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“Stati Uniti, chi sono i “suprematisti” bianchi?”

17 Agosto 2017 - Autore: Marco Respinti

Da “La bianca torre di Echtelion” del 15 agosto 2017. Foto da Repubblica

Donald Trump li definisce «ripugnanti» perché «viviamo sotto la stessa legge, la stessa bandiera e siamo stati tutti creati dallo stesso Dio onnipotente», quindi «il razzismo è il male e coloro che provocano violenza in suo nome sono criminali e delinquenti, compresi il KKK, neo-nazisti, suprematisti bianchi e altri gruppi d’odio».

A volte tornano perché negli Stati Uniti sono una piaga atavica, non solo tra i “sudisti”. Basti pensare che accenti suprematisti li ebbe L. Frank Baum, il padre teosofista del mago di Oz, e che antisemita doc fu il re dell’automobile Henry Ford. Il loro pensiero incrocia l’eredità illuminista (Voltaire era razzista, il conte di Buffon pure e l’abbé Grégoire concepì per primo la «rigenerazione» degli ebrei) e una pato-teologia protestante inglese, oramai ben poco cristiana, nata a metà Ottocento con il nome di «British Israelism»: l’idea che i popoli britannici discendano dalle dieci tribù perdute dell’antico Israele. Inizialmente il movimento fu filosemita, ma poi si rovesciò sostenendo che i giudei sono impostori razziali e i veri ebrei gli ariani.

Dopo l’uscita, nel 1916, di The Passing of the Great Race, dell’eugenista Madison Grant, che rivendica ai “nordici” tutte le conquiste della civiltà, a partire dagli anni Venti negli Stati Uniti si diffonde la «Christian Identity», ideologia secondo cui le “razze inferiori” saranno sterminate o schiavizzate per servire i bianchi, l’unica stirpe sul serio adamitica (gli altri sono “bestie” o addirittura progenie di Satana), in un nuovo regno beato guidato da un Gesù ovviamente bianco (“celtico”, “ariano”) finalmente tornato sulla Terra.

È una teologia priva di fondamento e rigettata dalla Chiese maggiori, ma ha dato vita a una galassia di micro-organizzazioni dette «Chiese dell’identità». Ruotano attorno alla figura di un predicatore-führer, hanno inglobato l’immaginario neonazista, si dichiarano in guerra con il governo (occupato da sionisti che aizzano neri contro bianchi), fanno del complottismo una fede e alternano terrorismo a delinquenza comune. Le sigle più note sono, o sono state, Aryan Nations del defunto Richard G. Butler, Liberty Lobby di Willis Carto, The Order (noto anche come Brüder Schweigen), National Vanguard di Kevin A. Strom, nonché National Alliance del fu William Luther Pierce, autore nel 1978, con lo pseudonimo di «Andrew Macdonald», del romanzo apocalittico-distopico The Turner Diaries, tradotto in italiano con il titolo La seconda guerra civile americana (introduzione di Giorgio Galli, Bietti, Milano 2015). Più recente è la corrente “odinista”, che si rifà al paganesimo germanico, ma non tutti sono suprematisti e razzisti. Infine vi si sovrappongono le “milizie” (non tutte) e i gruppi “survivalisti” che attendono la fine del mondo (sempre) domani. Anche la più celebre organizzazione suprematista bianca americana, il Ku Klux Klan, è, almeno oggi, influenzato dal giro mentale della «Christian Identity». Del resto nel suprematismo bianco è frequente la “doppia tessera” o lo scambio fra Klan e «Chiese».

Dunque un mondo certamente inquietante, che però i watchdog della Sinistra sopravvalutano ‒per mestiere ‒ grazie alla gran sete di celebrità mediatica che arde gli untorelli suprematisti. Al contempo, è un mondo che non va nemmeno sottovalutato. Con il movimento conservatore comunque non c’entra. Vale per tutti l’esempio di National Review, il principale periodico della Destra americana, che dalla fondazione, nel 1955, ha epurato ogni eresia razzista e suprematista. Né le «Chiese dell’identità» c’entrano con il Partito Repubblicano. Si cita David Duke, ma nessuno sa citare un secondo caso e tutti scordano che prima che Repubblicano Duke fu Democratico, oltre che sempre una macchietta.

Nell’era Trump il suprematismo è tornato? Sì, ma non nelle strade, dove non è né più né meno di prima, bensì sulla stampa liberal che pensa di averne scovato la versione 2.0 nella «alt-right», una sportina di comodo da rimpinzare con i “mostri” di turno. Quando questo giochino d’ideologie contrapposte lascia morti sul selciato è tragico; ma i liberal quanto lo sperano sempre il povero morto che giustifica tutti i loro teoremi?

Marco Respinti

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