Omelia di S.E. Mons. Luciano Monari nella Messa per il patrono, sant’Antonino martire, del 4-7-2004, comparsa con il titolo “L’ateismo? Più di un rischio teorico”, in il nuovo giornale. Settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio fondato nel 1909, n. 27, Piacenza 9-7-2004, p. 10. Titolo, nota e inserzioni fra parentesi quadre redazionali.
Cristianità n. 323 (2004)
Memoria di sant’Antonino Martire, patrono della città e della diocesi di Piacenza. È folklore? È festa popolare? È celebrazione dell’identità piacentina che nel patrono ritrova l’immagine ideale di se stessa? Probabilmente è tutte queste cose insieme; ma vorrei aggiungere qualcos’altro.
Carità e tradizione, i pilastri di una città
Sant’Antonino è un santo e i santi sono tali a motivo delle loro virtù eroiche: del loro amore verso Dio e del loro amore verso gli altri. Il fatto di scegliere la figura di un santo come simbolo della città — non la figura di un principe o di un filosofo o di un imprenditore — significa collocare al centro della convivenza umana e cittadina l’amore piuttosto che, ad esempio, la ricchezza o il successo o il potere, che pure sono dimensioni importanti. Quasi a dire che una città vive in modo umano solo se nei suoi cittadini è presente e vigoroso l’amore, questa forza misteriosa che supera miracolosamente l’istinto di autodifesa e porta a prendersi cura degli altri con pazienza, fedeltà, perseveranza.
La seconda riflessione si lega al fatto che sant’Antonino è vissuto e morto 1700 anni fa. Ricordarlo ancora, riconoscerlo come nostro patrono oggi, all’inizio del terzo millennio, significa riconoscere con apprezzamento e gratitudine la fondamentale continuità della nostra comunità attraverso i secoli. Sono accadute molte cose in quasi duemila anni, molte sono cambiate; eppure ci sentiamo figli, eredi, continuatori dei piacentini che ci hanno preceduto. In Antonino vogliamo professare il valore della tradizione nell’esistenza umana, quella tradizione per cui possiamo costruire sul patrimonio immenso del passato. L’uomo, che lo sappia o no, vive della tradizione e nella tradizione trova la radice della sua cultura e quindi della sua umanità.
In guardia dai rischi del totalitarismo
Infine sant’Antonino è un martire e cioè un testimone della fede. La sua testimonianza consiste nell’avere sacrificato la sua esistenza per professare Cristo e quindi nell’avere considerato la fede in Gesù come più importante della vita stessa.
Come ci è stato insegnato dal libro dell’Apocalisse nella prima lettura [cfr. Ap. 12, 10-12], i martiri sono dei vincitori perché hanno disprezzato la vita fino a morire. In questo modo hanno testimoniato che il mondo non è tutto; che c’è qualcosa, qualcuno oltre ciò che si vede e si tocca e si controlla; qualcosa, qualcuno che è degno di essere amato con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze. Se il mondo fosse tutto, il martirio sarebbe stoltezza; ma se il martirio è celebrato come saggezza, vuol dire che il mondo si apre su qualcosa che lo trascende.
Il martirio, proclamando il limite del mondo, lo demitizza, lo spoglia di qualsiasi preteso valore divino e lo riporta alla sua realtà di creatura bella da ammirare, interessante da vivere, ma non divina da adorare.
Non pieghiamoci agli idoli moderni
Voi capite l’importanza di questo fatto per la vita sociale. Veniamo da un secolo che ha conosciuto totalitarismi nefasti e disumani. Ora, dietro al totalitarismo c’è sempre l’adorazione di un idolo: l’adorazione dello Stato o del partito, o della razza, o della classe sociale, o del denaro o dell’ideologia o del proprio “io” o del sesso o del potere o del proprio interesse.
Il rischio immanente nell’ateismo è proprio qui: che rifiutando di adorare il Dio vivo e vero si finisca per divinizzare e adorare tutte le forze del mondo, quelle materiali e quelle spirituali, sacrificando ad esse la vita e la coscienza dell’uomo. E non si pensi che questo sia un rischio puramente teorico: purtroppo siamo stati costretti a vedere l’uomo sacrificato ai Molok moderni e dobbiamo fare il possibile perché questa tragedia non si ripeta.
Liberi, non schiavi
La testimonianza di un martire è preziosa per questo: perché ci fa liberi di fronte al mondo. Lo dico con le parole stupende di Paolo: “[…] nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” [1 Cor. 3, 21-23]. E cioè, non siate schiavi di nessuno, non date a nessuno l’adorazione quasi che qualcuno possa essere il vostro salvatore: tutto appartiene a voi proprio perché voi possiate essere liberi. Paolo, Apollo, Cefa: gli apostoli, i vescovi, i papi appartengono a voi, sono solo vostri servi. Il mondo è il luogo della vostra avventura umana e non può ricattarvi né promettendovi la vita (il piacere, il successo) né minacciandovi la morte (la persecuzione, l’emarginazione). Il presente non vi schiaccerà con i suoi pesi e il futuro non può spaventarvi con le sue incertezze perché, al contrario, il presente è per voi il tempo di maturazione e manifestazione della vostra umanità e il futuro ha il colore della promessa di Dio e quindi della speranza. Ma questa libertà vi è donata se, attraverso Cristo, la vostra esistenza appartiene a Dio creatore e Signore del mondo, a Dio amore infinito incarnato e reso visibile in Gesù. Questo il messaggio più alto di sant’Antonino.
Attenzione al reale, un dovere etico
Non c’è dubbio: abbiamo bisogno dei martiri. Di conoscerli, di venerarli, di apprendere da loro la lezione più importante della libertà e dell’amore. Abbiamo bisogno di persone umane autentiche e cioè in grado di pensare, di decidere, di operare liberamente.
Solo la persona è la sorgente della novità, dell’inatteso, della libertà. Se dobbiamo sperare per il futuro dell’umanità abbiamo bisogno di uomini buoni e saggi. Saggi vuol dire che sappiano vedere la realtà così com’è, senza gli occhiali deformanti della paura o del desiderio o dell’interesse e sappiano capirla in modo intelligente e non solo reagendo alle emozioni superficiali che provano sul momento.
Uomini buoni significa uomini responsabili che, quando prendono una decisione, riflettono alle conseguenze delle loro azioni per loro stessi e per gli altri; uomini che sanno subordinare gli interessi personali al bene di tutti; che rimangono fedeli alle scelte di verità e di giustizia anche quando questo richiede di pagare un prezzo elevato.
Non perdere di vista la realtà
Abbiamo bisogno di uomini buoni e saggi perché gli strumenti di cui oggi disponiamo sono molti e potenti e solo bontà e saggezza possono metterli al servizio dell’uomo; cattiveria e stupidità sono sempre esistite ma oggi sono in grado di produrre mali ben più gravi di un tempo. Se saggezza e bontà sono sempre state desiderabili, oggi sono indispensabili per la sopravvivenza della umanità. Dobbiamo perciò dircelo con chiarezza: l’attenzione alla realtà è un dovere etico; l’intelligenza è un dovere etico; la ragionevolezza è un dovere etico. Tutte queste cose sono dovere etico perché la stupidità o la stoltezza fanno pagare alla società un prezzo alto e che tende a crescere sempre più col crescere della complessità sociale.
Fa soffrire vedere i dibattiti televisivi dove non si riflette affatto ma si riesce solo ad affermare, anzi a gridare la propria opinione, senza nessuna attenzione alla opinione degli altri. Essere pronti a “lasciarsi convincere” è il segno di onestà intellettuale e la via necessaria per diventare liberi. Ma è proprio quello che sembra oggi mancare e che rischia di rendere i dibattiti insieme violenti e stupidi. Quello che ci può salvare è solo la persona umana; perché, grazie a Dio, la persona umana ha in se stessa la capacità di svegliarsi, di migliorare la sua attenzione alla realtà, di comprendere lealmente le cose, di sacrificarsi per il bene degli altri.
Un impegno per tutti e per ciascuno
Ma persone così non nascono spontaneamente; debbono essere generate attraverso l’impegno di tutti, la conversione personale di ciascuno. La stupidità è contagiosa così come è contagiosa la violenza, la litigiosità, il pregiudizio. Ma per fortuna anche la saggezza è contagiosa; e la bontà, e la responsabilità, e la libertà interiore. Siamo chiamati a scommettere su questo vivendo ciascuno al meglio la sua esistenza. E accettando consapevolmente di rischiare.
Se tutti gli uomini fossero saggi, la saggezza sarebbe ricompensata e l’uomo saggio sarebbe anche fortunato; se tutti gli uomini fossero buoni, la bontà avrebbe in se stessa la sua ricompensa. Ma nel mondo attuale i buoni possono essere costretti a subire la cattiveria; e gli onesti a patire la disonestà di altri. Che fare? Accettare di essere perdenti o farsi furbi, come si dice? Rimanere fedeli alla propria responsabilità o approfittare di ogni occasione per vincere? Il martire è chi ha considerato la verità più importante della vita. Se non ci fossero persone così, il mondo crollerebbe in poco tempo. E non è garantito che non crolli.
L’epoca dei perenni adolescenti
L’impressione è che stiamo vivendo un momento di esaltazione adolescenziale che può diventare pericoloso se non sfocia abbastanza presto in una più grande maturità. L’adolescente è un uomo non ancora formato; sta prendendo coscienza della propria identità e sente il bisogno di contrapporsi a tutti coloro che rappresentano una qualche autorità per affermare se stesso: contesta i genitori, la Chiesa, la società, la tradizione, il mondo, illudendosi di potersi costruire la vita da sé solo, con la ricchezza che possiede o che si accinge a conquistare in modo personale. Desidera essere autonomo, ma non ne ha ancora la capacità, non è ancora in grado di assumersi responsabilità piene e per questo può commettere errori gravi senza rendersene pienamente conto.
La nostra società, paradossalmente, sta vivendo un’epoca adolescenziale: stiamo andando verso un equilibrio culturale nuovo, ma non siamo ancora in grado di vederne i lineamenti e di assumercene la responsabilità; per questo potremmo fare errori gravi lungo il cammino.
Posso, dunque faccio
Uno degli errori, per esempio, è quello che si presenta sotto la formula: “So farlo e quindi posso farlo”. Come se la capacità fisica o il possesso della tecnica per produrre qualcosa fosse in se stessa la giustificazione della decisione di farla. Posso produrre un bambino in provetta: perché non farlo? Posso clonare un essere umano: perché rinunciarvi? Posso produrre cellule staminali attraverso la fecondazione di un uovo umano: perché impedirmelo?
Potrei continuare con gli esempi, ma è la logica sottesa che m’interessa esporre e la logica sottesa è: quello che è tecnicamente possibile ha in sé la motivazione sufficiente per essere fatto. Ora, questa è la tipica affermazione dell’adolescente che non ha ancora raggiunto la maturità etica e quindi non riesce ancora ad essere responsabile. La formula corretta non è “Lo faccio perché riesco a farlo”, ma “Lo faccio se è bene farlo, lo faccio perché è bene farlo”. E a questa affermazione si può giungere solo se nell’intimo dell’uomo si è formata la coscienza del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.
Recuperare la gerarchia dei valori
In passato il senso di responsabilità etica era trasmesso da una generazione all’altra come un patrimonio comune, insieme con quelle conoscenze che permettono la convivenza sociale. Ora la semplicità di questa trasmissione è contestata e le convinzioni morali sono sottomesse a critica sempre più decisa, tanto che bene e male appaiono a molti delle sovrastrutture ingiustificate. Rimane solo quello che a ciascuno sembra essere bene o male, ma con tutta la precarietà e l’insindacabilità del gusto estetico: a me sembra così, io penso in questo modo e non accetto che la mia convinzione sia messa in discussione dagli altri per qualsiasi motivo. Bisogna fare uno sforzo immenso per rimotivare quello che abbiamo da sempre creduto, per ricostruire nella nostra coscienza — non solo individuale, ma anche sociale — la percezione dei valori che sono degni di guidare il desiderio, che possono motivare un sì o un no detto alle diverse possibilità che ci stanno di fronte.
In questo sforzo di recupero dei valori umani sono convinto che sia necessaria anche una buona dose di umiltà che ci aiuta a non considerarci creatori del mondo e primi scopritori della verità.
Come è stato notato, “la conoscenza umana risulta da un’ampia collaborazione di molte persone lungo moltissimi anni. La condizione necessaria di questa collaborazione è la fede. Quello che ciascuno di noi conosce risulta solo in minima parte da esperienza personale, scoperta personale, verifica condotta personalmente; per la massima parte esso risulta dal credere. Ma l’illuminismo del 18° secolo non si accontentò di attaccare la fede religiosa. Esso si vantò dei propri filosofi. Esso diede vita a un razionalismo individualista che chiedeva alla gente di dimostrare le proprie convinzioni o altrimenti di considerarle arbitrarie. In realtà esso finì per distruggere non solo la tradizione religiosa ma ogni tradizione. Sembra che un tale individualismo abbia infettato nel 20° secolo anche i nostri pedagogisti. Gli studenti sono incoraggiati a scoprire le cose loro stessi, a essere originali, creativi, a criticare, ma non sembra che siano istruiti sul posto enorme che la fede ha nell’acquisizione e nell’espansione della conoscenza. Molti non sembrano consapevoli che ciò che essi conoscono della scienza non è generato dal loro interno ma per la maggior parte è semplice fede” (B. Lonergan [1904-1984]) (1).
È evidente che la fede, e cioè l’accettazione di conoscenze ricevendole da altre persone nelle quali abbiamo fiducia, è una struttura essenziale della conoscenza umana e del progresso umano. Se ciascuno dovesse ripartire daccapo e verificare personalmente tutto quello che conosce saremmo ancora alla ricerca della ruota.
Il futuro costruito su fede e ragione
C’è bisogno di ragione e di fede per progredire, tutte e due: la fede permette alla ragione di funzionare e di crescere, la ragione purifica la fede e l’aiuta a non cadere nella superstizione e nell’arbitrarietà. La ragione fonda la libertà e la responsabilità del singolo, la fede permette al singolo di vivere in comunità con gli altri. La ragione registra accuratamente il presente, la fede apre fiduciosamente al futuro.
La furia iconoclasta che a volte si manifesta nel desiderio di cancellare i segni della fede rischia di distruggere non solo la fede religiosa, ma quel patto di fiducia che sta alla base dell’enorme edificio della storia umana: il complesso delle conoscenze, delle istituzioni, dei valori che hanno costruito la nostra società.
+ Mons. Luciano Monari
Vescovo di Piacenza-Bobbio
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(1) Bernard Joseph Francis Lonergan S.J., A Second Collection, Darton, Longman and Todd, Londra 1974, pp. 183 ss.