Come si è arrivati al referendum contro il “Matrimonio per tutti” e le conseguenze antropologiche del voto
di Nicola Casappa
Il 26 settembre si è chiusa la seconda tornata referendaria del 2021 in Svizzera, che comprendeva due referendum federali, uno dei quali era quello indetto per contestare la modifica del Codice civile svizzero del 18 dicembre 2020, meglio conosciuta come «matrimonio per tutti», con la quale le coppie dello stesso sesso possono sposarsi civilmente.
Il primo atto in direzione di tale modifica era iniziato nel dicembre 2013, quando il gruppo Verde liberale aveva presentato l’iniziativa parlamentare «Matrimonio civile per tutti», seguita nel 2015 dalla pubblicazione, da parte del Consiglio federale, di un rapporto nel quale il governo svizzero si esprimeva a favore della “modernizzazione” del diritto di famiglia, auspicando una discussione sulla parificazione dell’unione domestica registrata al matrimonio o l’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso.
In Svizzera è presente l’istituto dell’unione domestica registrata dal 2007, ed è dedicato alle sole coppie composte da persone dello stesso sesso, per le quali sono previsti diritti ed obblighi in tema di figli, sostanza patrimoniale, imposte e questioni ereditarie.
A febbraio 2016, poi, c’era stato il tentativo di impedire la ridefinizione del matrimonio per mezzo dell’iniziativa popolare sostenuta dal Partito Popolare Democratico(PPD): «No agli svantaggi per le coppie sposate». L’iniziativa avanzava due richieste principali legate tra loro. La prima di queste era trovare una soluzione alla penalizzazione fiscale delle coppie sposate, in quanto in ambito di imposta federale diretta, un elevato numero di coppie di coniugi con doppio reddito e di coniugi pensionati risulta pagare più imposte rispetto alle coppie di conviventi nella stessa situazione economica. La seconda richiesta era di iscrivere nella Costituzione elvetica la definizione del matrimonio come una «durevole convivenza tra un uomo e una donna». Il referendum nato da quell’iniziativa venne però respinto dal popolo svizzero con una lieve maggioranza (50,8%), sebbene approvato da 15 Cantoni e 3 semicantoni sul totale dei 26 cantoni (20 cantoni e 6 semicantoni). Per questo referendum il Consiglio federale e il Parlamento avevano raccomandato di votare “no”, perché, tra le altre ragioni, l’iniziativa avrebbe escluso la possibilità di estendere il matrimonio delle coppie omosessuali.
Questa votazione venne però annullata dal Tribunale federale nell’aprile del 2019, per via di un errore informativo nel cosiddetto “libretto rosso”, ossia l’opuscolo esplicativo dei contentuti delle votazioni preparato dal governo e recapitato via posta a tutti gli aventi diritto al voto. Si trattava di un errore di cifre: il cittadino veniva ufficialmente informato che erano «circa 80.000 [le]coppie di coniugi con doppio reddito e numerose coppie di coniugi pensionati [che pagavano] un’imposta federale diretta più elevata delle coppie non sposate che si [ritrovavano] nella stessa situazione economica». Nel giugno 2018, infatti, l’Amministrazione federale delle contribuzioni aveva poi stimato in 704.000 le coppie sposate penalizzate fiscalmente, tenendo conto anche dei pensionati.
Un mese prima della sentenza dell’Alta Corte svizzera, il 14 febbraio 2019 la Commissione Affari Giuridici del Nazionale (la camera bassa del parlamento elvetico) aveva iniziato le consultazioni sul progetto «matrimonio per tutti», che prevedeva di concedere l’accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso e aveva tra le conseguenze giuridiche la possibilità di adottare congiuntamente un figlio diverso da quelli del partner, l’accesso per le coppie lesbiche alla donazione di sperma e la naturalizzazione agevolata.
Con l’invalidazione del referendum dell’aprile 2019, il Consiglio federale si trovava obbligato a riproporre il quesito referendario, ma il 4 febbraio 2020 il comitato d’iniziativa firmò la dichiarazione di ritiro della proposta con decisione presa dalla maggioranza dei membri (14 su 15). Esponenti del PPD commenteranno il riferimento al passaggio dell’iniziativa riferito al matrimonio concernente un uomo e una donna come «non più adeguato ai tempi» o «non più rilevante».
Solo qualche giorno prima (il 29 gennaio 2020) il Consiglio federale aveva comunicato il suo parere favorevole sugli esiti delle riflessioni giuridiche della Commissione Affari Giuridici del Nazionale, secondo cui il «matrimonio per tutti» poteva essere introdotto con una modifica legislativa, senza necessità di modificare la Costituzione. Da qui alle approvazioni, da parte di entrambe le camere parlamentari, del dicembre 2020 il passo era segnato.
Immediatamente dopo la modifica di legge, tre comitati referendari hanno raccolto e poi depositato poco più di 62.000 firme valide, così da indire il referendum contro il «matrimonio per tutti» (per indire un referendum servono almeno firme 50.000, raccolte entro i 100 giorni consecutivi alla pubblicazione nel Foglio federale dell’atto legislativo contestato).
Il resto è cronaca recente. Il referedum del 26 settembre scorso è stato respinto e il popolo ha accettato il «matrimonio per tutti» con la netta maggioranza del 64%. In nessun cantone il NO è riuscito a spuntare la maggioranza.
Le prime conseguenze (logiche) di questo risultato cominciano già ad essere tratte: è di qualche giorno fa la notizia che i Verdi liberali, già promotori del “Matrimonio per tutti”, intendono lanciare una mozione per estendere il congedo di paternità, che ora spetta solo agli uomini, anche alla “moglie” della madre.
I comitati referendari temevano una perdita della figura paterna sancita per legge, ed in effetti, se in Italia èalla madre che tocca essere un mero concetto antropologico, poco più a Nord, nella libera Elvezia, questo ruolo già si addice al padre.
Giovedì, 7 ottobre 2021