La Scrittura non è fatta per rimanere sulla carta o essere citata “a pappagallo”, senza una reale comprensione della verità divina, ma per far germogliare semi di bene nelle nostre vite
di Michele Brambilla
Papa Francesco illustra, nel corso dell’udienza generale del 27 gennaio, cosa significhi pregare con le Sacre Scritture. Avverte il Santo Padre: «le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sul papiro, sulla pergamena o sulla carta, ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore». Il Cristianesimo non è una “religione del Libro”, ma ha anche un libro sacro, perché le parole ispirate da Dio devono diventare la lampada che illumina i nostri passi quotidiani. «A tutti i credenti capita questa esperienza: un passo della Scrittura, ascoltato già tante volte, un giorno improvvisamente mi parla e illumina una situazione che sto vivendo. Ma bisogna che io, quel giorno, sia lì, all’appuntamento con quella Parola, sia lì, ascoltando la Parola. Tutti i giorni Dio passa e getta un seme nel terreno della nostra vita», ma «non sappiamo se oggi troverà un suolo arido, dei rovi, oppure una terra buona, che farà crescere quel germoglio (cfr Mc 4,3-9). Dipende da noi, dalla nostra preghiera, dal cuore aperto con cui ci accostiamo alle Scritture perché diventino per noi Parola vivente di Dio». Il Papa ripete una frase di sant’Agostino d’Ippona (354-430), che ormai gli è diventata cara: «Dio passa, continuamente, tramite la Scrittura. E riprendo quello che ho detto la settimana scorsa, che diceva sant’Agostino: “Ho timore del Signore quando passa”. Perché timore? Che io non lo ascolti, che non mi accorga che è il Signore».
«Attraverso la preghiera avviene», quindi, «come una nuova incarnazione del Verbo. E siamo noi i “tabernacoli” dove le parole di Dio vogliono essere ospitate e custodite, per poter visitare il mondo». Una responsabilità gigantesca! «Per questo bisogna accostarsi alla Bibbia senza secondi fini, senza strumentalizzarla. Il credente non cerca nelle Sacre Scritture l’appoggio per la propria visione filosofica o morale, ma perché spera in un incontro» con il Dio vivente.
Il Pontefice confida: «a me dà un po’ di fastidio quando sento cristiani che recitano versetti della Bibbia come i pappagalli», senza accorgersi della portata delle parole che ripetono. «Noi, dunque, leggiamo le Scritture perché esse “leggano noi”», giudichino il nostro vissuto e, se necessario, lo correggano. Il Papa suggerisce a tutti di riaccostarsi al metodo della lectio divina: «si tratta anzitutto di leggere il brano biblico con attenzione, di più, direi con “obbedienza” al testo, per comprendere ciò che significa in sé stesso. Successivamente si entra in dialogo con la Scrittura, così che quelle parole diventino motivo di meditazione e di orazione: sempre rimanendo aderente al testo, comincio a interrogarmi su che cosa “dice a me”. È un passaggio delicato: non bisogna scivolare in interpretazioni soggettivistiche ma inserirsi nel solco vivente della Tradizione, che unisce ciascuno di noi alla Sacra Scrittura» attraverso l’interpretazione che ne dà la Chiesa fin dalle origini.
L’udienza del 27 gennaio, giornata in cui, in molti Paesi, si commemora la tragedia immane della Shoah, si conclude con un monito ulteriore: «ricordare è espressione di umanità. Ricordare è segno di civiltà. Ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e di fraternità. Ricordare anche è stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta», se ci si lascia trascinare dall’ideologia.
Giovedì, 28 gennaio 2021