Dalla peste del divorzio, libera nos, Domine!
La grande data si sta avvicinando. Anche se non è ancora stata fissata, sembra ormai certo che “coloro che possono” non sappiano più che artifizio scovare per rimandare o annullare il referendum sul divorzio, la consultazione popolare a favore della famiglia.
Per tre anni i “potenti” hanno “lottato”, con tutte le loro forze e con tutti i mezzi, contro la legittima richiesta di referendum abrogativo della famigerata legge Fortuna-Baslini corretta Leone, che ha introdotto il divorzio nella nostra legislazione.
Per tre anni i “rappresentanti del popolo” e i principali esponenti di quegli organismi che si interessano, o dicono di interessarsi, della vita pubblica – i partiti – si sono arrovellati, apertamente e occultamente, per rendere vana la volontà popolare regolarmente espressa da un milione e mezzo di elettori.
In questi tre anni l’opinione pubblica nazionale è stata interessata ai più svariati problemi interni e internazionali, politici, sociali ed economici; è stata chiamata a esprimersi in consultazioni elettorali politiche e amministrative, ma su tutti gli avvenimenti ha dominato il problema del referendum, periodicamente, reiteratamente e insistentemente emergente per la sua corposità e per la sua intrinseca importanza, e spesso i silenzi sono stati più significativi delle parole, le allusioni più rivelatrici delle aperte dichiarazioni.
In questi tre anni si è potuta chiaramente verificare la profonda verità del proverbio secondo il quale “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, e gli avvenimenti hanno convinto sperimentalmente dell’importanza basilare della famiglia per tutta la società e per lo Stato, perché nessuno può negare che il referendum è stato ed è temuto, è stato ed è combattuto non certo per sé, in quanto referendum, in quanto consultazione popolare che verifica la rappresentatività del parlamento, e neppure in quanto manifestazione ed espressione di democrazia diretta, ma soprattutto e principalmente in quanto referendum sul divorzio.
L’oggetto del referendum lo fa importante, non la sua natura astratta e neppure la sua realtà costituzionale. È in questione la famiglia, e i problemi della famiglia toccano tutti e quindi sono rilevanti, e proprio perché sono rilevanti toccano tutti.
Si tratta infatti di scegliere tra matrimonio e non matrimonio – un matrimonio dissolubile è una contraddizione in termini; tra la famiglia e la sua scomparsa, magari lenta ma inesorabile; dunque, tra la civiltà naturale e cristiana, che è espressione ed estensione della famiglia che si fonda sui matrimonio, e l’anticiviltà, la barbarie, espressione balbuziente dell’individualismo e dell’egoismo, che spingono chi ne è vittima a vendersi, per il piacere o per un amore smodato di un illusorio ricominciamento, alla collettività e alla tirannide.
Il momento della scelta si avvicina, e le tentazioni non solo si moltiplicano, ma si fanno anche più sottili. Come ogni tempo di agonia, che può chiudersi con la morte o terminare con il ristabilimento della vita, è anche tempo di fuochi fatui, di allucinazioni, di miraggi e di giochi di prestigio.
I segni non mancano. Ogni giorno, infatti, i mezzi di comunicazione sociale ci offrono prospettazioni e angolazioni del problema, che vorrebbero essere nuove, ma la cui unica novità consiste nell’essere un modo diverso per deformare la questione essenziale.
Si va dai soliti abusati e sfruttati “casi pietosi” – caduti in un discreto oblio ad alto livello, ma che lavorano ancora alla base -, a considerazioni che vorrebbero squalificare gli avversari del divorzio sostenendo la sperimentata – in tre anni! – non dannosità dell’istituto, come se le malattie non avessero una incubazione – quelle sociali anche più lunga e profonda di quelle individuali – e si dovesse attendere l’imminenza della morte per curarne la causa.
Si vantano vittorie “statistiche” per togliere animo alla lotta degli avversari del divorzio e diffondere in mezzo a loro il timore della sconfitta, senza però spiegare come mai la “certezza della vittoria” dei divorzisti si traduca in affannose ricerche di rimandi e di transazioni, piuttosto che in calma attesa degli “immancabili risultati”!
Si offrono soluzioni “concordatarie”, in cambio del riconoscimento di diritti più che legittimi, come quello di gestire privatamente la carità privata.
Si cerca di presentare l’alternativa come se fosse tra matrimonio civile e matrimonio religioso o canonico, e non piuttosto tra matrimonio e non matrimonio.
Si tenta di suscitare nei cattolici lo scrupolo di imporre un sacramento e la fede, facendo loro dimenticare – ma se chi deve lo ricordasse! – che l’indissolubilità è prima di natura, cioè di diritto divino naturale, e poi di rivelazione, cioè di diritto divino positivo, e che il sacramento eleva il matrimonio naturale indissolubile, fornendo la grazia per reggere alle difficoltà della indissolubilità naturale.
Ci si sforza anche di partitizzare uno scontro che è politico, sociale ed etico, caricandolo di valenze improprie, desunte dalla più recente storia nazionale, come se l’indissolubilità matrimoniale e la famiglia fossero state “inventate” da Mussolini, come la radio da Marconi e il telefono da Meucci!
Si prospetta infine una possibile condizione di minorità rispetto alla maggioranza delle nazioni civili o cosiddette tali, e lo si fa proprio da chi è tutt’altro che disposto a riconoscere il segno del consensus omnium, della maggioranza degli uomini credenti – anche se imperfettamente, a eccezione dei cattolici – in Dio creatore e provvidente.
Il momento della scelta si avvicina, dunque, con il suo corteggio di falsificazioni statistiche ed emotive. La giustezza della causa di chi dice e dirà sì alla famiglia non può e non deve esimere dall’impegno di lottare perché il dilemma si presenti nella sua tragica grandezza, limpidamente illustrato e sostenuto dalle ragioni autentiche e proprie che militano per la indissolubilità matrimoniale.
Si racconta che un medico del Rinascimento, a chi si felicitava con lui per aver guarito un malato che veniva dato spacciato, umilmente, realisticamente e responsabilmente rispondesse: “Io gli ho dato la medicina, Dio lo ha guarito”.
Il divorzio – come afferma al paragrafo 47 la costituzione pastorale Gaudium et spes, promulgata dal regnante Pontefice nella nona sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il 7 dicembre 1965 – è una peste. Contro questa peste abbiamo agito, per primi procedendo legalmente, cioè avanzando richiesta di referendum abrogativo il 9 gennaio 1971; contro questa peste agiamo anche ora, e invitiamo tutti ad agire e a votare; per essere liberati da questa peste ricorriamo e invitiamo tutti a ricorrere all’Altissimo con l’invocazione: “A lue divortii, libera nos, Domine!“, “Dalla peste del divorzio, liberaci, o Signore!“.