Il referendum – nonostante l’esito negativo per chi, come noi, lotta per i principi della civiltà cristiana – ha rappresentato un momento di chiarificazione, inferiore al desiderabile, ma sempre particolarmente importante; ha rappresentato cioè il coagulo di forze attorno a un tema reale e la discriminazione degli elettori su una base non esclusivamente partitica.
Evidentemente queste conseguenze positive della consultazione elettorale hanno urtato frontalmente la partitocrazia dominante e hanno fatto desiderare un ritorno rapido allo stato precedente l’avvenimento che ha caratterizzato gli ultimi anni della vita politica nazionale.
Quello che sarebbe costato mesi e forse anni di duro lavoro propagandistico teso al recupero, da parte di ciascun partito, dei propri adepti e dei propri abituali votanti, è stato tragicamente affrettato da un sanguinoso episodio che ha gettato nello sgomento e nel lutto l’intera nazione.
Dopo i precedenti fin troppo noti, il 28 maggio a Brescia ha fatto la sua ricomparsa sulla scena della vita politica italiana il terrorismo.
Noi non siamo all’altezza – ad altri il presumerlo – di individuare i colpevoli materiali del gesto insano, ma non possiamo fare a meno di vedere le sue conseguenze e di tentare di identificarne i beneficiari, secondo un procedimento che cerca di orientarsi, nello sforzo di chiarire la responsabilità di un’azione, tra coloro che obiettivamente ne traggono vantaggio.
Avversi per principio al terrorismo – che costituisce e manifesta un modo bestiale e anonimo di fare politica, e rifiuta ottusamente la via maestra e unica degna dell’uomo che è il convincimento sulla base di corrette informazioni e di appelli alla dignità e alla responsabilità, nella chiarezza dei propositi e dei fini -, noi non possiamo non esecrare il luttuoso episodio.
Da questa posizione inequivoca e incontrovertibile, che non giudica un gesto sulla base del suo colore, ci pare anche doveroso e irrinunciabile il mettere in guardia contro la strumentalizzazione cinica e machiavellica di un atto che vogliamo considerare frutto di irresponsabilità piuttosto che voluto per ricomporre un quadro politico dal referendum provvidenzialmente incrinato e parzialmente messo in crisi.
* * *
Cui prodest? A chi giova, dunque? Chiunque ne sia l’autore materiale, qualunque sia la demente strategia all’interno della quale ha avuto l’intento di situarsi, l’atto criminale ha prodotto soltanto l’effetto di degradare ulteriormente la lotta politica nel paese – già a un livello non particolarmente elevato! – e di concretizzare con qualche anticipo una insana convergenza con il comunismo, che rilancia baldanzoso il “compromesso storico”, con l’unico timore espresso di ereditare una congiuntura economica assolutamente infelice.
Chiunque sia l’autore materiale del gesto e comunque intenda colorarsi politicamente – in un mondo soggetto alle impressioni piuttosto che attento ai principi, che sono sempre meno valutati e considerati -, l’oggettività della situazione fa sì che le conseguenze dell’atto favoriscano il “compromesso storico” e siano quindi gravemente pericolose per le sopravviventi libertà. (Non diversamente, nella Germania degli anni Trenta, l’incendio del Reichstag, attribuito al comunista olandese Marinus van der Lubbe, fu occasione per la richiesta di leggi speciali liberticide da parte del nascente regime nazionalsocialista).
Non si può certo riconoscere in esso – neppure a uno sguardo superficiale – il carattere di una mossa anticomunista autentica; non c’è spazio per esso nelle intenzioni e nella prassi di nessun cattolico – l’unico autentico anticomunista -, vincolato e sostenuto da principi morali che con esso contrastano radicalmente, che di esso sono la contraddizione e l’antitesi vivente. Per il cattolico infatti si distingue con chiarezza meridiana la forza dalla violenza: la forza è energia posta a difesa della verità e lecitamente esercitata; la violenza è energia indiscriminatamente usata per un “tanto peggio, tanto meglio” da cui dovrebbe emergere dialetticamente e inevitabilmente un bene.
Ma non è lecito e accettabile che quanti non respingono per principio la violenza e il terrorismo si travestano da agnelli e da vittime di quanto non hanno scrupolo a scatenare.
* * *
Il “compromesso storico” in prospettiva apre al comunismo la via del potere.
Provvidenzialmente, negli stessi giorni di Brescia è giunto in Italia il lungo, documentato e sofferto messaggio di Solgenitsin, Arcipelago GULag – saggio di inchiesta narrativa sul sistema concentrazionario nell’URSS dal 1918 al 1956.
In esso si prova, ad abundantiam e contro tutte le furbizie, la sofferenza pluridecennale dell’uomo, di ogni uomo, credente e non credente, sotto il tallone della dittatura comunista, senza artificiose e menzognere distinzioni tra leninismo, stalinismo e post-stalinismo.
In esso si illustra e si documenta il martirio di quanti sono semplicemente e burocraticamente classificati e qualificati come “cierre”, come contro-rivoluzionari.
Conosciamo molti di questi uomini, anche in Italia. Al loro fianco e tra loro ci schieriamo, e, come respingiamo il falso dilemma “o Brescia o il GULag”, così a chi ci offre “Brescia e il GULag” diciamo forte che non vogliamo né Brescia né il GULag, ma la civiltà naturale e cristiana, unica autentica alternativa a ogni barbarie e a ogni totalitarismo.