Venerdì 14 aprile 1989, sul quotidiano torinese La Stampa compare, in seconda pagina, un articolo intitolato Ayatollah all’italiana (1) e firmato da Marcello Sorgi. L’estensore del pezzo si propone di scoprire, e quindi di descrivere, “cosa c’è dietro il fermento fondamentalista da Cl a Celentano”; quindi, utilizzando grossolanamente elementari tecniche di disinformazione, tenta di orientare verso un’area del mondo cattolico, non prona alle mete secolaristiche dell’organo di stampa cui egli collabora, il sospetto e la diffidenza che l’opinione pubblica italiana, per parlare soltanto di questa, fondatamente nutre nei confronti della politica interna e di quella internazionale praticate dal regime vigente in Iran sotto la guida dell’ayatollah Ruollah Khomeini.
Il tentativo – non unico nel suo genere e certo non il meglio riuscito – non meriterebbe di essere preso in considerazione se nell’articolo non venisse in questione Alleanza Cattolica. Di essa prima si parla tangenzialmente definendola senza mezzi termini come “una corrente del movimento scismatico del vescovo Lefebvre”, poi direttamente si dice: “L’area di destra, sul fronte confessionale è rappresentata da “Alleanza cattolica”, gruppo in gran parte di filolefebvriani in rotta con gli scismatici, vicino al msi ma non militanti. […] “Alleanza”, che punta a una società organica di cattolici, ha rapporti di amicizia con Gianfranco Fini, il nuovo leader del msi, intervenuto come ospite a un recente convegno contro i principi della Rivoluzione francese; buona diplomazia con Cl; relazioni privilegiate con i cattolici tradizionalisti francesi, da cui ha mutuato il simbolo, l’aquila della Vandea col cuore di Gesù; mantiene collegamenti all’insegna del vecchio sodalizio anticonciliare col gruppo sudamericano “Famiglia e proprietà”, capeggiato da un vescovo scomunicato amico di Lefebvre, Antonio De Castro Mayer”.
Come si può notare, solo che si abbia qualche dimestichezza con i punti toccati dal giornalista, il numero degli errori, delle imprecisioni e delle insinuazioni contende il primato a quello delle parole usate, a partire da quel prezioso “sul fronte confessionale”, che si rivela essere inteso come equivalente tout court a “sul fronte cattolico”, con buona pace di quanti accreditano la capacità o la volontà di distinguere fra “cattolico” e “confessionale” da parte dei cosiddetti “laici”, in realtà semplicemente laicisti.
Infatti, in buona logica, “una corrente del movimento scismatico del vescovo Lefebvre” e “filolefebvriani in rotta con gli scismatici”, da parte di un redattore meno frettoloso e disinformato – oppure, e piuttosto, senza intenzioni disinformanti -, avrebbero anzitutto necessitato di un maggiore sforzo definitorio, dal momento che, se i componenti del movimento che fa capo a S.E. mons. Marcel Lefebvre – soprattutto quanto ha realtà non semplicemente sociologica, cioè la Fraternità Sacerdotale San Pio X – possono essere grosso modo definiti lefebvriani, a questi non sono certamente omologabili coloro che guardano allo stesso presule con attenzione e con simpatia, e che sono quindi correttamente qualificabili come filolefebvriani. Perciò, e previamente, non è certo ispirato a buona logica né coerente definire Alleanza Cattolica e i suoi membri nello stesso tempo come lefebvriani e come filolefebvriani; inoltre, una maggiore oculatezza avrebbe forse consigliato, a proposito di entrambe le qualificazioni, un trattamento non sincronico, e i “filolefebvriani in rotta con gli scismatici” avrebbero meritato almeno la qualifica di “ex filolefebvriani”. Siccome, poi, non vi è chi non sappia o possa ignorare – se non volontariamente -, come sia erroneo definire Alleanza Cattolica “una corrente del movimento scismatico del vescovo Lefebvre”, resta da esaminare soltanto la fondatezza della qualificazione dei suoi componenti come “filolefebvriani in rotta con gli scismatici“: se, quanto al passato, Alleanza Cattolica ha guardato con attenzione a mons. Marcel Lefebvre e alle istanze di cui si faceva portatore, questo passato si è chiuso, in relazione al presule francese, con il 1981, sì che la rottura con gli “scismatici”, come li chiama il giornalista de La Stampa, è propria di ogni cattolico nei confronti di ogni scismatico – cioè di chi ha, in qualche modo, rotto con l’autorità della Chiesa di Roma -, come l’attenzione passata è stata quella di cattolici nei confronti di cattolici e non di scismatici. Dunque, Alleanza Cattolica non è mai stata lefebvriana, e ha mostrato attenzione nei confronti di mons. Marcel Lefebvre quando questi era ben lontano dal porre il tragico gesto che lo ha oggettivamente separato dalla comunione con la Chiesa di Roma (2). Ma il redattore del quotidiano torinese non si ferma sulla strada della confusione e, insensatamente, nota che Alleanza Cattolica sarebbe “gruppo in gran parte di filolefebvriani”: così, prescindendo dalla qualificazione – di cui già si è detto -, lascia intravvedere, all’interno dell’associazione stessa, realtà correntizie, mentre in altro passo dell’articolo l’estensore parla di un centro culturale nato “da un distaccamento da “Alleanza Cattolica” “; basterebbe questo episodio per poter dedurre con chiarezza come non abbia significato parlare appunto di Alleanza Cattolica nei termini di “gruppo in gran parte di”, dal momento che in essa, quando si manifestano divergenze, si producono “distaccamenti”, frutti della santa “libertà […] dei figli di Dio”, di cui parla san Paolo (3), nonché del razionale giudizio sull’infecondità operativa di realtà volontarie non omogenee.
Dopo aver costruito la categoria del “lefebvriano non lefebvriano”, Marcello Sorgi non arresta i suoi funambolismi e passa a schizzare brevemente quella del “missino non missino”, in quanto i membri di Alleanza Cattolica sarebbero “vicini al msi ma non militanti”: relativamente al “non militanti”, esso vale non soltanto per rapporto al Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, ma per ogni partito politico, da cui l’associazione è autonoma in quanto, proponendosi lo svolgimento di un’azione culturale e civile alla luce dei princìpi della dottrina sociale naturale e cristiana, opera nella società con modi diversi da quelli propri dei partiti politici; in relazione all’ipotesi di una “vicinanza” a partiti, tale vicinanza si determina – e cresce e decresce – nella misura in cui queste realtà, tipiche della democrazia a rappresentanza ideologica, indossano e si propongono la realizzazione di princìpi della citata dottrina sociale; quanto all’affermazione circa l’esistenza di un’amicizia con l’on. Gianfranco Fini sull’unica base della sua presenza al Convegno Internazionale Contro l’Ottantanove. Miti, interpretazioni e prospettive – promosso da Alleanza Cattolica e da Cristianità e svoltosi a Roma il 25 e 26 febbraio 1989 (4) -, sembra – per dire il meno – inopportuno trascurare l’eventualità che tale presenza sia stata – per esempio – dovuta anche agli interessi culturali del segretario nazionale missino, dal momento che gli uomini, quando diventano “politici”, non perdono certamente il diritto all’informazione e alla formazione, si potrebbe anzi sostenere che ne acquistano il dovere. Mentre l’indifferenza a questo diritto e a questo dovere pare costituire un privilegio di qualche giornalista.
Non meno risibile riesce la notazione relativa alla “buona diplomazia” di cui Alleanza Cattolica farebbe oggetto Comunione e Liberazione: Marcello Sorgi sembra non contemplare neppure il caso che Alleanza Cattolica si possa proporre di trattare con correttezza e con umanità tutti, compresi certi giornalisti. Se questo tratto deve improntare ogni comportamento puramente umano, esso diventa ancor più qualificato fra quanti hanno in comune la fede, prima ancora di modalità analoghe di viverla: infatti, il pluralismo intraecclesiale non è assolutamente ideologico, ma frutto della ricchezza che l’unica verità produce nei diversi fedeli, certo affiancandoli per similitudine, ma non mai radicalmente dividendoli.
Trascuriamo ogni considerazione meno che fuggevole circa le “relazioni privilegiate con i cattolici tradizionalisti francesi, da cui [Alleanza Cattolica] ha mutuato il simbolo, l’aquila della Vandea col cuore di Gesù“, dal momento che basta l’infondatezza assoluta del richiamo che vorrebbe essere dotto – “l’aquila della Vandea” – per qualificare tutto l’asserto, e veniamo “ai collegamenti all’insegna del vecchio sodalizio anticonciliare col gruppo sudamericano “Famiglia e proprietà”, capeggiato da un vescovo scomunicato amico di mons. Lefebvre, Antonio De Castro Mayer”. Cominciando dai fatti, il “gruppo sudamericano “Famiglia e proprietà”” è la Sociedade Brasileira de Defesa da Tradiçâo, Família e Propriedade, più sinteticamente nota – dalle iniziali del suo lemma – come TFP, un organismo laicale che si è oggi riprodotto in quasi due decine di società analoghe e autonome, sparse in tutto il mondo, dall’originaria America Latina all’Africa, passando per la vecchia Europa. La TFP brasiliana, la società madre, è stata fondata nel 1960 dal professor Plinio Corrêa de Oliveira e non è mai stata capeggiata da altri che dal suo fondatore, che ne è anche ufficialmente presidente a vita. S.E. mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo emerito di Campos, in Brasile, un prelato incorso nella stessa sanzione canonica che ha colpito mons. Marcel Lefebvre, ha avuto per anni rapporti di collaborazione con tale società, e questi rapporti sono venuti meno nel 1981, ma non l’ha fondata e non l’ha mai diretta. Quanto alle ragioni del “vecchio sodalizio” fra Alleanza Cattolica e la famiglia spirituale costituita dalle diverse TFP, a partire da quella brasiliana, tali ragioni vanno ricercate, in positivo, nell’ampia coincidenza dottrinale delle mete perseguite – si tratta di quanto Marcello Sorgi richiama approssimativamente dicendo che Alleanza Cattolica “punta a una società organica di cattolici ” -, nella comunanza di modalità operative nonché nell’attenzione prestata al messaggio trasmesso all’umanità tutta dalla Vergine Santissima a Fatima nel 1917; infine, in negativo, nella resistenza opposta a ogni tentativo di vanificare la dottrina della Chiesa – con particolare relazione a quella sociale -, spesso condotto sotto la speciosa etichetta del rinnovamento conciliare, resistenza che si accompagna alla denuncia profetica della inadeguata attenzione che l’assise ecumenica ha voluto dedicare al fenomeno socialcomunista.
E, speriamo per un po’, de hoc satis.