella stessa occasione è stata data notizia di divergenze nella Gerarchia relativamente al testo definitivo di Puebla, approvato dal Pontefice. Su quest’ultimo episodio, pubblichiamo due articoli del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, Raio, vaga-lume, silencio e Sobre raio e vaga-lume: final, comparsi sulla Folha de S. Paulo, rispettivamente il 29-12-1979 e il 6-1-1980. In essi, il presidente della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Familia e Propiedade si fa portavoce di tanti cattolici sudamericani fiduciosi che la presa di posizione di alcuni loro vescovi, decisa e chiara contro la «teologia della liberazione», sia solo il primo passo verso un’opera di definitiva purificazione dottrinale interna al mondo cattolico ibero-americano. Affermata la speranza che la visita in Brasile del Santo Padre Giovanni Paolo II, annunciata per la prossima estate, possa fare cessare la penetrazione di idee rivoluzionarie all’interno della Chiesa sudamericana.
I
Il cielo era così scuro, così carico di pioggia, che sulla terra nessuno capiva come mai le nuvole non si aprissero in un uragano universale. La crisi meteorologica era misteriosamente soffocata. E questa stabile instabilità si trascinava da tanto tempo, che nel conscio o nel subconscio degli uomini si veniva formando la impressione che, esaurita da lunghi secoli di mutamenti, carica di innumerevoli inquinamenti, l’atmosfera avesse cessato di trasformarsi.
All’improvviso, lampeggiò un fulmine. Tuonò da un capo all’altro del cielo. Sulla terra, alcuni, pochi spettatori non immersi nella generale apatia rimasero a sperare nelle conseguenze. Nello scuro letargo di tutte le anime e di tutte le cose, una lucciola tracciò nell’aria un volo corto e senza una direzione precisa. E non accadde più nulla. Né dalle nuvole partì un nuovo fulmine. Né sulla terra si mosse qualche passero, qualche rana oppure qualche serpente. Almeno fino a questo momento.
Tento di descrivere in questi termini come ho sentito la pubblicazione della lettera inviata da mons. Luciano Duarte, arcivescovo di Aracajú e vice-presidente del massimo organo dell’episcopato dell’America Latina, la CELAM, a mons. Ivo Lorscheiter, vescovo di Santa Maria e presidente del massimo organo dell’episcopato brasiliano, ossia della CNBB, della Conferencia Nacional dos Bispos Brasileiros. È stato un fulmine nel cielo inquinato e plumbeo della vita religiosa brasiliana. Giorni dopo è uscito un comunicato firmato da mons. Luciano Mendes de Almeida, vescovo ausiliare di San Paolo e segretario generale della CNBB, a illuminare come una lucciola la stampa (e perché non firmato da mons. Ivo Lorscheiter?). Testo breve, di piccola portata e di direzione imprecisa. E poi tutto si è fermato. Continuerà a restare fermo? Fino a quando?
In questo stato di incertezza, non posso tralasciare di esprimere il mio pensiero.
Secondo Vieira, la parola più difficile da dire è «no». Al contrario, la parola più gradita è «sì». Mi piace dire sì. Ho nostalgia di dire sì, di essere d’accordo, di applaudire. Perciò, quando ho letto la lettera dell’arcivescovo di Aracajú ho avuto l’impulso di telefonargli oppure di scrivergli, dicendogli «sì». Manifestandogli la mia solidarietà. E tutto questo benché, dal punto di vista dottrinale, un passo importante della sua missiva mi causasse una certa perplessità. Infatti, se mi piace dire «sì». dirlo a un membro della sacra gerarchia mi riesce più che gradito: mi riesce delizioso.
Ma il buon senso mi ha imposto di tacere. Conosco mons. Luciano Duarte solo di nome. Almeno di nome, mi conoscerà? Approverà quanto vengo dicendo e facendo in questa atmosfera mefitica? Non ho nessuna risposta per queste domande. Sarebbero, dunque, gradite al prelato le mie felicitazioni? Anche questo non lo so. Il silenzio è d’oro …
Ma non sempre. Infatti, talora, parlare è segno di coraggio e tacere segno di codardia. E il silenzio pesante in cui sembrano essere nuovamente scivolate le cose, potrebbe dare l’impressione che non intervengo perché sono stato contagiato dal generale letargo, oppure da qualche basso calcolo opportunistico. Ora, poiché il letargo generale non mi ha contagiato, poiché ho paura soltanto di Dio e non sono mai stato opportunista, parlo.
Tutto questo mi è accaduto quando ho letto il comunicato con cui il vescovo ausiliare di San Paolo, mons. Luciano Mendes de Almeida, ha tentato di dare una risposta all’arcivescovo di Aracajú mons. Luciano Duarte. Questo comunicato ha lasciato le cose a tale punto che, se la situazione era incomprensibile prima della lettera-fulmine del vice-presidente della CELAM, essa diventerà più enigmatica della sfinge di Ghizah, se tutto rimarrà fermo dopo la spiegazione (?…)-lucciola del segretario generale della CNBB. E, se questo silenzio durerà, creerà la necessità di un chiarimento pubblico e solenne da parte di Giovanni Paolo II, in occasione della visita con cui onorerà il Brasile. Senza il quale, noi cattolici brasiliani rimarremo posti in una notte così profonda, così mefitica, così letale, peggio della quale posso quasi immaginare soltanto l’ultima notte della storia, prima della fine del mondo.
Esagero? Valutiamo i fatti.
La grande speranza della Chiesa per il secolo XXI è costituita dall’America Latina, ossia da quella immensità di genti, di terre e di ricchezze che si stendono dal Messico settentrionale fino alle estremità glaciali della Patagonia. Qui tutto è cattolico, almeno di nome e di intenzione. Il secolo XXI sarà il nostro secolo, come il secolo XX è quello degli Stati Uniti, e il secolo XIX è stato quello dell’Europa colonialista.
Nel 1979 questo «psicocontinente» è visitato dal nuovo Papa. Egli si incontra con i rappresentanti degli episcopati delle ventidue nazioni latino-americane, e, in mezzo a parole di saluto e di affetto, rivolge loro un gravissimo avvertimento: la «teologia della liberazione» è un cancro posto nelle viscere della cattolicità ibero-americana. E, come ogni cancro, va emettendo gradualmente metastasi.
La nuova scuola giunge a contestare la divinità di Gesù Cristo. Semina la sovversione. Propagata anche da esponenti del clero, inculca, per quanto possibile, una pastorale che tende a laicizzare l’azione della Chiesa e a proiettare in secondo piano quanto dovrebbe stare al primo, cioè la catechesi, la formazione morale del popolo cristiano, l’amministrazione dei sacramenti, insomma, la salvezza delle anime. In primo piano rimane la lotta di classe desiderata dal marxismo. Il Pontefice raccomanda ai vescovi di prendere misure. Accadono allora alcuni fatti:
a. il 1° febbraio 1979 Giovanni Paolo II ritorna a Roma. Riuniti a Puebla, i vescovi elaborano un documento collettivo e lo sottopongono al Pontefice. Fatto questo, chiudono la loro riunione il giorno 13 febbraio;
b. dal 27 al 31 marzo, rappresentanti autorizzati dei vescovi si riuniscono a Los Teques, in Venezuela, per prendere conoscenza del testo restituito da Roma. In questo si trovano certe modifiche. La CELAM accetta naturalmente il testo emendato;
c. la CNBB riceve l’incarico di divulgare il testo proveniente da Roma, in una traduzione portoghese irreprensibile. Di questa divulgazione sono incaricate tre case editrici, che sono però lasciate libere di fare precedere il testo approvato dal Pontefice dai commenti che meglio credono;
d. i commenti aggiunti al libro da due delle editrici interpretano (e criticano) il testo, in modo da fare, per quanto è possibile, il gioco della stessa «teologia della liberazione» denunciata da Giovanni Paolo II. Per sei mesi queste edizioni hanno corso in tutto il Brasile. E nessuno si muove. Più che mai, l’atmosfera sonnolenta e inquinata pesa sul Brasile.
II
Concludo oggi il mio precedente commento sulla corrispondenza tra mons. Luciano Duarte, mons. Ivo Lorscheiter e mons. Luciano Mendes de Almeida.
Già da molto tempo un fitto mistero inquina l’atmosfera del Brasile cattolico: da undici anni a questa parte esplode di quando in quando una protesta contro la infiltrazione comunista negli ambienti cattolici. Al tuono fa seguito un mormorio. E poi silenzio. Perché questa inerzia? Ricordiamo i fatti.
1. 1968 (luglio-agosto). Raccolta di firme promossa dalla TFP, nella quale 1.600.368 cattolici chiedono provvedimenti contro la infiltrazione comunista nella Chiesa a Paolo VI, allora presente a Medellin. Mormorio. Silenzio come risposta.
2. 1969 (febbraio). La TFP pubblica sui giornali un comunicato intitolato L’Arcivescovo rosso apre le porte dell’America e del mondo al comunismo. Mormorio. Silenzio.
3. 1969 (luglio-agosto). Edizione speciale del mensile Catolicismo (di cui la TFP diffonde in tutto il paese 165 mila copie), che denuncia 1’IDOC e i «gruppi profetici», organismi internazionali semiclandestini di promozione del comunismo e del progressismo nella Chiesa. Mormorio. Silenzio.
4. 1969 (novembre). Esplode l’affaire Marighela. La TFP diffonde ampiamente un comunicato nel quale manifesta la sua costernazione di fronte alla partecipazione di sacerdoti domenicani alla cospirazione terroristica guidata da Carlos Marighela.
5. 1972 (novembre). Il vescovo di Campos, mons. Antonio de Castro Mayer, concede una clamorosa intervista alla Folha de S. Paulo a proposito della sua lettera pastorale sui Cursilhos de Cristiandade, nella quale mette in guardia l’opinione pubblica cattolica relativamente alle tendenze di sinistra presenti in certi circoli cursiglisti. In 120 giorni la TFP ha venduto 93 mila esemplari di questa pastorale in 1238 centri abitati. Molto mormorio. Silenzio.
6. 1975 (novembre). La TFP diffonde attraverso i giornali un messaggio al cardinale Arns, intitolato Non si illuda, Eminenza, in cui mette in guardia la gerarchia ecclesiastica a proposito del vuoto che si sta facendo intorno a essa, nella misura in cui favorisce la sovversione comunista in Brasile. Mormorio. Silenzio.
7. 1976 (luglio). Pubblico il volume A Igreja ante a escalada da ameaça comunista. Apelo aos Bispos silenciosos, nel quale faccio la storia dei quarant’anni della crisi progressista e del cattolicesimo di sinistra in Brasile. Di questo libro si esauriscono 51 mila esemplari. Alcuni comunicati ecclesiastici esacerbati contro il libro, privi di argomenti. Chiedo pubblicamente spiegazioni. Silenzio.
8. 1977 (febbraio-maggio). Mons. Geraldo de Proença Sigaud, arcivescovo di Diamantina, e mons. José Pedro Costa, allora arcivescovo coadiutore di Uberaba, denunciano la diffusione del comunismo tra i cattolici brasiliani. Mormorio. La Santa Sede apre una inchiesta della quale incarica mons. José Freire Falcão, arcivescovo di Teresina. L’inchiesta, a quanto pare, è morta nel silenzio.
9. 1977 (agosto). Sul Correio Braziliense mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, propone la pubblicazione di una pastorale collettiva dell’episcopato brasiliano contro il comunismo. Il patriottico suggerimento urta contro un muro di silenzio, e cade in dimenticanza.
10. 1977 (novembre). Pubblico il volume Tribalismo indigena, ideal comuno-missionário para o Brasil no seculo XXI, nel quale denuncio la neo-missionologia comunista e strutturalista. Ne sono vendute sette edizioni, per un totale di 76 mila esemplari. Mormorio. Silenzio.
Di fronte a tutte queste grida di allarme – e per brevità faccio riferimento solamente a quelle che sono partite dal Brasile – è un fatto storico che la parte interessata ha reagito soltanto o quasi soltanto con mormorii. E la Santa Sede con il silenzio.
In questo senso – bisogna insistere – in Brasile il discorso di Giovanni Paolo II a Puebla è stato, fino a poco tempo fa, assolutamente inefficace. Lo possono attestare tutti coloro che hanno assistito costernati all’appoggio dato da vescovi e da sacerdoti alle diverse forme di agitazione e di contestazione, di cui il Brasile è stato teatro nel 1979.
All’interno di questo lugubre panorama brilla all’improvviso la lettera di mons. Luciano Duarte. Opportuna. Coraggiosa. Essa va un poco oltre la critica delle prefazioni falsificatrici preposte alle edizioni del documento di Puebla. Denuncia tutta una «interarticolazione» di portata americana e di risonanza mondiale, messa in moto dagli adepti della «teologia della liberazione» per diffamare la figura rispettabile di mons. Lopez Trujillo, presidente della CELAM, che, con mons. Luciano Duarte, si viene opponendo a questa scuola.
Ma si presenta a questo punto la nostra prima domanda. Quei due studi introduttivi al documento di Puebla sono due punti sull’orizzonte della sovversione ecclesiastica in America Latina. Certamente punti importantissimi. Ma in essi non si esaurisce tutto l’orizzonte. Mons. Luciano Duarte intende lottare soltanto per la neutralizzazione di questi due punti? Farà astrazione da tutta la galassia di iniziative sovversive che la nuova teologia sta moltiplicando nel continente? Ignorerà che la «interarticolazione» da lui così sagacemente individuata, non inonda di calunnie solamente le nobili personalità di mons. Lopez Trujillo e la sua, ma quella di tanti altri combattenti della buona causa? Di fronte a questo, lui (e anche mons. Lopez Trujillo) fino a che punto condurranno la lotta meritoriamente iniziata? Riporranno la spada nel fodero dopo il volo di lucciola della piccola replica della CNBB? Continueranno fino a che le prefazioni censurabili siano ritirate dalla circolazione? In questo caso, si ritireranno poi nella convinzione (o nella illusione) di avere fatto uno sforzo completamente riuscito? O possiamo sperare che la lettera dell’arcivescovo di Aracajú sia stato un primo passo per scatenare tutte le forze cristianamente valide nella realizzazione di tutto un programma per sanare definitivamente l’orizzonte dottrinale inquinato, nel quale vivono i cattolici ibero-americani?
In realtà, soltanto l’ultima ipotesi corrisponde alle necessità della situazione.
Se non è così, e se restiamo misteriosamente nella inerzia dell’orizzonte nel quale i tuoni esplodono inutilmente, e smuovono solamente, di quando in quando, qualche lucciola dalla luce smorta e dal volo indeciso, ripeto: la situazione sarà soltanto peggiorata, perché la inutilità anche di questa mossa avrà aumentato il mistero, il malessere e lo sconcerto.
Se deve succedere così – e Dio ce ne liberi – è meglio che volgiamo subito le nostre speranze alla visita che Giovanni Paolo II, con la sua figura robusta, viva e vivace, ci farà alla metà del 1980. E la cui condotta di fronte agli errori di p. Pohier, di don Küng e di p. Schillebeeckx – e forse di p. Leonardo Boff – va suscitando da queste parti non poche speranze.
Plinio Corrêa de Oliveira