Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 2 (1973)
Traduzione degli articoli 1770-1970: uma visão de conjunto, O binomio “medo-simpatia” Garaudy esboça nova aproximação e A manobra Garaudy, comparsi sulla Folha de S. Paulo rispettivamente il 22-2-1970, l’1-3-1970, l’8-3-1970 e il 15-3-1970. Il titolo comune è redazionale.
“Cedere per non perdere”: passato e presente della formula della sconfitta
1770-1970: UNA VISIONE DI INSIEME
Mi sembra molto fruttuoso e persino indispensabile – per la comprensione delle più recenti mosse politiche del comunismo internazionale – lanciare uno sguardo retrospettivo alla storia degli ultimi 200 anni. L’importanza di questo studio ripaga largamente della fatica.
Infatti il comunismo oggi sembra onnipotente e nello stesso tempo disfatto. Onnipotente, perché: a) copre una tale fascia di terre e di popoli da costituire uno dei maggiori “imperi ideologici” della storia; b) mai ha avuto davanti a sé avversari così ingenui, così timidi, così arrendisti. Ma parimenti sembra disfatto perché: a) mai i suoi massimi dirigenti si sono mostrati così indifferenti a quanto costituisce la specifica essenza ideologica del comunismo: b) mai l’opposizione nelle file dei diversi partiti comunisti è stata così audace, così colta e così popolare; c) e mai il movimento autonomista nei paesi satelliti è parso così incontenibile.
Se il grande ideale dei nostri giorni è sconfiggere il comunismo, la scelta del modo migliore per raggiungere questo fine è del massimo interesse. Ora, questa scelta deve essere fatta tenendo conto di quello che succede nelle file dell’avversario. Da questo sorge, a sua volta, come sommamente importante, la seguente domanda: questo duplice fenomeno di vittoria e di putrefazione è autentico? Oppure nasconde una sua nuova manovra?
Se una retrospettiva storica dal 1770 a oggi chiarisce il problema, la sua utilità è innegabile.
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Nei suoi aspetti essenziali la storia di questo periodo si identifica con quella della preparazione, irruzione, espansione e apogeo dell’immensa convulsione di idee, modi di vita, sistemi artistici, istituzioni politiche, sociali ed economiche che si è convenuto di chiamare Rivoluzione francese. Infatti, nel 1770 (fissiamo questo anno un poco arbitrariamente, per non retrocedere nella retrospettiva oltre i 200 anni), la Rivoluzione si trovava nell’ultimo periodo della sua profonda e lenta gestazione. Nel 1789 venne alla luce e cominciò il crollo dell’Antico Regime. In pochi anni la Chiesa fu successivamente ridotta a una istituzione appena tollerata e, in fine, posta fuori legge. Il trono dei Borboni fu abbattuto. L’aristocrazia fu abolita. Il furore rivoluzionario rivolse poi la sua rabbia contro i ricchi, e nella sua fase di maggiore parossismo la Rivoluzione presentò sfumature incontestabilmente comunistiche. Fu il Terrore. In esso si riassume quella che si potrebbe chiamare la fase esplosiva, radicale e tragica della Rivoluzione. Sono 5 anni.
A essa quindi succede la lunghissima fase in cui la Rivoluzione procede lenta, infida e duttile, fase che va dal 1794 fino a oggi, se si ammette che, da un certo punto di vista, la Rivoluzione continua il suo corso, modellando sempre più il mondo secondo il suo spirito anarchico e ugualitario. Questa fase si suddivide in due periodi: a) quello della ritirata strategica; b) quello del contrattacco.
Avendo dato sfogo a tutta la sua rabbia distruttrice e avendo sollevata al massimo la reazione dei suoi avversari, la Rivoluzione si trovò costretta a retrocedere per tappe.
All’inizio della fase di ritirata strategica (inizio del Direttorio fino alla caduta di Carlo X nel 1830) vi fu il ristagno della offensiva comunista e il consolidamento della dominazione della borghesia.
Con Napoleone la ritirata divenne ancora più evidente. La repubblica fu sostituita da una monarchia spuria. La società borghese si trasformò in una aristocrazia posticcia costituita da nuovi ricchi, da generali vittoriosi e da funzionari di alto grado. La Chiesa, benchè non ritornasse nella sua antica posizione, fu liberata ed entrò in regime di concordato con lo Stato. Napoleone cercò perfino di legittimare la sua posizione agli occhi dei suoi avversari, nostalgici dell’Antico Regime, sposando una arciduchessa di casa d’Austria. Egli divenne così – per affinità – pronipote di Maria Antonietta e di Luigi XVI. Raccolse alla sua corte tutti i cortigiani dei Borboni che riuscì ad attrarre. E tentò anche di comprare i diritti al trono dal conte di Provenza, fratello e successore di Luigi XVI.
Tutto questo apparente ritorno al passato era tuttavia molto più di superficie che di profondità. Durante il Direttorio, come durante il Consolato e l’Impero, il fatto profondo e principale è che la società nuova, laica, ugualitaria e plebea andò prendendo consistenza e stabilità. I ritorni verso l’Antico Regime avevano un fine strategico: consolavano e addormentavano gli avversari della Rivoluzione, però non restituivano loro nulla di solido e di durevole. Quanto la Rivoluzione concedeva in apparenza, era compensato da guadagni in profondità.
Come si operava questa neutralizzazione degli avversari della Rivoluzione?
Il clero, i nobili e in generale i nostalgici del passato, consci del fatto che l’ideologia del Terrore aveva lasciato germi attivi di inquietudine, spaventati di fronte alla prospettiva di una reviviscenza rivoluzionaria, accettavano di buon grado il poco che il nuovo ordine di cose restituiva loro. E pur detestandolo, per timore che venisse qualcosa di peggiore, cedevano per non perdere. Abbandonavano speranze molto amate per non perdere il poco che avevano recuperato.
Le cose continuarono ad andare nella stessa direzione quando, destituito Napoleone dagli alleati, salì al trono Luigi XVIII, il conte di Provenza. Il clero e gli emigrati guadagnarono qualche altra distinzione, e null’altro. Nei suoi caratteri profondi, l’ordine di cose instaurato da Napoleone si mantenne fin da subito con l’appoggio della maggioranza dei suoi avversari di ieri, dal momento che era stato accettato dal re.
Sotto i Borboni, le società segrete svolsero una attiva propaganda rivoluzionaria. Nella loro maggioranza, gli avversari della Rivoluzione, sempre decisi a “cedere per non perdere” e godendo indolentemente quella loro vittoria tanto incompleta, pensavano soltanto a godere la vita. La Rivoluzione preparava così, attivamente e audacemente, una “esplosione”.
Questa esplosione, che chiude la fase delle ritirate strategiche e inaugura la fase dell’avanzata conquistatrice e lenta della Rivoluzione, non consistette nella instaurazione diretta della repubblica, ma nella “repubblicanizzazione” della monarchia. La Rivoluzione depose i Borboni del ramo primogenito e portò al trono il principe usurpatore che prese il nome di Luigi Filippo. Con lui salì al potere la borghesia, e la nobiltà scese dal primo piano della vita politica.
Calmata alla vista del fatto che le cose non arrivavano fino al peggio, cioè fino alla repubblica e al Terrore, la maggioranza dei seguaci del ramo deposto continuò – fin da subito nell’ostracismo politico e nella penombra – a vegetare tranquilla. Ancora una volta le sembrava prudente accettare il poco che le veniva lasciato, piuttosto che reagire, esasperare l’avversario e… finire per perdere tutto.
Frattanto l’effervescenza rivoluzionaria continuava, sempre più esigente. Così, nel 1848 la Rivoluzione abbatté Luigi Filippo e durante un breve intervallo repubblicano (1848-1851) elesse alla presidenza della Repubblica un principe-plebeo e ancora più evidentemente usurpatore, cioè Luigi Napoleone Buonaparte. Questi non tardò a proclamarsi imperatore, e sotto il nome di Napoleone III governò fino al 1870. Il suo regime fu ancora più “repubblicano”, borghese e laico di quello di Luigi Filippo. Con la caduta di Napoleone III a causa della vittoria della Prussia, si ebbero due irruzioni estremistiche, cioè una vittoria elettorale del conte di Chambord, erede della monarchia legittima, e una esplosione comunista. Ma né il conte di Chambord né i comunisti conquistarono il potere, che rimase nelle mani della borghesia.
In questi 100 anni ininterrotti di repubblica che cosa è successo in Francia?
Il processo verso l’anarchia e l’uguaglianza ha continuato il suo corso, ma già subito a un altro livello. Degli avversari combattuti nella fase esplosiva e violenta che era culminata nel Terrore, due erano a terra: la dinastia e la nobiltà. Uno rimaneva in piedi, la borghesia. Bisognava abbatterla.
Da questo punto di vista, la storia di Francia negli ultimi cento anni si riassume in una decadenza lenta e continua del potere borghese, in una erosione incessante della proprietà individuale e in una penetrazione graduale dello spirito socialista anche nelle file del clero e della borghesia. Sarebbe troppo lungo descrivere in questa sede le vicissitudini di questo processo, per altro più recente e meglio conosciuto. Basti dire che, nel suo corso, la condotta della borghesia fu la copia esatta di quella tenuta precedentemente dalla nobiltà: un continuo “cedere per non perdere”, una fruizione del letargo del presente, senza grandi preoccupazioni per il futuro.
Insomma, al termine di 100 anni di agitazioni repubblicane e di contro-agitazioni monarchico-aristocratiche, e di altri 100 anni di repubblica borghese, tutto in Francia avanza verso la piena realizzazione del programma degli uomini del Terrore, dei “montagnardi”, dei “cordiglieri” e del comunista Babeuf. Lentamente, e senza spargimento di sangue, l’ideologia del Terrore è la grande vincitrice. Basta che le cose continuino ad andare tranquillamente come vanno e, prima o poi, la Francia sarà comunista … Il comunismo, implicitamente ha la vittoria in mano. Infatti sta nel socialismo come il tuorlo nell’uovo. E il socialismo ha già vinto.
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È possibile dedurre da questa massa di fatti un insegnamento per il presente? È quanto vedremo in un altro articolo.
IL BINOMIO PAURA-SIMPATIA
Nell’articolo precedente ho cercato di tracciare un panorama della lotta di classe in Francia durante gli ultimi 200 anni. In esso ho analizzato soprattutto la condotta della aristocrazia di fronte alla offensiva vittoriosa della classe borghese, e poi quella della borghesia di fronte all’ascesa pressochè ineluttabile del proletariato.
Così, ho fatto essenzialmente notare che:
1 – La vittoria del repubblicanesimo borghese sul monarchismo aristocratico non fu dovuto unicamente al fatto, descritto molto semplicisticamente da un buon numero di divulgatori di storia, che le “idee nuove” conquistavano rapidamente adepti sempre più numerosi, mentre le “idee vecchie” andavano perdendo i loro “fedeli”. La realtà fu ben più complessa. Il monarchismo aristocratico conservò una vitalità politica innegabile e possibilità di vittoria molto notevoli, almeno fino al 1870, cioè durante i 100 anni complessivi che hanno fatto seguito alla presa della Bastiglia.
2 – Di fronte a questa vitalità ostinata del monarchismo aristocratico, le sue enormi catastrofi politiche non si possono attribuire esclusivamente a una perdita di adepti che aderirono all’altra parte, ma alla debolezza degli adepti che rimanevano fedeli, di fronte alla tattica scaltra della Rivoluzione.
3 – Questa tattica, usata in ogni grande mossa repubblicano-borghese, può definirsi quella del binomio paura-simpatia: a) in un primo momento, essa consiste nello sferrare un attacco radicale e violentissimo contro il monarchismo aristocratico. I seguaci di questo resistono per qualche tempo, sono sconfitti, e quelli che sopravvivono passano attraverso tutte le disgrazie immaginabili. Tutto questo li immerge nella paura. b) In una seconda fase, questa tattica porta la Rivoluzione a retrocedere un poco, e a concedere agli sconfitti di ieri alcuni bocconi che a suo tempo avevano avuto. Questo gesto suscita, da parte dei “beneficati”, una certa quale simpatia verso il nuovo ordine di cose, e predispone il loro spirito all’accettazione di qualcosa delle dottrine della Rivoluzione. E così si accende in essi il desiderio di conservare lo status quo a ogni costo, per non perdere i bocconi recuperati. L’oppositore di un tempo preferisce “cedere per non perdere”; abbandonare la vaga speranza di recuperare il molto che ha perduto, per non perdere la fruizione del poco che ha recuperato. Egli diventa allora sostenitore della situazione presente, per metà rassegnato e per metà persuaso. c) Viene quindi un altro violento attacco rivoluzionario che toglie ai monarco-aristocratici i loro beneamati bocconi. d) Ma questo attacco è seguito da una nuova “ritirata” in cui la Rivoluzione restituisce all’avversario alcune briciole rimanenti dagli scarsi bocconi che ha loro tolto. e) Agisce di nuovo il binomio paura-simpatia. Il monarco-aristocratico cede ancora una volta “per non perdere” le sue adorate briciole. E attraverso un processo analogo, le briciole si vanno facendo microscopiche, fino a cessare di esistere.
Di conseguenza, la vittoria del repubblicanesimo borghese sul monarchismo aristocratico è dovuta in gran parte a una tattica molto scaltra, che ha deteriorato in quest’ultimo lo spirito di lotta, la capacità di resistenza e la speranza in una vittoria totale.
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Il comunismo sta usando un procedimento analogo nei confronti della borghesia. E con un successo ancora maggiore. Il regno della borghesia in Francia incominciò a sembrare definitivo – almeno a molti – a partire dal 1870. Vediamo come si è svolto il processo paura-simpatia a partire da questa data:
1 – Paura. La terribile esplosione della Comune di Parigi nel 1870, con i suoi incendi, con le sue fucilazioni, con i suoi spettacoli da strada in stile giacobino, diede ai borghesi la sensazione che i giorni del Terrore avrebbero potuto ritornare da un momento all’altro. Risultato: il panico. Questa sensazione fu prolungata continuamente durante la Belle Epoque da una agitazione di massa guidata da capi con la facies scura e rabbiosa, da attentati anarchici spettacolari, ecc. A questo – che continuò più o meno dopo la I Guerra Mondiale – si sommò, nel periodo fra le due guerre, la impressione causata dalla drammatica instaurazione del comunismo in Russia, l’ondata comunista a stento repressa in Ungheria, in Austria, in Germania e in Italia, le drammatiche persecuzioni comuniste in Messico e in Spagna, ecc. I successi del comunismo dopo la II Guerra Mondiale accentuarono ancora più questo panico. La prospettiva di una guerra atomica, lo porta – in molti settori – al parossismo.
2 – Simpatia. Una lunga serie di vittorie della Rivoluzione, nella sua fase anti-monarchica e anti-aristocratica e poi nella sua fase anti-borghese, induce i borghesi – di per sè immensamente meno combattivi dei nobili – a non lottare. Accanto a loro, ordinato, intellettuale, sorridente, educato, sta il socialismo, che promette loro un aiuto se “cederanno per non perdere”. I borghesi consegnino parte del pane e i socialisti li aiuteranno a conservare l’altra parte contro il comunismo.
Il borghese, per farsi un alleato senza il quale la vittoria gli sembra impossibile, si lascia persuadere. E cede. Cede perfino con una certa simpatia, sia perchè la sua formazione teorica ugualitaria lo ha preparato al socialismo, sia perché il socialismo gli sembra un protettore. Fatta la concessione, aveva un periodo di pace relativa.
3 – Nuova paura. All’estrema sinistra, il radicalismo e la violenza si riaccendono. Il borghese si spaventa nuovamente.
4 – Nuova simpatia. Il socialismo si avvicina ancora una volta al borghese. Gli promette di coalizzarsi con lui contro il comunismo, se il borghese cede i suoi bocconi e si accontenta di qualche briciola. Il borghese “cede per non perdere” tutto. Nuova simpatia. Nuova distensione. Quindi nuova tensione, e così via.
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Insomma, senza mai salire al potere, il PC, astutamente aiutato dal socialismo, sta ottenendo il cambiamento della società borghese.
Questo accade in Europa. Soltanto in Francia? Chi non vede che il processo è diventato universale?
Il lettore si chiederà a che punto del processo rivoluzionario operato dal binomio paura-simpatia ci troviamo al giorno d’oggi.
Nella selva degli “scismi” comunisti, nella palude delle manovre socialiste, progressiste e dei “rospi” (1), cercherò di indicare nel prossimo articolo a che punto siamo di questo processo ai primi di marzo del 1970.
Come il lettore potrà vedere, una delle figure centrali del panorama sarà Roger Garaudy.
GARAUDY ABBOZZA UN NUOVO AVVICINAMENTO
Sul grande pubblico, un avvenimento ormai vecchio di mezzo secolo, come la rivoluzione bolscevica del 1917, ha lasciato segni profondi, che durano ancora. La caduta improvvisa e spettacolare dello zarismo, con il suo seguito di persecuzioni e di massacri, ha prodotto un trauma così profondo sulla sensibilità dei popoli civili, che ancora oggi, quando si parla di comunismo, il ricordo di questi episodi tragici si ripresenta nella maggior parte delle persone.
Questa associazione di immagini è tanto più spiegabile in quanto, durante queste cinque decadi, sembra che il comunismo abbia messo tutto il suo impegno nel conservare e perfino nell’accentuare il panico universale provocato nel 1917. In tutte le zone esso ha continuamente insinuato l’odio, ha provocato agitazioni, ha tramato attentati, ha suscitato rivoluzioni e ha acceso guerre. Ancora oggi la presenza del comunismo fa pesare sul mondo la minaccia apocalittica della distruzione atomica. Tutto questo – come è noto – non deriva da circostanze fortuite. Nell’essenza stessa della dottrina comunista è contenuta la giustificazione dei mezzi violenti, sempre che siano necessari, o almeno convenienti, per la vittoria del marxismo. E – come abbiamo visto negli articoli precedenti – corrisponde alle norme basilari della strategia comunista immobilizzare gli avversari attraverso la paura.
Tutto questo rende interamente spiegabile il fatto che, per innumerevoli persone, il pericolo comunista consista essenzialmente nella eventualità di una esplosione del tipo di quella del 1917.
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Ora – lo abbiamo visto anche negli altri articoli – ridurre a questo il pericolo comunista comporta una grande semplificazione del problema. Infatti il comunismo non ha fatto progressi soltanto – nè principalmente – attraverso laghi di sangue e carneficine. In diverse fasi della sua storia gli è stato necessario temporeggiare, sorridere, fare promesse, per addormentare la vigilanza e la combattività dell’avversario, prima di gettarsi su di lui. Perché questo genere di artifici fosse efficace, evidentemente non servivano per nulla al comunismo demagoghi scapigliati o lugubri terroristi. Gli erano necessari dottrinari chiacchieroni, che trovassero punti comuni per invitare l’avversario a una collaborazione piena di inganni. Abbisognava di sottili diplomatici, alcuni dei quali infiltrati anche nei posti chiave dei paesi del nemico, per conseguire delle “Yalta” di ogni tipo. Aveva bisogno di simpatizzanti perfino tra le sue vittime, per suscitare fra di esse il desiderio di capitolazioni più o meno velate, nello stile del “cedere per non perdere”. Con tutto questo apparato, in pieno tempo di pace, i capi comunisti, con il sorriso che illumina loro gli occhi e fiorisce loro sulle labbra, hanno ottenuto maggiori risultati negli ultimi 20 anni, che con ogni genere di violenza.
Ho parlato della tattica comunista in termini generali. Purtroppo non mi è difficile illustrare le mie affermazioni con un esempio classico.
Questo esempio chiarissimo, archetipico, spettacolare e drammatico, il lettore lo può trovare esaminando le file cattoliche. Né Nerone, né Diocleziano, né Giuliano l’apostata, né i riformatori del secolo XVI, né i rivoluzionari francesi del 1789, né Lenin, né Calles, né i repubblicani spagnoli sono riusciti a causare alla Chiesa un danno paragonabile alla confusione, al disordine, allo spostamento a sinistra che è nato tra i cattolici e si va aggravando a partire dal momento in cui i comunisti hanno iniziato la loro famosa politica della mano tesa.
Sì, la mano dell’avversario, quando si stende proditoriamente come se fosse amica, può essere, in determinate situazioni, molto più pericolosa che se impugnasse un pugnale o caricasse una bomba. Il progresso del comunismo, ripeto, si è realizzato maggiormente attraverso il sofisma, l’infiltrazione, il sorriso ipocrita, che non attraverso la violenza. Esso ha ottenuto i suoi maggiori successi non tanto reclutando nuovi adepti quanto accecando, dividendo, addormentando e corrompendo i non comunisti.
L’utilizzazione del binomio paura-simpatia, il cui complicato meccanismo ho descritto su questo giornale, è uno dei mezzi più importanti di cui si serve il comunismo per raggiungere questo fine. Così infatti manovra a proprio vantaggio il panico che immobilizza e l’astuzia che seduce le sue vittime.
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Posto tutto questo, è il caso di chiedersi a che punto si trova, al momento, fuori del campo religioso, questa avanzata piena di lusinghe del comunismo.
Chiedo, in altri termini, se nelle file dei proprietari e in quelle dei lavoratori intellettuali o manuali non si delinei qualche fenomeno analogo. Chiedo se, osservando con attenzione, non troviamo in queste diverse categorie elementi che, per adesso discretamente, svolgono una parte analoga a quella che recitano all’interno della Chiesa il p. Comblin e altri carbonari dal nome francese, russo o brasiliano. E, infine, mi propongo di scoprire se entro un certo lasso di tempo questi ambienti non saranno sconvolti come gli ambienti cattolici.
A me pare di sì. E questo sospetto ha preso corpo improvvisamente quando ho letto tra le notizie riferite dalla stampa che un personaggio comunista fra i più sospetti “tendeva la mano”, in un modo sensazionale, al capitalismo nordamericano.
Questo personaggio ha avuto una parte di grande rilievo nell’avvicinamento del comunismo alla Chiesa. Mi sembra che egli prepari ora una manovra analoga, con obiettivi analoghi e analoghi metodi, contro altri fronti della lotta comunista per la conquista ideologica e politica del mondo.
Questo personaggio è il veterano dirigente del PC francese, il capzioso specialista di problemi religiosi, il conferenziere loquace e brillante che risponde al nome di Roger Garaudy.
LA MANOVRA GARAUDY
Vediamo oggi – e così chiudiamo questa serie di articoli – alcuni aspetti della politica detta di convergenza alla quale Roger Garaudy invita i capitalisti e i comunisti di oggi.
Metto in risalto in due parole l’importanza del tema. Specialista del PC francese per i problemi religiosi, l’opera di Garaudy è stata uno dei contributi intellettuali più importanti nella preparazione della collaborazione tra comunisti e cattolici. Dati gli immensi vantaggi ottenuti – e sfruttati a fondo dal comunismo internazionale – con tale collaborazione, non è lecito vedere nella parte svolta da Garaudy in questa materia un semplice atteggiamento individuale. Evidentemente l’avvicinamento tra comunisti e cattolici fu un colpo pianificato dai più alti vertici rossi. E Garaudy servì loro da strumento. Bisogna essere molto ingenui per non concludere – vedendolo ora preparare un’altra “collaborazione” – che sta agendo ancora una volta su comando degli stessi vertici.
Per il comunismo si tratta di ottenere, da parte dei capitalisti, l’adozione di una politica arrendista analoga a quella che, in un altro campo, seguono i cattolici progressisti. Lavorata dal binomio paura-simpatia, che ho già descritto in un articolo precedente, la borghesia può ormai essere condotta a rinunciare di propria iniziativa a decisive parcelle del suo potere, per mezzo dell’illusione che le è utile “cedere per non perdere”. Il che potrà offrire al comunismo l’occasione per grandissimi e facili progressi, che lo mettano fin da ora a un passo dal trionfo finale.
In questa prospettiva, tutta la gazzarra fatta contro Garaudy al recente congresso del PC francese può essere una pura messa in scena per convincere il pubblico che l’intellettuale francese non opera al servizio del Cremlino.
Ciò posto, non analizzeremo tanto il pensiero di un uomo, ma in questo pensiero cercheremo gli indizi di una delle più importanti manovre comuniste di tutti i tempi.
Non ho trovato ancora in libreria l’opera recente nella quale lo scrittore comunista indica la direzione attuale del suo pensiero. Ma le corrispondenze giornalistiche rivelano al riguardo punti importanti. È così possibile discernere la ragione di richiamo della nuova operazione di Garaudy.
Si può notare anzitutto che Garaudy non critica le mete e il programma del PC francese. A questo proposito sostiene anzi che non si può desiderare nessun cambiamento. La sua critica verte su di un argomento che, in questa prospettiva, occupa una posizione secondaria, cioè su certi modi di pensare e di agire che desidera mutare. Garaudy si considera ortodosso, e diverge dal PC del suo paese (che a sua volta obbedisce strettamente a Mosca) basandosi sulla ortodossia comunista.
Nel discorso tenuto da Garaudy al recente congresso del suo partito, egli ha sottolineato – come del resto nella sua opera Marxisme du XXe siede – il carattere essenzialmente relativista della dottrina di Marx. E ha affermato che quest’ultimo non ha preteso di fissare un modello ideale di Stato socialista valido per tutti i tempi e paesi. Da ciò si deduce che vi possono essere forme ideali di socialismo diverse per l’Oriente e per l’Occidente, per esempio. Così i comunisti in ordine con il pensiero reale del loro maestro devono essere pronti ad accettare come valida qualche nuova formula di socialismo che sorga in Occidente.
D’altro lato, Garaudy pensa che il capitalismo nordamericano, frutto a suo modo di vedere di una superiore evoluzione, si stia trasformando lentamente (con la concentrazione, ecc.) in una forma di socialismo, che tende ad arrivare a un autentico comunismo, anche se sui generis.
Così, sembra che si possa concludere che l’ala marciante della comunistizzazione del mondo non sta più soltanto a Mosca. Essa esiste anche in ciò che il capitalismo occidentale ha di più avanzato, di più evoluto. In altri termini, sarebbe inutile lottare contro il comunismo, e quasi superfluo lottare in suo favore: viene ugualmente!
Un esempio di questa grandissima evoluzione e delle sue ripercussioni sulla moderna formulazione di certi concetti socialisti si troverebbe nell’ampliamento dei quadri dei salariati.
Secondo una concezione ormai invecchiata, il salariato per eccellenza è il lavoratore manuale. Il tecnico appartenente alla classe borghese, vive, il più delle volte, non del salario, ma degli onorari. Ed era, secondo i socialisti, un naturale alleato del proprietario contro il lavoratore manuale.
Con il passare del tempo, afferma Garaudy, le cose sona cambiate. Il numero dei lavoratori manuali specializzati, e anche altamente specializzati, è cresciuto di molto. D’altro canto i tecnici sono stati sempre più ridotti alla condizione di salariati. Perciò si è cambiato l’antico fronte di lotta della rivoluzione sociale. Questo ingloba, o almeno tende a collegare contro il capitale oltre ai lavoratori manuali anche gli altri salariati. E tra questi, gli stessi dirigenti dell’impresa, quando non sono proprietari.
Accettato questo senza reazione, non sarebbe difficile vedere che al capitale, isolato e debilitato, non rimarrebbe altro che capitolare. Saranno intelligenti e felici, nella concezione di Garaudy, i capitalisti illuminati che, “cedendo per non perdere”, accettino successive rinunce ai loro vantaggi per ottenere la sopravvivenza di altri, finché scompaia soavemente la proprietà individuale dell’impresa.
A questo modo, si eviteranno le guerre e le rivoluzioni sociali, e il mondo riposerà in pace.
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Questa concezione, presentata cosi a grandi linee, lascia nella penombra problemi di capitale importanza che avrebbero messo in fuga il borghese capitalista e il lavoratore intellettuale. Per esempio, quale è la differenza tra le concrete condizioni di vita degli uni e degli altri e quelle di un lavoratore manuale? Quale la possibilità, per il lavoratore intellettuale, di gestire le sue economie, in modo da diventare padrone di un patrimonio individuale? I suoi figli avranno speciali facilitazioni per acquisire una istruzione e una educazione proporzionate a quelle dei genitori e che assicurano alle diverse generazioni di una stessa famiglia almeno un poco di continuità di livello?
Analoghe domande si potrebbero fare circa la sorte dell’ex-proprietario e dei suoi.
Con il pretesto di abbreviare e di semplificare, tutto questo può essere lasciato in ombra da un’abile propaganda. Il lettore affrettato e incauto vede così, nelle elucubrazioni di Garaudy, soltanto la chimera brillante di un socialismo nuovo, che sistema tutto e toglie i dolori di testa.
In sintesi, che cosa fa Garaudy con questo invito affinché l’occidente accetti questo che sarebbe un comunismo nuovo?
In precedenza è riuscito a portare un certo numero di preti e di laici cattolici traviati a tentare di strangolare la Chiesa con le loro stesse mani.
Ora, tenta di indurre la massa dei borghesi a strangolare con le loro stesse mani la classe a cui appartengono.
Questo è, dal punto di vista strategico, il bilancio della nuova manovra di Garaudy.
Manovra molto intelligente, se si tiene presente l’insuccesso del comunismo.
Si, l’insuccesso. Infatti con le sue mani non sarebbe neppure lontanamente capace di farla finita con la Chiesa. E neppure con la proprietà privata e la gerarchia sociale.
Che altro rimane da fare allora al comunismo, se non tentare questo duplice strangolamento per mano dei preti e dei borghesi?
Forse questa è l’ultima manovra del comunismo per conquistare il potere sul mondo senza rischi e senza guerra.
PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA
Note:
(1) Con un uso simile a quello che fa indicare come “falchi” i sostenitori della maniera forte e come “colombe” i partigiani della pace a ogni costo e della resa, l’Autore chiama “rospi” un certo tipo di borghesi non comunisti, danarosi e con una buona posizione sociale, che si presentano come progressisti o democristiani e sono entusiasti della “apertura a sinistra”. I “rospi” sognano un mondo nel quale viga la democrazia politica liberale insieme a un ferreo dirigismo e interventismo statale in campo economico-sociale, e auspicano ogni genere di concessioni al comunismo. Si agitano ed emettono suoni sgraziati solo quando qualcuno ricorda loro i doveri di stato o di categoria, disturbandoli nel pantano nel quale sono beatamente immersi (N. d. R.).