di Marco Respinti da International Family News IFN del 08/12/2020
Lo Stato non ha il diritto di varcarlo. E il popolo dov’è?
Può uno Stato intervenire nell’esercizio del culto pubblico, per esempio decidendo se una liturgia vada celebrata o meno, in che modo, dove e quando? Il punto non è se possa: è che non deve. Non compete allo Stato, infatti, ad alcuno Stato, regolare il culto religioso. Se lo facesse s’intrometterebbe in questioni che non sono di sua competenza, violerebbe la laicità della res publica e minerebbe l’imprescindibile diritto alla libertà religiosa, cioè il primo diritto umano politico dei cittadini. Se uno Stato lo facesse, insomma, prenderebbe una china potenzialmente totalitaria.
Adesso a tenere banco è la questione della Messa di mezzanotte a Natale. La liturgia eucaristica celebrata nel cuore della notte che per i cristiani è la notte santa, «Weihnacht», come ricorda la dizione tedesca del Natale di Cristo, il quale prelude a quel giorno che nella dizione inglese, «Christmas», ha una forza impossibile da anestetizzare nell’irritante «Season greetings», non è una mera consuetudine. Anche già prima di intervenire sulle consuetudini di un popolo uno Stato dovrebbe fare un salto, e farne un altro, e fare la giravolta, e farla un’altra volta, guardare in giù e infine guardare in su. Ma, appunto, la Messa di mezzanotte a Natale non è soltanto una bella usanza. Ha un valore intrinseco, come spiega ad “iFamNews”, il canonico Carlo Giuseppe Adesso, persino una valenza teologica che non si può azzerare a cuor leggero. Soprattutto non ha alcun diritto di farlo uno Stato.
Vi possono essere ragioni importanti per derogare alla Messa natalizia della mezzanotte. E il canonico Adesso le ricorda. Ma non tutte le ragioni sono importanti allo stesso modo, ovvero non si può derogare ad libitum accampando ragioni “importanti” che tali sono solo perché lo decide il manovratore o chi pensa, spera di esserlo.
Oggi si dice che le ragioni sanitarie siano una ragione importante e sufficienti alla deroga. Non è vero.
Le chiese della Cristianità, o di ciò che ne resta (giacché la Cristianità non sarà estinta fino a che qualcuno ne porta l’ideale nel cuore), hanno osservato scrupolosamente, e per prime, tutte le nuove regole di igiene sanitaria nell’era del CoViD-19. A nessuna di esse, n-e-s-s-u-n-a, si può imputare leggerezza e non curanza. Affermare allora che la Messa non si possa celebrare a mezzanotte per tema del contagio è solo una scusa.
Risponde cioè a una logica perversa: quella che indica nelle celebrazioni liturgiche o comunque religiose un fomite di contagio. Questa via è stata tentata, a volte con successo, in alcune parti del mondo ai danni di gruppi religiosi non certo cristiani, che sono stati bollati, contro ragione e contro fatto, come untori. Ne ho frequentati alcuni, gremiti a migliaia, in Corea del Sud a febbraio, in piena esplosione mondiale di quel virus che assai probabilmente circolava a casa nostra da mesi senza che lo sapessimo e posso attestare che i raduni religiosi di massa sono più realisti del re fra mascherine e igienizzanti. E se lì scappa l’incidente, la responsabilità “delle religioni” non è maggiore di quella del pizzicagnolo sotto casa.
Se fossi complottista direi dunque che le misure restrittive contro la Messa servono per reprimere la religione in odio ferale alla religione. Ma siccome da anni scrivo e ripeto che il complottismo è un tarlo della mente e un veleno dello spirito, non sostengo affatto questa tesi.
Rilevo però che, se non esiste il “grande complotto” che spiega tutto non spiegando nulla (e soprattutto offre la giustificazione per smettere di studiare, analizzare, indagare e combattere), certamente la storia è teatro dello scontro fra forze contrapposte. Io, che ci credo profondamente, dico però che nella storia si affrontano i buoni e i cattivi, e che, come i buoni si organizzano per promuovere il bene, analogamente i cattivi tramano per raggiungere i propri scopi. Se non lo facessero non sarebbe né buoni né cattivi credibili.
Ebbene, se non è vero allora, come non è vero, che le liturgie siano covi di contagio, pretendere a tutti costi di intervenire sulla regolamentazione della vita di fede finisce per essere soltanto una dimostrazione di forza: lo Stato che mostra quanto e come può, se vuole, intervenire. Ed è esattamente questo che va impedito.
C’è un recinto sulla soglia del quale lo Stato, qualsiasi Stato, deve fermarsi. Se è uno Stato maldisposto ha il dovere di fare questo e basta; se invece è uno Stato più ben disposto, sul ciglio di quel limes sacro e invalicabile esso sosta trepido, persino orante. Ma altrettanto non lo varca mai. Varcarlo sarebbe come varcare il Rubicone con gesto di sfida.
La dimostrazione o l’atto di forza contro la Messa, così come contro altre manifestazioni religiose, va in scena da mesi, oramai. In alcuni Paesi del mondo, però, la reazione popolare, e dei pastori accanto, ha ottenuto risultati significativi, respingendo lo Stato oltre il limes. Accade quando il popolo è vivo.
È accaduto nella laicissima Francia, il Paese europeo che più siamo abituati ad associare al secolarismo e al menefreghismo religioso. Per associazione di idee è analogo a quanto appena accaduto in Russia, dove forse inaspettatamente una società che mostra segni di sana reattività ha mostrato di esistere respingendo una legge che avrebbe consegnato allo Stato un potere inaudito e offensivo sulle famiglie e mandato un segnale netto al potere politico che è meglio questo registri con cura. Il popolo, cioè, in diverse parti del mondo ha ben chiaro dove corre il limes. E in Italia?
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