Luciano Benassi, Cristianità n. 134-135 (1986)
Intervista con Jean Gimpel
Sviluppo tecnologico medioevale e Terzo Mondo
Il settore delle invenzioni e della tecnica medioevali conta pochi specialisti e, soprattutto, pochi divulgatori. Felice eccezione, dai brillanti risultati, è costituita da Jean Gimpel che, alternando l’attività di ricercatore sulle tecnologie medioevali – è noto anche in Italia per essere l’autore del volume I costruttori di cattedrali – con quella pratica della loro applicazione nei paesi in via di sviluppo, contribuisce in modo efficace a far conoscere e apprezzare un aspetto poco noto della civiltà cristiana del Medioevo europeo, spesso descritta in modo distorto.
In Italia per un ciclo di conferenze, in occasione di una di esse, tenuta a Bologna il 7 maggio 1986, e grazie alla cortesia dei dirigenti dell’associazione organizzatrice – il Centro Culturale Enrico Manfredini -, ho potuto incontrare Jean Gimpel e rivolgergli alcune domande.
D. Fra i tanti pregiudizi che contribuiscono a deformare l’immagine della civiltà cristiana del Medioevo, uno dei più difficili da rimuovere è quello relativo alla sua arretratezza tecnologica, spesso posta a confronto con un presunto risveglio delle attività pratiche avvenuto nel Rinascimento. I suoi studi sembrano dimostrare il contrario ….
R. Il Medioevo che descrivo nei miei libri non è quello dei «tempi oscuri» oppure dei romanzi cortesi o della cavalleria: è il Medioevo delle macchine. Il fatto che sia poco conosciuto dipende dalla scarsa considerazione che il lavoro manuale e il lavoro tecnico degli ingegneri hanno trovato presso gli storici e gli studiosi nelle università, anche se oggi molti di loro accettano l’idea che il Medioevo abbia conosciuto un’autentica «rivoluzione industriale». Infatti, dal secolo XI al secolo XIII, l’Europa occidentale ha vissuto un periodo di intensa attività tecnologica, tra i più fecondi della storia per quanto riguarda le innovazioni.
Questo periodo dovrebbe meritare la qualifica di «prima rivoluzione industriale», perché le tecnologie che produsse costituirono la base da cui prese slancio la rivoluzione industriale del secolo XVIII.
Nella crescita tecnologica del mondo occidentale, il Rinascimento ha svolto soltanto un ruolo limitato. È vero che il Rinascimento ha inventato, ma è altrettanto vero che raramente ha innovato. Vi è una differenza fondamentale tra invenzione e innovazione: una innovazione è una invenzione che è stata finanziata, messa a punto e poi commercializzata sul mercato. Una invenzione che non approda a una innovazione è una capra a tre zampe!
Non bisogna poi dimenticare che tutte le grandi innovazioni medioevali sono anteriori alla fine del secolo XIII. A partire da questo periodo si osserva un rallentamento nell’innovazione, e per quasi centocinquant’anni non si inventerà più nulla; sola eccezione, in campo militare, l’invenzione del cannone nel Trecento. La stessa aureola che circonda personaggi rinascimentali come Leonardo da Vinci si spiega, in una certa misura, con la scarsa conoscenza da parte del pubblico, anche di quello più colto, dei manoscritti medioevali di carattere tecnico come, per esempio, il Carnet di appunti di Villard di Honnecourt – stupenda figura di architetto-ingegnere del Duecento, tipo del tecnico medioevale – al quale lo stesso Leonardo, vissuto oltre due secoli dopo, ha attinto costantemente.
Vorrei aggiungere una osservazione anche per quanto riguarda il mondo antico. Le macchine erano conosciute nell’antichità, ma il loro impiego fu limitato. L’ingranaggio era utilizzato, per esempio, per muovere automi o meccanismi di piccole dimensioni e, comunque, sempre al di fuori di una politica di meccanizzazione. Si può concludere, quindi, che in Europa soltanto il Medioevo, in tutti i campi, ha sviluppato più di qualsiasi altra civiltà l’uso delle macchine e questo è stato uno dei fattori determinanti della preponderanza dell’emisfero occidentale sul resto del mondo.
D. Per noi, oggi, è difficile immaginare che ottocento o mille anni fa le macchine facessero parte della vita quotidiana, tanto più se pensiamo alle fonti energetiche disponibili all’epoca …
R. Eppure dobbiamo abituarci a pensare che le macchine non sono né estranee né sconosciute all’uomo medioevale. A partire dal secolo IX, l’Europa si ricopre di mulini, principalmente di mulini ad acqua, ma anche, dove è possibile, di mulini a vento e di mulini a marea.
La loro diffusione è stata permessa dallo sfruttamento sempre più razionale e perfezionato dell’energia idraulica che, nel Medioevo, ha un’importanza paragonabile a quella del petrolio del nostro secolo. La sua introduzione su larga scala modifica radicalmente la produzione in almeno tre settori: quello agricolo, quello tessile e quello metallurgico, consentendo la meccanizzazione di tutte quelle attività che prima erano svolte a mano o con i piedi. Un documento del secolo XIII sul ruolo dell’energia idraulica nell’abbazia cistercense di Clairvaux testimonia l’importanza della meccanizzazione come fattore primario dell’economia medioevale. Questo documento menziona quattro operazioni che necessitano dell’energia idraulica: spremitura di semi, stacciatura della farina, follatura dei tessuti e concia delle pelli. Ma occorrerebbe aggiungerne molte altre, per esempio la produzione della carta, della birra e, nel settore metallurgico, la produzione del ferro. L’introduzione di soffietti e martelli idraulici nelle fucine trasforma fortemente i tempi, la resa e la qualità della produzione metallurgica, dove il ferro sostituisce rapidamente il bronzo, tanto che è stato detto che l’Età del ferro comincia realmente con il Medioevo.
Nel corso dei secoli, i mulini medioevali hanno conosciuto diverse fasi di evoluzione, a testimonianza delle capacità e della versatilità degli ingegneri del tempo. Uno dei momenti più importanti di questa evoluzione è rappresentato dall’introduzione della camma, che consente la trasformazione del movimento rotatorio della ruota idraulica in un movimento lineare e permette la meccanizzazione di tutta una serie di operazioni industriali, in particolare di quelle in cui è necessaria una battitura del materiale. È interessante osservare che la camma era nota nell’antichità e che i cinesi la utilizzavano per la brillatura del riso, ma soltanto la sua introduzione nell’industria medioevale giocherà un ruolo capitale nell’industrializzazione dell’Occidente. Basti pensare che oggi qualsiasi automobile è dotata di un albero a camme.
D. Questo per quanto riguarda l’industria. E per l’agricoltura medioevale?
R. Lo sviluppo industriale vero e proprio del Medioevo è stato preceduto da una «rivoluzione agricola». È noto che allora la potenza di traino del cavallo è stata quintuplicata con l’introduzione del collare di spalla rigido, uno strumento che sarebbe pervenuto in Europa dalle steppe che separano la Cina dalla foresta siberiana, e con la ferratura, anch’essa proveniente, sembra, dalla regione dello Yenissei, in Siberia. L’antichità non conosceva né l’uno né l’altra, eppure fino al 1910, quando un ufficiale della cavalleria francese pubblicò un saggio sulla storia dell’uso del cavallo attraverso i secoli, nessuno studioso si era mai chiesto perché gli antichi avessero sempre tratto scarso vantaggio dall’energia ippica, mentre gli uomini del Medioevo l’avevano sfruttata con la massima efficienza. Già alla fine del secolo IX, data che inaugura l’utilizzo del cavallo nell’agricoltura, il collare rigido era impiegato nei lavori agricoli sulla costa settentrionale della Norvegia. Per quanto riguarda la ferratura del cavallo, a partire dal secolo XII sarà praticata su larga scala. Basti pensare alla commessa di cinquantamila ferri da cavallo fatta da Riccardo Cuor di Leone alle fucine della foresta di Dean in preparazione della Crociata.
Parallelamente, il Medioevo sviluppa nuove tecniche agricole – come la rotazione triennale -, che migliorano sensibilmente i raccolti, razionalizzano il lavoro dei campi e ottengono eccellenti risultati nell’allevamento. Nel secolo XII erano molto popolari i trattati di agronomia che, copiati, ricopiati e diffusi tra i proprietari di tenute agricole, spiegavano come condurre la gestione della fattoria. Alcuni consigliavano perfino l’adozione di tecniche sperimentali e l’uso di una contabilità ordinata.
La chiave di volta dello sviluppo agricolo medioevale è, tuttavia, l’introduzione, a partire dal secolo XI, dell’aratro pesante a versoio cioè, in pratica, dell’aratro che oggi conosciamo. Per il futuro dell’agricoltura questa è un’invenzione assai più ricca di conseguenze dell’introduzione dell’energia ippica, in quanto consente di dissodare e di sfruttare le vaste zone di foresta e le pianure alluvionali, che gli abitanti dell’Occidente nell’Alto Medioevo non erano riusciti a valorizzare. Con l’aumento della superficie coltivata e della qualità dei raccolti, il Medioevo ha fronteggiato la potente crescita demografica, che ha visto passare la popolazione europea dai ventisette milioni di abitanti dell’anno 700 ai settantatrè milioni di abitanti del 1300, con un aumento record del ventidue per cento nel cinquantennio che va dal 1150 al 1200, quando gli abitanti dell’Europa passano da cinquanta a sessantuno milioni. Su questo sfondo prende piede, in modo deciso, la meccanizzazione delle attività.
D. A un certo momento il dinamismo medioevale rallenta. Nel suo libro I costruttori di cattedrali, Lei parla della «fine di un mondo». Che cosa è accaduto?
R. Sì, alla fine del secolo XIII la curva ascendente di questo dinamismo inverte la tendenza e appaiono i segni del declino. L’aumento demografico rallenta, viene meno lo spirito pionieristico. In molte industrie sono introdotte pratiche restrittive, nei grandi centri l’agitazione operaia si organizza, la produzione di energia e la meccanizzazione subiscono un arresto, mentre si manifestano l’inflazione, la svalutazione – basti ricordare quella compiuta da Filippo il Bello all’inizio del secolo XIV – e le prime banche falliscono – come quella degli Scaligeri, in Italia, nel 1337.
Contemporaneamente allo stallo economico e produttivo si innesca tutta una serie di fenomeni più profondi, che toccano la sfera spirituale. Crollano i valori morali tradizionali, lo spirito civico si indebolisce e gli esteti si sostituiscono ai pionieri, Nuovi culti, esoterici, moltiplicano i loro adepti, mentre l’autorità e il prestigio dei Papi diminuiscono. I grandi ordini monastici non fondano più nuove abbazie e non riescono, se non a prezzo di grande fatica, a trovare vocazioni. Il diritto canonico si scontra con il diritto romano, che i legisti fanno risorgere dal passato, e fa la sua comparsa il nazionalismo. In generale si può dire che la fine del Medioevo coincide con la perdita del fervore religioso, di quella fede che aveva tanto meravigliosamente animato l’ascesa di quest’epoca, e per la quale essa è una delle più grandi della storia dell’umanità.
D. Lei non è soltanto uno studioso della storia delle invenzioni. In qualità di direttore del Models for Rural Development ha occasione di conoscere direttamente la realtà dei popoli del Terzo Mondo e, quindi, ciò che è loro necessario per arrivare a un concreto progresso tecnologico. Che cosa può insegnare l’esperienza della civiltà cristiana del Medioevo?
R. La storia della tecnica avrebbe potuto essere di grande aiuto ai popoli in via di sviluppo. Avrebbero imparato che, molto spesso, occorrono secoli per assimilare le tecniche venute dall’esterno. Il Medioevo ha impiegato più di cinque secoli, dopo la caduta dell’impero romano, per assimilare e, forse, spesso per respingere invenzioni giunte dalle profondità dell’Asia e talvolta dell’Africa, mentre i popoli del Terzo Mondo hanno voluto compiere in qualche decennio quello stesso cammino tecnologico. Ai miei amici del Terzo Mondo dico spesso che a loro sono mancati i cistercensi.
Nelle regioni più remote dell’Europa – regioni spesso in via di sviluppo – i cistercensi costruirono fattorie e fabbriche modello. È stato detto che i cistercensi erano le multinazionali dell’epoca. Però, a differenza della maggior parte delle multinazionali dei nostri giorni, introdussero le loro tecniche più avanzate nelle regioni rurali e non nei grandi agglomerati, creando le condizioni per accogliere lo sviluppo demografico successivo.
Un altro aspetto del problema riguarda il livello delle tecnologie che sono introdotte nei paesi del Terzo Mondo. Ciò che occorre è una combinazione di tecniche, cioè tecniche antiche combinate con tecniche moderne. D’altra parte anche i paesi industrializzati si stanno orientando verso tecniche combinate. È noto che i giapponesi, oggi, installano vele sui loro carghi, si ritorna alle eliche per gli aerei e la porcellana sostituisce la plastica o i metalli perchè resiste meglio alle alte temperature. Molti strumenti sofisticati introdotti nel Terzo Mondo sono caduti rapidamente in rovina. Il Terzo Mondo è oggi un cimitero di trattori e di fabbriche vendute «chiavi in mano», chiavi che però non gli hanno aperto nessuna porta. Gli strumenti antichi possiedono, spesso, qualità sconosciute a quelli moderni. Quando l’organizzazione belga Les Iles de Paix, fondata da padre Pire – Premio Nobel per la Pace – ha voluto irrigare il deserto intorno a Timbuctu, nel Mali, ha deciso di utilizzare viti di Archimede gigantesche, lunghe dodici metri e del diametro di due metri e mezzo. I tecnici furono rimproverati, sulle prime, di non fare uso di pompe, ma poi ci si accorse che le pompe si sarebbero ben presto insabbiate, mentre le viti di Archimede non potevano rimanere in panne. Naturalmente quelle viti erano mosse da motori diesel.
La vite di Archimede è uno strumento antico ancora oggi molto in uso per sollevare granaglie nei silos del Middle West, negli Stati Uniti, ma vi sono strumenti ancora più antichi che possono contribuire a facilitare il lavoro dell’uomo, come lo shaduf, inventato nel terzo millennio prima della nostra era nella regione della Mezzaluna Fertile e che era molto noto nel Medioevo. Lo shaduf è un sistema di contrappesi che permette di sollevare materiali o acqua fino a due o tre metri senza fatica. Può darsi che ne esista ancora qualche esemplare anche in Italia. Recentemente ne ho visto uno nelle Fiandre. Un altro impiego di questo sistema di contrappesi è nei passaggi a livello, per aprire e chiudere le sbarre. Lo shaduf è ancora utilizzato in certe regioni del Terzo Mondo, ma non è conosciuto in tutte; nel Senegal, per esempio, è ignoto. Quando mi trovavo nella regione orticola delle Nyayes, a sud di Dakar, vi installai uno shaduf per facilitare il lavoro dei contadini. Al momento di mostrare un modello in scala ridotta al falegname di Dakar che doveva costruirlo, gli dissi che, evidentemente, non poteva avere mai visto uno strumento simile, perchè nel suo paese era sconosciuto. Con mio grande stupore mi disse, invece, che conosceva lo shaduf: ne aveva visto uno nel film I Dieci Comandamenti!
Tra le tecniche specificamente medioevali, che cerco di introdurre nei paesi in via di sviluppo, vi è il camino, che Roma non conosceva e che fu inventato nel secolo XII in Europa. Il camino è praticamente ancora sconosciuto nei villaggi dell’Africa e dell’Asia. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale è molto interessata a questo tipo di approccio e mi ha chiesto modelli in scala ridotta di strumenti medioevali da diffondere nei paesi in via di sviluppo, nel tentativo di migliorare la sorte di milioni di infelici.
a cura di Luciano Benassi