L’Incarnazione, ricorda il Papa, è la risposta della tenerezza di Dio all’incessante ricerca della Verità da parte dell’uomo
di Michele Brambilla
Anche in questo anno pandemico si arriva al 23 dicembre, antivigilia del Natale. Presiedendo l’udienza generale, Papa Francesco annuncia: «in questa catechesi, nell’imminenza del Natale, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione» sul grande mistero dell’Incarnazione. «Nella Liturgia della Notte» santa, infatti, «risuonerà l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Non temete, ecco io vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,10-12)».
Il Papa riconosce che «il Natale è diventato una festa universale, e anche chi non crede percepisce il fascino di questa ricorrenza», sebbene si limiti spesso a travestirsi da Santa Klaus e a cantare Jingle Bells. Proprio per questo il Santo Padre tiene a precisare che «il cristiano, però, sa che il Natale è un avvenimento decisivo, un fuoco perenne che Dio ha acceso nel mondo, e non può essere confuso con le cose effimere». Rinnovando la condanna del consumismo, il Pontefice ripete il suo «no: il Natale non deve ridursi a festa solamente sentimentale o consumistica, ricca di regali e di auguri ma povera di fede cristiana, e anche povera di umanità. Pertanto, è necessario arginare una certa mentalità mondana, incapace di cogliere il nucleo incandescente della nostra fede, che è questo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14)».
«Il Natale», riprende Francesco, «ci invita a riflettere, da una parte, sulla drammaticità della storia, nella quale gli uomini, feriti dal peccato, vanno incessantemente alla ricerca di verità, alla ricerca di misericordia, alla ricerca di redenzione; e, dall’altra, sulla bontà di Dio, che ci è venuto incontro per comunicarci la Verità che salva e renderci partecipi della sua amicizia e della sua vita» divina attraverso la morte e la risurrezione del Figlio.
«Questa realtà», insiste il Papa, «ci dona tanta gioia e tanto coraggio. Dio non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non ha avuto ribrezzo della nostra miseria». Guardiamo, allora, al presepe con uno spirito autenticamente contemplativo: di fronte al Bambino Gesù possiamo riconoscere, assieme a sant’Agostino d’Ippona (354-430), che «non avevo ancora tanta umiltà da possedere il mio Dio, l’umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza» (Confessioni VII,8), o rivestirci di stupore come san Francesco d’Assisi (1182-1226). Il Santo Padre cita a proposito del presepe la lettera Admirabile signum, firmata nel dicembre 2019, ma confida anche un’intuizione, ricavata da un dialogo avvenuto proprio in questi giorni: «l’altro giorno, parlando con alcuni scienziati, si parlava dell’intelligenza artificiale e dei robot… ci sono robot programmati per tutti e per tutto, e questo va avanti. E io dissi loro: “Ma qual è quella cosa che i robot mai potranno fare?”. Loro hanno pensato, hanno fatto delle proposte, ma alla fine sono rimasti d’accordo in una cosa: la tenerezza». I robot non sono in grado di amare teneramente, l’uomo sì, perché è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, che è amore.
Allo scopo di prepararsi al Natale, Il Papa suggerisce anche un gesto che è una modalità di contemplazione: «c’è un altro modo di prepararsi, che voglio ricordare a voi e me, e che è alla portata di tutti: meditare un po’ in silenzio davanti al presepe. Il presepe è una catechesi di quella realtà, di quello che è stato fatto quell’anno, quel giorno, che abbiamo sentito nel Vangelo».
Giovedì, 24 dicembre 2020