Intervista con Giovanni Cantoni, Cristianità n. 212 (1992)
Il testo è trascritto dal Secolo d’Italia. Quotidiano del MSI-DN, del 28 novembre 1992, dove è comparso con questo titolo, a cura di Aldo Di Lello, a p. III dell’inserto Periscopio. Ad alcuni riferimenti l’intervistato ha apposto una prima annotazione.
Giovanni Cantoni, piacentino, è fondatore e reggente nazionale di Alleanza Cattolica nonché direttore della rivista Cristianità, organo ufficiale dell’associazione, giunta al suo ventesimo anno di pubblicazione, e dell’omonima casa editrice. Cultore di teologia e di filosofia della società, attribuisce particolare importanza alla sua opera di curatore e di traduttore; fra i suoi scritti ricordiamo il volume La “lezione italiana”. Premesse, manovre e riflessi della politica di “compromesso storico” sulla soglia dell’Italia rossa (1); L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (2); e il recentissimo Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista, contributo al volume collettaneo Il ritorno della magia. Una sfida per la società e per la Chiesa, a cura di Massimo Introvigne (3).
Alleanza Cattolica è un organismo civico-culturale di laici cattolici — assolutamente indipendente da ogni partito politico —, che si propone la propagazione positiva e apologetica, quindi anche polemica, e la realizzazione della dottrina sociale della Chiesa, applicazione della perenne morale naturale e cristiana alle mutevoli circostanze storiche. Opera di azione culturale e civile, Alleanza Cattolica organizza convegni, seminari, conferenze, riunioni e corsi di formazione per singoli e per gruppi, ovunque vi siano persone disposte ad ascoltare, sia su temi di carattere generale — cioè, soprattutto, su tesi della cultura politica naturale e cristiana — che su fenomeni culturali e fatti storici o di cronaca, letti e giudicati alla luce della perenne morale sociale. A Giovanni Cantoni abbiamo rivolto alcune domande.
D. In Europa si aprono moschee e nei paesi islamici si chiudono le chiese. Non le pare una palese contraddizione? Se non vi è reciprocità, la “tolleranza religiosa” non rischia di essere controproducente?
R. Il contrasto è evidente e, quando manca la reciprocità, manca l’espressione più elementare della giustizia; e una situazione d’ingiustizia non è mai feconda, anzi diseduca. Però, bisogna tener presente che vi sono almeno due concezioni della “tolleranza religiosa”: quella della Chiesa cattolica e quella dello Stato occidentale nato dalla Rivoluzione detta francese. In Europa le moschee vengono aperte grazie all’autorizzazione concessa dai governi di Stati laicisti, cioè di Stati in cui vige l’erronea “separazione” fra Chiesa e Stato, piuttosto che la loro corretta “distinzione”. Perciò la “tolleranza religiosa” da parte dello Stato è “tolleranza della religione”, forse — dopo il 1989 — non più nell’attesa della sua estinzione, comunque nel perseguimento esplicito della sua irrilevanza sociale. La “tolleranza religiosa” da parte della Chiesa cattolica è affermazione della “libertà religiosa” come “diritto della persona e della comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa” (4). Perciò, se il contrasto fra la situazione dei cattolici nei paesi islamici e quella dei musulmani nei paesi occidentali è evidente e scandaloso, quanto accade sia in Europa che nel mondo islamico non si può certo imputare alla Chiesa cattolica, ma alla concezione dominante e alla condizione vigente appunto in Europa circa il rapporto fra Chiesa e Stato.
D. La Chiesa cattolica sembra interessata al proseguimento del dialogo con l’islam. Ma che speranze vi possono essere se, come appare probabile, la marea dell’integralismo musulmano dovesse aumentare?
R. Dalla lettera e dal tenore delle dichiarazioni del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, lo scopo del dialogo ufficiale — cioè gestito direttamente dall’autorità ecclesiastica — è una migliore conoscenza reciproca, non si fonda su irragionevoli speranze e non si fa illusioni. Del dialogo vanno piuttosto messi in questione certi presupposti culturali: infatti, con chi viene instaurato tale dialogo? I partner di esso sono veramente significativi, cioè in condizioni di tener conto degli eventuali risultati del dialogo stesso? Più in profondità: esistono nell’islam partner significativi per il dialogo, dal momento che non vi è gerarchia carismatica? Quanto al cosiddetto “integralismo” islamico, va data una risposta adeguata al seguente quesito: si tratta di una specie nel genere “islam” — mi esprimo così nell’impossibilità di parlare di eresia —, oppure di un’espressione “entusiastica” dell’islam in quanto tale, che è di suo integralistico, proprio per assenza di autorità carismatica e per il riferimento a un Libro in termini molto più radicali di quelli testimoniati dal fondamentalismo biblico nel mondo protestantico americano alla fine del secolo XIX (5)?
D. L’islam si diffonde in Europa, e non solo attraverso gli immigrati dai paesi nordafricani. Perché un numero crescente di europei — numero indubbiamente limitato, ma pur sempre in crescita — si converte alla religione musulmana? Non le sembra un fenomeno preoccupante?
R. Il fenomeno è certamente molto preoccupante, anzitutto per quanto si può oggettivamente dire circa il destino eterno di chi passa all’islam, cioè apostata; in subordine, per la cultura dei popoli europei; quindi, politicamente, per il retroterra costituito dal mondo islamico. In sé, il fenomeno deve venir rubricato accanto agli effetti della cosiddetta “nuova religiosità”, certamente non perché l’islam sia una “nuova religione” in senso stretto, ma perché, come le nuove religioni, va a colmare i vuoti aperti da una catechesi decisamente deficitaria sia quanto alla qualità che quanto alla quantità: infatti, il cristianesimo è piuttosto “insinuato” che “predicato”, “giustapposto” alla cultura dominante piuttosto che “messo come la scure alla radice”, e spesso annunciato con uno stile indifferente al contenuto e senza soverchia attenzione all’ortodossia. Quindi, il problema non va affrontato con un’assolutamente improbabile legislazione antislamica, ma con la realizzazione della “nuova evangelizzazione”, di cui è strumento il Catechismo della Chiesa Cattolica, senza distinguo anteriori all’annuncio, senza sentimentalismi e senza atteggiamenti prudenziali che non possono trovar posto in campo dottrinale: ne consegue necessariamente un mutamento culturale destinato ad avere conseguenze anche politiche.
D. Le ragioni dell’opposizione fra cristianesimo e islam non sono soltanto di natura religiosa, ma anche storica. Come pesano entrambe?
R. L’opposizione fra cristianesimo e islam è anzitutto dottrinale: per esempio, il cristianesimo è una religione della Comunità — non del Libro, com’è invalso dire
—, una religione che proietta la sua prospettiva anche sulla vita politica e civile; invece l’islam è din wa dawla, “religione e comunità” (6), e regolamenta nel dettaglio la vita politica e civile, sì che un noto islamologo — padre Jacques Jomier O.P. — ne può parlare come di un “movimento politico-religioso” (7). Quanto all’opposizione storica, può essere l’oggetto primo di un dialogo culturale, che ricostruisca il passato nel rispetto preventivo della sequenza cronologica. Così, apparirà chiaro che le varie “riconquiste” cristiane — da quella iberica a quelle siciliana e bizantina — sono tutte precedute — una lezione storica degna del signor di La Palisse! — da altrettante “conquiste”, con aggressioni portate fino a Tours e a Roma, dove, nell’846, cioè ben prima della I Crociata (1096-1099), vennero saccheggiate le chiese di San Pietro e di San Paolo fuori le Mura; quindi, che le crociate nascono, in prima istanza, dalla conquista dei Luoghi Santi da parte di entità politiche islamiche, in secondo luogo trovano la loro ragione nel comportamento di una di esse, guidata dalla dinastia turca dei Selgiukidi, un comportamento tale da rendere pressoché impossibile la pratica del pellegrinaggio in Terra Santa.
D. Gli islamici non considerano un buon motivo di dialogo la critica, più volte ribadita dal Papa e dai vescovi, a materialismo e a edonismo. Lo stesso Occidente, responsabile delle crociate, sarebbe — secondo loro — responsabile anche del diffuso amoralismo. Non le pare che, in un certo senso, abbiano ragione? Non le pare che il processo di rigenerazione spirituale di cui ha bisogno l’Occidente sia cosa ben diversa dalla guerra che l’islamismo radicale muove a edonismo e a materialismo?
R. La confusione fra mondo cattolico europeo e Occidente — a maggior titolo, fra Chiesa cattolica e Occidente — nasce da ignoranza, talora alimentata da malizia. Infatti, un’informazione storico-culturale attenta permette d’identificare una profonda discontinuità culturale, quindi un carattere radicalmente alternativo, fra le crociate — nella cui linea si situano le imprese dei grandi navigatori e l’opera colonizzatrice dei popoli cattolici — e l’espansionismo imperialistico occidentale, di origine protestantica, sì che viene attribuito alla Chiesa cattolica e al mondo cattolico europeo quanto è stato praticato nonostante essi, quando non contro di essi: è la lezione di chi, come Francisco Elías de Tejada y Spínola, distingue fra Cristianità ed Europa (8), oppure, come Michele Federico Sciacca, fra Occidente e Occidentalismo (9). Quindi, non si dovrebbe dimenticare che la data fatale, relativamente ai rapporti fra mondo occidentale e mondo islamico, è quella della spedizione napoleonica in Egitto, il 1798 (10), quando vengono aperte al Cairo le prime logge massoniche. Questo tipo di comprensione deve favorire anche il reciproco, cioè la non semplicistica confusione — fatto salvo quanto ho affermato precedentemente — fra islam e movimenti islamistici, nati da sforzi sincretistici con elementi più o meno rilevanti della cultura rivoluzionaria occidentale, perciò versione islamica di certe “teologie della liberazione”, come nel caso — per esempio — di Sayyid Qutb in Egitto, di Alì Shariati in Iran e di Abu l-Ala al-Mawdudi in India (11). Da questa comprensione nasce la distinzione fra la predicazione morale della Chiesa cattolica, verità sul comportamento umano, individuale e sociale, e regola per il ritorno a Dio Padre, e il “moralismo” o “formalismo morale” islamistico, per il quale non mancano analogie con il “virtuismo” della Rivoluzione detta francese, cioè con un’espressione pubblica importante della “morale laica” in Occidente.
Note:
(1) Cfr. Giovanni Cantoni, La “lezione italiana”. Premesse, manovre e riflessi della politica di “compromesso storico” sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980.
(2) Cfr. Idem, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50.
(3) Cfr. G. Cantoni, Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista, in Massimo Introvigne (a cura di), Il ritorno della magia. Una sfida per la società e per la Chiesa, Effedieffe, Milano 1992, pp. 35-70.
(4) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa. Il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa “Dignitatis humanae”.
(5) Cfr. George M. Marsden, Fundamentalism and America Culture. The Shaping of Twenty-Century Evangelicalism: 1870-1925, Oxford University Press, Oxford-New York-Toronto-Melbourne 1982.
(6) Cfr. Louis Gardet, L’Islam. Religion et Communauté, Desclée de Brouwer, ed. riveduta e corretta, Parigi 1967; Idem, La Cité musulmane. Vie sociale et politique, 4a ed. accresciuta con una prefazione, 2a tiratura, Vrin, Parigi 1981; Islâm dîn al-dawla. L’islam religion de l’État, Études Arabes Dossiers n. 72, Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Roma 1987; e Débats autour de l’application de la sarî‘a, Études Arabes Dossiers n. 70-71, Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Roma 1986.
(7) Jacques Jomier O.P., Pour connaître l’islam, Cerf, Parigi 1988, p. 133.
(8) Cfr. Francisco Elías de Tejada y Spínola, La monarchia tradizionale, ed. riveduta per l’Italia, Edizioni dell’Albero, Torino 1966, pp. 29-55.
(9) Cfr. Michele Federico Sciacca, L’oscuramento dell’intelligenza, Marzorati, Milano 1970, pp. 89-198, soprattutto pp. 91-125; e Adriana Dentone (a cura di), Michele Federico Sciacca: Europa o “Occidentalismo”? Atti del convegno di Chiavari. 8-9-10 marzo 1990, Unicopli, Milano 1992.
(10) Cfr. Albert Hourani, La pensée arabe et l’Occident, Naufal, Parigi 1991, trad. francese della riedizione del 1983 — con un ampio Epilogo di aggiornamento e con un supplemento alla Bibliografia — di Arabic Thought in the Liberal Age 1798-1939, del 1962.
(11) Cfr., in genere e brevemente, Roger Du Pasquier, Il risveglio dell’Islâm, trad. it., Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990; più estesamente, Hamid Enayat, Modern Islamic Political Thought, University of Texas Press, Austin 1982, passim; e Robert Caspar M.Afr., Traité de théologie musulmane, tomo I., Histoire de la pensée religieuse musulmane, Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (P.I.S.A.I.), Roma 1987, pp. 319-365 e 404-446; in specie e per esempio, Courants actuels dans l’islam: Les Frères Musulmans (première partie), Études Arabes Dossiers n. 61, Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici, Roma 1981; Courants actuels dans l’islam: Les Frères Musulmans (deuxième partie), Études Arabes Dossiers n. 62, Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici, Roma 1982; Olivier Carré e Gérard Michaud (a cura di), Les Frères musulmans en Égypte et Syrie (1928-1982), Gallimard-Julliard, Parigi 1983; e O. Carré, Mystique et politique. Lecture révolutionnaire du Coran par Sayyid Qutb, Frère musulman radical, Presses de la Fondation National des Sciences Politiques e Cerf, Parigi 1984.