Di Domenico Agasso da La Stampa del 24/11/2021
Dare il via libera al suicidio assistito invocato da “Mario”, malato tetraplegico immobilizzato a letto da dieci anni, «è sbagliato e disumano». Anche se è stata una decisione presa di fronte a «una sofferenza terribile», ora è un apripista ad altre «pericolose» convalide di natura bioetica, come l’eutanasia. Non usa mezzi termini monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo. Per il Presule ligure, punto di riferimento dei cattolici conservatori, la strada da seguire in questi casi sono le cure palliative; «poi il conforto umano e, per chi vuole, la fede, fino alla morte naturale».
Eccellenza, che cosa pensa del «sì» del Comitato etico al primo suicidio medicalmente assistito in Italia?
«È sbagliato, anche se ammantato di umana pietà. Io lo giudico disumano in se stesso e anche un pericoloso grimaldello per tanti altri “sì” che arriveranno nella stessa direzione».
Non crede che di fronte a condizioni invalidanti e irreversibili, patologie o sofferenze intollerabili sia più giusto almeno fare un passo indietro?
«Credo che di fronte a patimenti fisici atroci, per i quali provo profonda tenerezza e compassione, il passo da compiere sia quello della vicinanza e della cura. Non sempre la medicina e la terapia possono risolvere il problema, ma grazie a Dio e grazie ai progressi della scienza oggi siamo in grado di controllare il dolore, e dunque il malato che si trova anche in situazione irreversibile può essere sollevato dai patimenti – le cure palliative sono una risorsa enorme – e umanamente accompagnato fino al naturale morire con la consolazione di autentica vicinanza umana e, per chi l’accoglie, dal conforto della fede».
Siamo in un Paese laico in cui molti cittadini pensano che sia giusto dare la possibilità a una persona in determinate gravissime condizioni di salute di togliersi la vita. Perché la Chiesa si oppone?
«La Chiesa ritiene che la vita sia un bene indisponibile e che dunque non possa essere gestito a piacimento né dal singolo né dalla società civile. La laicità dello Stato non è una giustificazione e non rappresenta la possibilità di andare oltre rispetto ai limiti imposti dalla sacralità della vita umana e dalla sua inviolabilità».
Gliela dico in un altro modo: i credenti possono non seguire una legislazione che permette il suicidio assistito, mentre chi la pensa in modo diverso sì: non è giusto così?
«È ovvio che ognuno agisce e vive in base alle proprie convinzioni morali e religiose, e dunque i credenti sapranno fare scelte corrette rispetto ai comandamenti di Dio e alla dottrina della Chiesa. Occorre però aggiungere che i credenti sono anche cittadini dello Stato e quindi hanno il diritto e il dovere di esprimere liberamente la propria opinione e di promuovere i valori umani che ritengono indispensabili per il bene comune e per una giusta convivenza civile».
La vita è sacra, e la libertà individuale lo è?
«Certo, la libertà del singolo è una prerogativa sacra come la vita e si fonda sulla stessa tutela della vita. Ogni negazione di ciò che costituisce fondamento rappresenta anche una grave lesione a ciò che sopra di esso poggia. Quindi affermare la libertà di dare o togliere la vita resta abusivo nei confronti della stessa libertà. La libertà ha un criterio invalicabile: la verità delle cose».
Allargando il discorso, la Chiesa perché teme l’eutanasia?
«La Chiesa non ha nessun timore, ma ha il dovere e anche la gioia di annunciare il Vangelo della vita, non cedendo alle lusinghe di una gestione arbitraria dell’esistenza umana riducendola a mero evento biologico da gestire tecnicamente».
Che cosa pensa del referendum per la legalizzazione dell’eutanasia?
«L’attività politica e più in generale la partecipazione sociale a grandi temi di rilevanza etica come questo non possono fare riferimento semplicemente al conteggio di preferenze, ma piuttosto devono sentirsi impegnate in una ricerca appassionata e faticosa della verità e dei valori che stanno a fondamento della vita dell’uomo e della convivenza civile».
Foto da articolo